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memoria liturgica

San Pio da Pietrelcina: un "confessionale vivente"

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Il santo cappuccino confessava anche diciotto ore al giorno. Per riportare ogni penitente a Dio impiegava ogni mezzo. Compresa una certa "durezza", poiché non mirava ad "accompagnare" ma a convertire.

Ecclesia 23_09_2023

Un confessionale, un sacerdote e un penitente. Nel silenzio di una chiesa si avvertono scandite e sottovoce quelle parole così importanti: «Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». La mano del sacerdote segna l’aria con il segno della Croce, il penitente china il capo, lentamente.

È un momento speciale, unico, di grazia, quello della Riconciliazione o comunemente chiamata Confessione: è questo il momento in cui ci si può riconciliare con Dio. E san Pio da Pietrelcina – del quale oggi ricorre la memoria liturgica – dava a questo Sacramento così prezioso per ogni fedele un’importanza totale, esistenziale si potrebbe definire. San Pio da Pietrelcina – per usare un’immagine forte ma non certamente fuorviante – potrebbe definirsi lui stesso “un confessionale vivente”. Le cronache narrano, infatti, che il frate cappuccino confessava addirrittura per diciotto ore consecutive. E più di una volta, visto il grande flusso di fedeli, era necessario ricorrere all’aiuto della forza pubblica per regolare l’entrata in chiesa,  per disciplinare l’afflusso al suo confessionale.

Circa cinque milioni di persone, questo è lo straordinario numero stimato di chi ha avuto la grazia di confessarsi con il santo; circa centoventi penitenti al giorno. Ad ognuno dedicava in media tre-quattro minuti perché voleva che la confessione fosse sintetica e chiara, ma soprattutto sincera, vera. Dio è Verità e ha bisogno da noi la verità.

Il desiderio di Padre Pio era quello di riportare a Dio, sulla giusta strada, ogni penitente. E ogni “strumento” possibile era impiegato a questo santo scopo: dal suo dono della profezia alla proverbiale facilità di entrare nei cuori dei fedeli. Proverbiale, a riguardo, la sua scontrosità sulla quale diversi testi, articoli, trasmissioni televisive hanno “ricamato” narrazioni ormai divenute famose. Ma cosa si nascondeva dietro a questa sua durezza? È questo il punto fondamentale sul quale sarebbe opportuno riflettere.  È lo stesso san Pio da Pietrelcina a fornirci la risposta: «Io non mi pento quando non do l’assoluzione, perché, se uno viene a confessarsi con convinzione, la mancata assoluzione servirà per farlo stare più attento; se invece viene a confessarsi senza convinzione, la mancata assoluzione gli fa un bene, perché lo richiama alla realtà delle sue condizioni e lo mette al sicuro dal fare una confessione sacrilega».

Il Sacramento della Riconciliazione, per il santo, doveva mirare soprattutto a far convertire i cuori dei fedeli. Era questo il cardine del suo ministero sacerdotale nella Confessione: «Convertiti o sei perduto», questo il leitmotiv delle sue confessioni. Una frase che dice molto: la conversione del cuore, il pentimento sincero, il sincero “cambiar rotta” di vita, erano questi gli unici pensieri di Padre Pio nella Confessione. Al riguardo, fra i tanti episodi che si raccontano,  ce n'è uno che potrebbe dare bene l’idea del continuo sforzo di portare i fedeli al pentimento e alla conversione soprattutto. È solo un esempio di inummerevoli altre testimonianze.

Anno 1944, un soldato, impegnato vicino Foggia, va dal frate per soddisfare prevalentemente la sua curiosità: aveva sentito tanto parlare tanto di questo frate “dei miracoli” e voleva comprendere meglio la situazione. Alla fine, senza volerlo, si ritroverà nel suo confessionale. Durante la Confessione però il giovane aveva taciuto in merito a un peccato che stava perpetuando da diverso tempo: teneva suo padre, anziano, seminfermo, segregato a pane e acqua quasi al pari di un carcerato. Allora, Padre Pio, con tono scontroso, gli chiede se c’è o meno il pentimento di tale peccato. È il frate a presentare al penitente il peccato: mette il giovane davanti “a uno specchio” del proprio comportamento errato. Lo avvisa duramente che non c’è salvezza se non si pente. Ed è allora che il soldato scoppia a piangere: in un attimo si ritrova pentito ma soprattutto convertito, giurando che avrebbe cambiato definitivamente vita. Solo al momento delle parole di pentimento ecco giungere l’assoluzione. La Confessione per il frate di Pietrelcina doveva portare naturalmente proprio a questo cambiamento verso il bene, il buono, il giusto, il vero. Questa “tipologia” di cambiamento Padre Pio la chiamava «angelico Spirito», mentre il volgersi verso il male lo chiamava «diabolico spirito». 

Altro episodio. Un contadino di un paese vicino Foggia, ateo e violento, una sera, dopo l’ennesimo litigio con la moglie molto devota del frate cappuccino, vive un episodio straordinario. La stessa sera del litigio va a dormire e poco dopo aver spento le luci di casa, ecco palesarsi davanti a lui un frate molto simile nelle fattezze a quel Padre Pio al quale la moglie è tanto legata. Viene preso subito da un rimorso, da un pentimento e così chiede alla “figura” di potersi confessare da lui. Il frate però con voce scontrosa rifiuta con un sonoro «No!». E subito dopo, in un solo istante, sparisce. Il giorno dopo, l’uomo decide allora di andare a San Giovanni Rotondo assieme alla moglie. Prima di arrivare alla meta agognata passeranno tre giorni di cammino, tre giorni di digiuno e penitenza.  Ed ecco che quella che prima era stata per lui solo una “figura”, quasi un’ombra, diviene finalmente realtà: un uomo “in carne ed ossa”. È Padre Pio col quale si confessa: sarà una Confessione colma di lacrime e pentimento.

L’uomo, grazie al santo, comprende tutti gli sbagli compiuti nella sua vita fino a quel momento: finalmente, si converte. E solo quando Padre Pio percepisce dalle sue parole un pentimento vero gli dirà: «E ora vai a mangiare». Solo ora che l’uomo è pentito potrà gustare veramente il cibo. Potrà gustare la vita. Potrà gustare, pienamente, «il Pane degli Angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli».



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