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STRASBURGO

Quando la Cedu riconosce il reato di blasfemia (ma solo per l'islam)

Una donna austriaca dice in un seminario che Maometto aveva sposato una bambina di sei anni e si chiede se questa non fosse pedofilia. Denunciata, viene condannata a pagare una multa. La Corte Europea dei Diritti Umani conferma la sentenza "per il mantenimento della pace religiosa". Per quieto vivere si accetta la legge sulla blasfemia.

Editoriali 27_10_2018
Sede della CEDU a Stasburgo

La Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo (Cedu, organo internazionale che non c’entra con l’Ue, da non confondere con la Corte di Giustizia Europea) ha emesso una sentenza che ricorda abbastanza la legge sulla blasfemia, in vigore in diversi regimi islamici. Ha infatti considerato legittima e giusta una sentenza penale di un tribunale austriaco ai danni di un’austriaca, rea di oltraggio a Maometto. Una condanna penale al pagamento di 480 euro, decisamente inferiore rispetto alla pena di morte comminata ad Asia Bibi in Pakistan, certamente, ma molto simile nei contenuti.

Il caso risale al lontano 2009. Conosciamo la donna austriaca dalla stampa internazionale solo per l’iniziale (S) e d’ora in avanti la chiameremo “signora S”. E’ stata abbastanza imprudente da introdurre, in un seminario “Rudimenti dell’islam”, l’argomento sensibile del matrimonio di Maometto con Aisha, figlia di Abu Bakr, una bambina di 6 anni, matrimonio consumato, secondo la signora S e non solo, quando la bambina aveva 9 anni. Secondo testimoni presenti alla lezione, la signora S avrebbe detto “gli piaceva farlo con le bambine” e “Come lo chiameremmo, se non un caso di pedofilia?” Apriti cielo. Denunciata è stata condannata nel 2011 da un tribunale penale austriaco a pagare una multa di 480 euro, più spese legali. La signora S ha fatto ricorso, invocando il proprio diritto alla libertà di espressione, ritenendo di aver “dato un contributo al dibattito pubblico”. Asserendo inoltre che “i gruppi religiosi devono poter tollerare critiche nei loro confronti”. Tuttavia anche il ricorso in appello è stato perduto e la Corte Suprema ha ribadito la condanna. Allora la signora S si è rivolta alla Corte Europea dei Diritti Umani. E la sentenza è arrivata giovedì. Secondo la Cedu, i commenti della signora S non sono oggettivi, mancano di riscontri storici obiettivi e non mirano a promuovere un dibattito pubblico. Secondo la Corte, i commenti della signora S, contrariamente a quel che sostiene lei stessa, “possono essere intesi solo come miranti a dimostrare che Maometto non sia degno di devozione”. Quindi, se non sono dichiarazioni basate sui fatti, “mirano a denigrare l’islam”. Dunque, la Corte ha emesso la fatwa (pardon, la sentenza): quella della signora S non è libertà di espressione. Quindi viene ribadita ancora la sua colpevolezza, come da sentenza austriaca.

Incredibile constatare quanta attenzione alla sensibilità religiosa abbia dimostrato la Corte di Strasburgo, soprattutto considerando che la stessa Corte aveva sentenziato, a gennaio, che usare le immagini di Gesù e Maria, anche in pose irriverenti, negli spot pubblicitari fosse perfettamente legittimo (le immagini le potete vedere qui). Come mai tutta questa tolleranza nei confronti dell’irriverenza anti-cristiana e, al contempo, questa intransigenza sui commenti sull’islam? Forse la risposta sta in un altro passaggio della sentenza, quello in cui si dice che il tribunale austriaco ha sapientemente equilibrato “il diritto di libertà di espressione con il diritto degli altri a veder tutelato il proprio sentimento religioso e ha servito il legittimo scopo di preservare la pace religiosa in Austria”. Ecco, bastava dir questo, senza addentrarsi troppo nell’esegesi del Corano e nella storia dell’islam: bastava dire che l’unica cosa che conta è preservare la pace religiosa. Se si insultano i cristiani, pazienza, non metteranno bombe. Gli islamici sì. Quindi meglio adottare, solo nei loro confronti, un codice in cui la bestemmia contro Maometto è reato.

Entrando nel merito, comunque, sia lecito constatare che non solo la signora S, ma anche la (o almeno parte della) tradizione islamica parla del matrimonio di Maometto con Aisha e non nasconde che Aisha avesse sei anni al momento delle nozze. Non ci saranno, per la Corte, “riscontri oggettivi o storicamente fondati”, però buona parte dei musulmani ci crede. Non solo lo credono: lo prendono ad esempio. Non a caso, i matrimoni minorili sono una piaga in tutte le società musulmane e stanno diventando un problema, ignoto ai più, anche nelle comunità islamiche in Europa. Si dirà che erano tradizioni pre-islamiche e che esistono anche in altre culture non cristiane. D’accordo. Ma l’islam le ha confermate, non le ha sradicate. Con la sentenza della Cedu, gli sposi di bambine si sentiranno ancora più legittimati: criticarli può comportare una bella multa, perché l’importante è preservare la pace religiosa.