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STRATEGIA CONTRO L'EPIDEMIA

Quella contro il virus è una guerra, comportiamoci di conseguenza

“Siamo in guerra” è il refrain. Quindi, in questa epidemia, comportiamoci come se fossimo veramente in guerra: i giovani e forti vanno a combattere, i fragili e gli anziani restano in quarantena. E occorre una preparazione sanitaria di base per tutta la popolazione. Solo così può anche ripartire il Paese

Politica 30_03_2020
Guardia Reale spagnola in azione

“Siamo in guerra” è il refrain. Finora si sono viste proposte abbastanza estreme da spietati mercanti e da mamme-chiocce. O tutti al lavoro, a mangiare la pizza e ad abbracciare i cinesi, o tutti chiusi in casa, prima in Lombardia, poi in tutta Italia. Se fosse un film si chiamerebbe "Zero sfumature di grigio”.

Di certo, purtroppo, non potremo rimanere in panciolle a casa per i prossimi mesi, aspettando, come nel deserto dei Tartari, gli aiuti dei nostri amici europei che, come sempre accade nel momento del bisogno, si sono rivelati per quello che sono. Forse, temendo i “Danaos” sarebbe meglio non fidarsi nemmeno troppo dei “nuovi amici” soprattutto se, probabilmente, dai traffici coi pipistrelli di alcuni di loro sembra sia guizzato fuori il virus.

Tuttavia, à la guerre comme à la guerre: durante un conflitto, l’autorità seleziona, arruola, addestra ed equipaggia gli uomini che devono andare a combattere contro il nemico. Il criterio di base è: età giovanile, sana e robusta costituzione. Gli anziani, le donne e i bambini restano a casa e i soldati feriti vengono ricoverati negli ospedali. Mutatis mutandis,  per i tempi a venire ci sentiamo di proporre una soluzione mutuata dall’esperienza bellica combinando la proposta italiana (quarantena), quella israeliana (separazione degli anziani) e quella britannica (immunità di gregge) con accorgimenti di tipo assistenziale e modulazioni di tipo statistico-sanitario.

Dato che la “sconfitta militare” all’orizzonte prodotta dal virus non sarebbe solo la catastrofe sanitaria, ma anche quella economica, la proposta di chi scrive è quella di far ritornare al lavoro solo gli italiani giovani e sani, lasciando a casa gli anziani, ma non solo loro: anche le persone con patologie pregresse e soprattutto anche coloro che convivono con anziani e/o persone fragili. Costoro, a parte i pensionati, dovranno essere mantenuti economicamente con un cosiddetto “Reddito di tutela”, un sussidio minimo, in modo che possano restare in quarantena, insieme con i loro parenti a rischio. Se i conviventi giovani e sani dimostreranno di potersi avvalere di un domicilio diverso, adattandosi a vivere da soli o con altre persone “forti”,  potranno tornare a lavorare e a percepire stipendio intero a condizione di interrompere tutti i contatti fisici coi loro parenti a rischio. Naturalmente, le sanzioni per eventuali infrazioni dovrebbero essere molto severe.

In sostanza, la parte giovane, sana e forte della popolazione (tale da poter eventualmente ammalarsi e autoisolarsi senza – statisticamente - lasciarci le penne)  dovrebbe tornare a combattere/lavorare per mantenere isolati non solo i deboli, ma anche i loro conviventi, fino a che non si stabiliscano dinamiche di immunità di gregge, condizioni di sostenibilità sanitaria o non emergano cure e vaccini. Ovviamente, dove possibile, si dovrebbe continuare utilizzare il telelavoro con turnazione per rarefare l’ambiente di lavoro, modulando l’inevitabile contagio.

Non sarebbe, quindi, fondamentale fare il tampone a tutti, che pure si dovrebbe praticare nella misura del possibile, ma si potrebbe cominciare col “richiamare alle armi”, in tempi stretti, le persone per fasce d’età, (20-40 anni, meglio se “automunite” per evitare mezzi pubblici) previa anamnesi e visita medica, rispedirle al lavoro ben “armate” di mascherine e con un “addestramento” sanitario sulle norme di igiene da rispettare. In questo modo, si rimetterebbe in moto la macchina economica quel tanto da non rischiare il default. Si comincerebbe a porre le basi per una immunità di gregge sostenibile guadagnando tempo senza massacrarsi finanziariamente. Non solo: questo tipo di “richiamo alle armi” dovrebbe essere regolato a seconda delle regioni in base all’aggressività e alla diffusione del morbo. La Basilicata, con i suoi 30 contagi,  non può sottostare allo stesso regime della Lombardia. Il “Reddito di quarantena” per i soggetti a rischio e i loro conviventi dovrebbe quindi essere prodotto dalla parte sana e forte della popolazione, così come certe regioni, come la Lombardia, sarebbero  “a carico” del resto d’Italia. Un onere sostenibile,  anche dato che gli anziani già percepiscono la pensione.

In questo senso, parafrasando Johnson, potremmo essere costretti a “perdere pochissimi giovani”, piuttosto che perdere i nonni e i malati in grande numero. Ma fino al 26 marzo, stando all’ISS, su 6840 deceduti, di morti accertati sotto i 40 anni, perfettamente sani, privi di patologie pregresse (cardiopatie, diabete, cancro, fibrillazione arteriosa, ipertensione) pare ce ne sia stato solo 1 (di altri 5 non si conosce l’anamnesi). Tra l’altro, la statistica dimostra che sono più esposti i maschi e anche in questo senso si potrebbero stilare delle percentuali per sesso.

Infine, qualcuno dovrebbe cominciare a parlare del “terreno” e non solo del virus. Louis Pasteur, in punto di morte, dichiarò: “Il terreno è tutto, il microbo è nulla”, ma evidentemente la sua raccomandazione è giunta fuori tempo massimo. Bisogna far capire a tutte le persone, forti e deboli, non solo come difendersi dal virus, ma anche come rendere più forte il proprio sistema immunitario. Così come in guerra, anche i civili vengono istruiti su come spegnere gli incendi e correre nei rifugi durante i bombardamenti, anche in questo caso la televisione, invece di limitarsi a raccomandare di lavarsi le mani, dovrebbe fare una seria operazione educativo-sanitaria della popolazione: alimentazione sana, integrazione, igiene e soprattutto abbandono delle abitudini cattive per la salute.

Lo sappiamo: sono discorsi sgradevoli, tuttavia,  come diceva Prezzolini: “la guerra è bella ma è scomoda”.