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COLPI DI SCENA

Regno Unito, Tories divisi: Sunak cambia governo e svolta a sinistra

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Compleanno molto tormentato per re Carlo III. Psicodramma del governo conservatore britannico, con il licenziamento di Suella Braverman ("troppo" conservatrice) e la resurrezione di Cameron agli Esteri. Più la Atkins alla Sanità, un'abortista convinta.

Esteri 15_11_2023
David Cameron nella nuova squadra di governo

Mentre si celebrava il compleanno di re Carlo III, il 14 novembre (ieri per chi legge) andava in scena lo psicodramma del rimpasto del governo conservatore guidato da Rishi Sunak. Tre colpi di scena, degni di una serie Tv. Primo: licenziamento del Segretario degli Interni, Suella Braverman, rea di essersi lamentata in pubblico, con un articolo sul Times, della mancata reazione della polizia e del governo di fronte alle oceaniche manifestazioni pro-Palestina (e islamiche radicali). Secondo, il rientro, improvviso e imprevisto, di David Cameron (ora Lord) nel governo, con il ruolo di primo piano di Segretario agli Esteri. Terzo: la lettera di fuoco con cui la Braverman accetta le dimissioni… ma approfitta per dire al primo ministro Sunak tutto quel che pensa di lui.

La composizione del nuovo governo, la cui tenuta è tutta da verificare, non promette molto bene per i conservatori e soprattutto per chi li ha votati. Già dalle dichiarazioni di Sunak si può intendere una svolta progressista in tutti i campi. Nella scelta dei nuovi ministri anche quella del Segretario alla Sanità, Victoria Atkins (che fa meno notizia), indica questa direzione. E non è una buona notizia.

Il ritorno di David Cameron è l’episodio che ha colto maggiormente di sorpresa sia il Partito Conservatore che gli osservatori della politica britannica. L’ex premier, che diede le dimissioni dopo l’esito del referendum sulla Brexit del 2016 (da lui stesso voluto, per dimostrare che gli anti-europeisti erano in minoranza), era ormai dato per politicamente morto. Ma la politica britannica è scandita da morti che tornano in vita, come Churchill stesso, dato per politicamente defunto dopo i suoi fallimenti nella Grande Guerra e nell’immediato dopoguerra e invece dimostratosi un indispensabile premier nel conflitto mondiale successivo. Non c’è ancora uno scenario da guerra mondiale, ma con il conflitto in Ucraina e quello in Medio Oriente in piena escalation, Cameron, i suoi contatti internazionali e la sua esperienza, sono considerati indispensabili dal governo conservatore in carica.

Proprio l’esperienza e i contatti di Cameron possono essere sia un vantaggio che un tallone d’Achille. L’ex premier inaugurò un nuovo ciclo politico nei Tories, governando assieme al Liberaldemocratici, includendo un programma ecologista, legalizzando le nozze gay. Lasciò agli elettori scozzesi la decisione se separarsi o meno dal Regno Unito. E vinse la sfida nel 2014. Poi fece altrettanto con gli elettori euroscettici nel 2016 e la perse, perché al referendum, a sorpresa, vinse la Brexit. Riprendere Cameron al governo è una contraddizione politica. Nel 2019 i conservatori vinsero un’ampia maggioranza, sotto la guida di Boris Johnson, con la promessa di una netta rottura con le politiche di Cameron: stop all’immigrazione, uscita dall’Ue (anche senza un accordo) e una politica interna più conservatrice. Ritornare alle politiche pre-Brexit non è possibile, ma Lord Cameron agli Esteri vuol dire comunque un Regno Unito più vicino all’Unione Europea. E probabilmente anche alla Cina: uno degli aspetti più discussi è infatti il sospetto che l’ex premier faccia lobbying per conto di Pechino. Un sospetto corroborato da un suo recente discorso a favore del progetto della Nuova Via della Seta nello Sri Lanka.

Il dibattito ferve soprattutto attorno alle dimissioni di Suella Braverman, la titolare degli Interni, sostenitrice della linea dura contro l’immigrazione. Nella sua lettera di commiato rimprovera a Sunak di non aver rispettato i patti su nessuno dei quattro punti che aveva concordato al momento della formazione del suo governo. Basandosi sul manifesto elettorale del 2019, la Braverman chiede di rispettare: la riduzione dell’immigrazione legale e illegale, l’indipendenza del Regno Unito rispetto alle decisioni della Corte Europea dei diritti umani sull’immigrazione, la conclusione dell’accordo sull’Irlanda del Nord e la fine dei programmi ideologici (e gender) nelle scuole. «Lei non ha rispettato nessuno di questi punti», accusa l’ex ministro. E si chiede se il governo non abbia agito per incompetenza o per tradimento delle promesse elettorali. In queste tre pagine di rancore, uniche nel loro genere, si legge ancora il j’accuse sulla mancata reazione al risorgente antisemitismo e razzismo delle piazze pro-palestinesi, di fronte alle quali il governo non ha voluto varare provvedimenti ad hoc. È stato questo il motivo dell’editoriale scritto di suo pugno dalla Braverman sul Times, la possibile causa del suo licenziamento.

La lettera di commiato può anche essere letta come un avvertimento: la Braverman accusa Sunak di non essersi preparato a sufficienza alla difesa della Rwanda policy (il trasferimento in Ruanda degli immigrati illegali) di fronte alla Corte Suprema. E di non aver neppure preparato un piano B, in caso venga bocciato. Secondo la Braverman, il premier ha preferito “nascondersi in una coltre di pensieri velleitari” per “non affrontare decisioni difficili”. In caso di fallimento, l’ex ministro ha così già gettato la patata bollente sul premier e sul suo successore, James Claverly (che a sua volta ha ceduto gli Esteri a Cameron) con un ben argomentato “te l’avevo detto”.

Dalle scelte dei ministri e dalle accuse lanciate dalla dimissionaria Braverman, insomma, parrebbe che Sunak sia un laburista che veste i panni del conservatore moderato. Negli Usa lo chiamerebbero “Rino” (Repubblicano solo di nome). E lo dimostrerebbe anche la scelta della Atkins alla Sanità, settore delicatissimo da cui dipendono le questioni di vita e bioetica, dall’aborto all’eutanasia. Secondo l’associazione Right to Life, che monitora i politici su questi temi, la Atkins ha una storia di voto totalmente negativa, con 11 voti pro aborto e 2 astensioni (e 0 voti pro life). Una netta differenza con il predecessore Steve Barclay (distintosi per un gran numero di astensioni, ma con almeno 3 voti pro life) e soprattutto con Therese Coffey, ministro della Sanità scelta da Liz Truss nel suo brevissimo governo, una delle figure più pro life in assoluto della politica britannica.