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specchietto per le allodole

Salario minimo: demagogia che mortifica lavoratori e imprese

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Una proposta delle opposizioni (l'unica a metterle d'accordo) che finirebbe per aumentare l'aggravio di lavoro dei dipendenti e paralizzare le aziende. La vera soluzione è potenziare la produttività e aiutare le aziende a produrre meglio.

Attualità 05_07_2023

Si fa presto a dire salario minimo. In un’ottica solidaristica, di inclusione, di lotta alle disuguaglianze sembrerebbe una buona idea. Invece è una pessima idea che rischia di penalizzare le aziende serie, oneste e corrette sul piano retributivo e di mortificare ancora di più la dignità dei lavoratori, dietro un paravento di equità che è solo uno specchietto per le allodole.

Le forze di opposizione, divise su tutto, dalla guerra in Ucraina alla riforma fiscale, dall’autonomia differenziata alla maternità surrogata, provano a ricompattarsi sul salario minimo, non rendendosi conto che così facendo rischiano di frenare la ripresa del Paese e di vanificare gli sforzi di questo governo, che sta faticosamente cercando di rilanciare l’occupazione abolendo sussidi come il reddito di cittadinanza e agendo sul cuneo fiscale.

Tranne Italia Viva, gli altri partiti antigovernativi hanno presentato una proposta unitaria per introdurre un salario minimo legale di 9 euro l’ora. Una prima ragione per la quale si tratta di una soluzione inopportuna la rilevano acutamente gli esperti dell’Istituto Bruno Leoni. «La risposta – si legge in una loro nota – è sbagliata, intanto, per ragioni empiriche. La direttiva europea sul salario minimo, su cui tanto e a sproposito si è discusso, raccomanda di fissare un minimo tabellare attorno al 60 per cento del salario mediano. I famigerati 9 euro si collocano ben sopra, attorno al 75-80 per cento. Se fissassimo l'asticella così in alto, tra i Paesi Ocse ci supererebbero solo la Colombia e il Cile, dove peraltro il salario mediano ufficiale probabilmente sottostima il valore reale a causa della diffusa irregolarità del lavoro. Ma la pretesa di stabilire un salario per legge è anche una risposta sbagliata per ragioni procedurali: nei Paesi che hanno un salario minimo legale, il suo livello viene normalmente stabilito da commissioni tecniche, proprio per sottrarlo a quel mercato delle vacche politiche a cui abbiamo assistito in questi giorni».

Si tratta cioè di una trovata demagogica che peraltro rischia di essere anche vanificata dalle diffuse irregolarità già presenti attualmente sul mercato del lavoro. Tanti imprenditori, in caso di riforma di questo tipo, formalmente rispetterebbero i 9 euro all’ora, per non incorrere in sanzioni, ma farebbero lavorare molto di più i lavoratori, che per necessità sarebbero costretti ad accettare di lavorare in nero per alcune ore al giorno. Dunque, anche i benefici per il gettito fiscale sarebbero annullati da questo prevedibile sotterfugio cui molte aziende sarebbero costrette a ricorrere per tenere i conti in ordine e salvare i livelli occupazionali.

L’unico modo per far crescere i salari è potenziare la produttività e aiutare le imprese a produrre meglio, pagando di più i lavoratori, anche attraverso incentivi e meccanismi premiali. Peraltro due giorni fa, all’Assemblea annuale di Assolombarda, a Milano, il Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi ha chiaramente spiegato che quello del salario minimo non è un problema per le imprese italiane. «Se vogliamo parlare di salario minimo con una soglia di 9 euro non è un problema di Confindustria. I nostri contratti sono tutti superiori – ha detto Bonomi – Se prendiamo ad esempio i metalmeccanici di terzo livello il prezzo è di undici euro. L'industria non è vero che paga poco ma paga il giusto. Per capire chi sottopaga i lavoratori basterebbe incrociare i dati Inps con quelli del libro unico del lavoro».

Ma a suggerire cautela nella beatificazione del salario minimo quale panacea di tutte le storture del mercato del lavoro e strumento di equità nel trattamento dei lavoratori ci sono anche le diversità territoriali. La produttività media del lavoro nelle imprese del centro-nord è superiore, ma in quell’area c’è anche un problema di superiore costo della vita. Al sud, inoltre, la concorrenza del lavoro nero è molto più forte che al nord e il costo della vita è molto più basso. Bisognerebbe, quindi, ragionare anche in termini di potere d’acquisto della moneta per operare un’equa riforma del mercato del lavoro sul versante salariale. Gli squilibri interregionali di produttività del lavoro e di costo della vita rendono sconsigliabile l’introduzione di un salario minimo legale, che alimenterebbe ulteriori disuguaglianze tra i lavoratori e situazioni di sfruttamento. Il salario minimo risulterebbe cioè troppo alto per i lavoratori del sud, che pagano molto di meno per acquistare beni e servizi e troppo basso per quelli del nord, che farebbero fatica ad arrivare a fine mese.

In più in Italia il sistema retributivo è talmente farraginoso che tra il lordo e il netto si inseriscono tutta una serie di voci opache e fuorvianti. La struttura delle paghe, cioè, andrebbe snellita e semplificata, ma questo continua a non succedere. In definitiva, il populismo che sta dietro alla proposta di salario minimo lascia intravvedere la disperazione di quelle forze politiche sempre più distanti dal mondo del lavoro, che cercano, attraverso il salario minimo, di recuperare credibilità e voti. Per migliorare la vita dei lavoratori ci vuole, però, ben altro.