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ELEZIONI USA

Repubblicani uniti contro aborto e Planned Parenthood

Nella politica americana è quasi completamente assente la disciplina di partito. Lo si vede, benissimo, nel dibattito pre-primarie del Partito Repubblicano i cui candidati fanno di tutto per smarcarsi. Tra tutti c'è però un solo tema su cui candidati repubblicani convergono: la sacralità della vita e la lotta all’aborto.

Esteri 02_11_2015
Manifestazione contro l'aborto

Se c'è una cosa che nella politica italiana è canonizzata, mentre in quella degli Stati Uniti è quasi completamente assente, è la disciplina di partito. In concreto in America è molto difficile vedere politici intenti a ripetere a macchinetta alle tesi precostituite dei rispettivi vertici di partito. Lo si vede, benissimo, nel dibattito pre-primarie del Partito Repubblicano i cui candidati, invece di limitarsi a dire le stesse cose in modo diverso, fanno di tutto per smarcarsi per attirare l'attenzione dei futuri elettori. 

Dei grandi temi che stanno dominando la battaglia elettorale nessun ha la stessa opinione di un altro: in materia economica ci sono – da una parte - falchi come Rand Paul e Marco Rubio, che vorrebbero ridurre lo stato al minimo, e dall’altra i più moderati come Jeb Bush, solo vagamente definibile liberista. Non solo. Anche tra un Rubio e un Paul ci sono vistose differenze: basti pensare che Paul propone una flat tax del 14,5% per tutti, mentre nel suo programma Rubio mantiene la progressività fiscale con tre aliquote dal 15 al 35% sulla base degli introiti individuali o familiari (clicca qui). Lo stesso si dica per la politica estera, dove i candidati hanno opinioni diverse sul ruolo degli Stati Uniti nelle crisi internazionali: se Bush, in coerenza con la politica del fratello George W., è a tutti gli effetti un ‘falco’, Rand Paul, benché più moderato del padre Ron (convinto che gli Usa non debbano intervenire da nessuna parte), non è convinto che gli Stati Uniti debbano mantenere il ruolo di “poliziotto internazionale”. E c’è infine il caso di Donald Trump, che va avanti nel totale disinteresse di qualsiasi tema che non sia legato doppio filo all’immigrazione (che fino a un paio di mesi fa era l’unica issue sul suo sito elettorale, oggi affiancata da tasse e secondo emendamento (clicca qui).

Tra tutti c'è però un tema su cui candidati convergono con piccole differenze: la sacralità della vita e la lotta all’aborto. Rubio la difende strenuamente da cattolico osservante, Carly Fiorina da madre di una ragazza morta per droga, Ted Cruz da conservatore a tutto tondo e Rand Paul da credente convinto del diritto alla vita anche da un punto di vista libertario (nessuno può disporre della vita di un feto che è a tutti gli effetti un essere umano). Jeb Bush ha rivendicato di essere il governatore che ha fatto di più per la lotta all'aborto, mentre il neurochirurgo afroamericano Ben Carson - ad oggi favorito dai sondaggi - ha chiarito che a suo giudizio l'aborto è inammissibile anche in caso di stupro, mentre «se ne può discutere» solo nei rari casi in cui la gravidanza comporti un rischio per la vita della madre. Perfino Trump, che da ex liberal fino a qualche anno fa si dichiarava pro-choice, si è da tempo convertito alle posizioni pro-life: vuoi per un cambiamento ideale ed etico, come sostiene lui, vuoi per convenienza politica, come dicono i detrattori, è significativo che attualmente ogni candidato abbia grosso modo le stesse posizioni sul tema in questione. 

Anzi, tutti e dieci (non abbiamo citato i minori come Christe, Huckabee e Kasich) si stanno scagliando contro Planned Parenthood, che sta diventando così la battaglia etica più rilevante della campagna elettorale. Di cosa si tratta? Formalmente Pp è una fondazione indipendente che si occupa di "pianificazione familiare". In concreto è un'agenzia finanziata in gran parte dal governo per promuovere aborti e controllo delle nascite. Per capire più nel dettaglio i finanziamenti e le attività della no-profit più discussa d’America basta guardare il rapporto ufficiale 2013-2014 disponibile online (clicca qui).

Emerge che Pp ha come sponsor proprio il governo degli Stati Uniti che, coi suoi 528 milioni di dollari l’anno pari al 41% del bilancio, è di gran lunga il maggior finanziatore. I sostenitori della no profit sostengono che gli aborti occupino solo una piccola parte delle attività di Planned Parenthood (330mila su 10,6 milioni di interventi, pari al 3%) ma non è così: fra le attività di “contraccezione” ad esempio si fa rientrare la distribuzione di ben 1 milione 440mila «kit di contraccezione di emergenza» che, su richiesta, possono essere recapitati anche a casa. Si tratta delle cosiddette pillole del giorno dopo o dei cinque giorni dopo che, tecnicamente, provocano dei veri e propri aborti incidendo su un feto già in formazione. 

Di fatto Planned Parenthood non porta avanti solo una generica difesa dei diritti delle donne ma un programma politico e ideologico ben preciso: «Oggi», scrivono le due presidentesse Alexis McGill Johnson e Cecile Richards nell’introduzione all’Annual report, ««stiamo sperimentando un’esplosione di impegno sociale nella nuova generazione, fra attivisti, pazienti e medici. Queste persone rifiutano di sentirsi in imbarazzo e stigmatizzati per le proprie scelte sessuali, di controllo delle nascite e di aborto». Procedure che oggi «grazie a Planned Parenthood e l’Affordable Care Act (Obamacare ndr), più di 48 milioni di donne possono ricevere senza pagare». 

Una forte vicinanza ideologica e politica al governo Obama permette a Pp di ricevere moltissimi fondi nonostante i moltissimi scandali. Molti, come si può immaginare in una fondazione in cui circolano cifre a otto zeri, per corruzione e appropriazione indebita. I più significativi sono forse quelli che emergono da un breve documentario verità realizzato da LiveAction, che attraverso alcuni suoi associati ha messo in luce alcuni aspetti terrificanti delle pratiche di Pp (clicca qui). Alcune ragazzine di 13 anni hanno chiesto consulto per abortire un feto dopo un rapporto non protetto con un trentenne, ottenendo rassicurazioni dalle addette al servizio («non mi interessa», «non ho sentito l’età», «non devi dire niente»). In un caso un’addetta ha solo notare che la legge dell’Indiana non consente l’aborto delle minorenni senza il consenso dei genitori per cui in teoria la ragazza dovrà dichiarare l’età del suo partner. Ma la soluzione è arrivata subito dopo: basta scrivere che si tratta di violenza sessuale e che la ragazza non sa l’età del suo violentatore e l’aborto si può praticare senza alcun problema. 

Ma la parte più orrenda è quella in cui un finto donatore chiede che i suoi soldi vengano indirizzati esclusivamente per gli aborti di donne afroamericane. «Ho difficoltà», dice testualmente, «con l’Azione Positiva (programma che promuove l’inserimento con quote lavorative riservate per i neri ndr) e non voglio che i miei figli siano svantaggiati rispetto ai neri […]. Penso che meno bambini neri ci sono la fuori e meglio sia». Una direttrice dell’Idaho gli risponde: «Assolutamente, è fantastico». La battaglia contro Planned Parenthood è insomma un classico esempio in cui la lotta agli sprechi si affianca a un’istanza etica di primo piano. In casi come questi non si possono che dire due parole: forza Repubblicani.