Pride di Budapest, a sinistra la priorità è l’ideologia Lgbt
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Il campo largo della sinistra europea – ormai dimenticati gli operai – era presente in massa nella capitale dell’Ungheria per sostenere la causa gay e trans, in spregio alle leggi del governo Orbán. Ma è bene che conservatori e cittadini comuni facciano di più per resistere.

Missione compiuta: il campo largo della sinistra europea (italiana inclusa) si è ristretto ai soli gay e trans e nell’assalto al governo di Viktor Orbán. Gli eventi di sabato 28 giugno a Budapest potrebbero essere riassunti come segue: la lobby internazionale Lgbt è riuscita a sbattere il suo pride in faccia agli ungheresi, nonostante tutti gli avvertimenti del primo ministro, tutte le promesse della destra ungherese, tutte le modifiche legislative.
L’intero campo largo delle sinistre e dei liberali, con pochi del PPE, insieme ad una rappresentanza della Commissione europea, volevano dimostrare chi comanda in Ungheria, riuscendovi, almeno ieri; il tutto nel disprezzo delle leggi nazionali. Circa 100 mila persone, stando alle cifre riferite da Reuters e Associated Press, hanno sfidato il divieto governativo e gli ordini della polizia per marciare in quello che gli organizzatori hanno definito il più grande evento Lgbt nella storia dell'Ungheria, in un'aperta critica al governo del primo ministro Orbán. I manifestanti hanno rischiato un potenziale intervento della polizia e pesanti multe per partecipare alla 30^ edizione annuale del Budapest Pride, dichiarato illegale a marzo dal partito populista di destra al governo. Il 14 aprile, inoltre, il Parlamento ungherese ha approvato un emendamento alla Costituzione che consente al governo di vietare gli eventi pubblici delle comunità Lgbt.
Nonostante i resoconti gonfiati, festanti e gli idilliaci racconti della manifestazione di Budapest, a cui hanno partecipato rappresentanti del “campo largo” italiano, sabato le sinistre si sono riunificate solo nella contrarietà ad Orbán e alla sovranità di un governo nazionale democraticamente eletto. Operai? Giustizia sociale? Povera gente? Tutto azzerato miseramente. L’immagine della segretaria del PD, Elly Schlein, e di Carlo Calenda a braccetto a Budapest, dopo essersi dichiarati distanti rispetto a ogni minimo comun denominatore delle opposizioni a Roma, fotografa plasticamente la ridicola messinscena del sabato ungherese. Alla signora Schlein del «non si vieta l’amore per legge», vogliamo chiedere: nemmeno quello pedofilo sbandierato in questi anni al gay pride di Amsterdam? La deriva è totale.
La giornata era iniziata con una breve preghiera per le famiglie organizzata, fuori dal Parlamento, dalla sezione ungherese di CitizenGO, network cristiano che si oppone all'ideologia di genere. Con l’avvicinarsi dell’ora del corteo del pride, alle 15 di sabato, si sono svolte altre contro-manifestazioni in alcuni punti lungo il percorso ufficiale; le principali, organizzate dal partito nazionalista ungherese Nostra Patria (Mi Hazánk), erano state regolarmente autorizzate dalla polizia e sono riuscite solo a far deviare il percorso del pride.
Ma dov'erano i famosi conservatori ungheresi, protettori della sovranità nazionale e dei valori cristiani, mentre i cultori dell’ideologia di genere importata dall'estero profanavano le strade e le piazze di Budapest che solo un paio di generazioni prima avevano visto alcune delle più eroiche lotte per la libertà? Non si sono visti sabato. Chi ha dato prova di forza sono stati certi attivisti stranieri, Ong finanziate da George Soros, frustratissimi dal continuo successo elettorale del partito (Fidesz) di Viktor Orbán, e diplomatici stranieri incaricati dai loro governi di sbandierare la propria sessualità sotto il naso degli ungheresi, mentre issavano le bandiere del pride nelle loro ambasciate.
Dovrebbe essere ormai chiaro che nessuna modifica legislativa né nessun emendamento costituzionale, sinora approvati legittimamente dal Parlamento e dal governo, potranno mai impedire provocazioni così palesi da parte della lobby Lgbt, come il gay pride, a meno che i cittadini comuni non trovino il coraggio di riappropriarsi delle proprie strade. E sia chiaro: non esiste una "comunità Lgbt", come cercano costantemente di farci credere. Una comunità è un gruppo di persone unite da valori comuni e da un'identità culturale e storica condivisa. Quella Lgbt è una setta ideologica e un gruppo di interesse politico, a cui sia gli eterosessuali che alcuni omosessuali aderiscono per interessi personali, a volte per paura, a volte per dimostrare a sé stessi e a potenti lobby la loro alleanza contro un nemico comune: la morale cristiana e qualunque governo legiferi democraticamente contro i loro pretesi privilegi.
L'Ungheria non può permettersi un'altra dimostrazione di debolezza come quella di sabato. Ieri, domenica 29 giugno, Orbán ha definito il pride di sabato «ripugnante e vergognoso», accusando l'Unione europea di aver indirizzato i politici dell'opposizione a organizzare l'evento che si è trasformato in una protesta antigovernativa. La marcia di Budapest per le persone Lgbt si è trasformata in una delle più grandi manifestazioni di opposizione a Orbán degli ultimi anni, con circa 100 mila partecipanti che hanno sfidato il divieto della polizia e le minacce di multe per partecipare alla manifestazione. Orbán ne uscirà rafforzato?
Di certo, la sinistra del campo largo a Bruxelles e Roma ha dato prova della scelta costitutiva avvenuta definitivamente: basta operai e povera gente, impegno esclusivo a favore di ideologie alienanti come quelle del gender e dell’ambientalismo. In questa logica si colloca anche la carnevalata del gay pride di Milano, dove alcune decine di migliaia di persone – non certo 350 mila, come era stato preannunciato – hanno inneggiato a una vergognosa “Resistenza arcobaleno” e sfilato anche con bandiere palestinesi, dimenticando che in qualunque Paese islamico e persino a Gaza, per le loro gesta depravate, sarebbero tutti finiti fustigati e lapidati. Non così invece nell'odiato, da loro, Israele, ma questo fa parte della realtà, da loro ormai aborrita.
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