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IL DOCUMENTO DEGLI EMIRATI

Pluralismo religioso, ciò che fede e Concilio non dicono

Pur riconoscendo tutti i segnali positivi dell'incontro negli Emirati Arabi, non si può autorizzare l’affermazione di errori sulle verità della fede. Per questo non è accettabile che  il documento sulla fratellanza universale firmato da Papa Francesco e l'imam di Al-Azhar descriva il pluralismo religioso come sapiente volontà divina. Non c’è una sola riga dei testi del Vaticano II che possa giustificare una simile posizione. Lumen gentium parla di persone non ancora raggiunte dal Vangelo, non di religioni. Dovremmo pensare che il Figlio di Dio si fa carne e nel contempo vuole una religione, come l’islam, che nega sia la Trinità sia la verità dell’Incarnazione? Non può esistere un Dio schizofrenico. 

Ecclesia 07_02_2019

Non è intenzione di questa riflessione oscurare l’importanza del Documento sulla fratellanza universale, ai fini di una pacifica convivenza tra i popoli, firmato da papa Francesco e dal grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayebb, in occasione del recente viaggio del Pontefice negli Emirati Arabi. Le dichiarazioni circa il riconoscimento della tutela della libertà, della protezione dei luoghi di culto, l’impegno comune a difesa della vita e la condanna del terrorismo religioso sono certamente dei segnali importanti. 

Tuttavia nessuna circostanza può autorizzare l’affermazione di errori e la diffusione di confusione circa le verità della fede. Il riferimento è al paragrafo presente a p. 5 del documento congiunto, che così recita: “Il pluralismo e le diversità di  religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi”. 

Nella consueta conferenza stampa tenuta durante il volo di rientro, Francesco è ritornato sull’argomento, volendo ribadire con una certa fermezza che “dal punto di vista cattolico, il documento non si è schierato un millimetro [probabilmente, non si è distanziato di un millimetro, n. d. a.] dal Vaticano II, che è citato lì alcune volte. Niente. Il documento è stato fatto nello spirito del Vaticano II”. Il Papa poi confida di aver fatto leggere il documento ad alcuni teologi, indicando esplicitamente il teologo della Casa Pontificia, il domenicano padre Wojciech Giertych, il quale avrebbe approvato. Continua Francesco: “Se qualcuno si sente male, io lo capisco: non è una cosa di tutti i giorni e non è un passo indietro; è un passo avanti. Ma un passo avanti che viene da cinquant’anni, dal Concilio che deve svilupparsi”. Il Papa confessa di aver poi visto una frase che lo ha lasciato un po’ perplesso – non ha reso noto di quale frase si trattasse -, salvo poi essersi reso conto che si trattava di una frase del Concilio.

Certamente non può trattarsi della frase che considera il pluralismo religioso come la realizzazione di una sapiente opera divina, perché non c’è una sola riga dei testi del Vaticano II che possa giustificare una simile posizione. Lumen gentium, 16, parla di persone non ancora raggiunte dal Vangelo, o che appartengono ad altre religioni, che sono anch’esse “in vari modi ordinati al popolo di Dio”. Persone dunque, non religioni. Lo stesso testo, poco più avanti, afferma che “tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione ad accogliere il Vangelo e come dato da colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita”. La differenza è palese: un conto è affermare che nelle altre religioni esistono aspetti di verità e bontà che, in quanto tali, provengono da Dio e quindi “possono assumere un ruolo di preparazione evangelica”, come con maggior precisione afferma Dominus Iesus, 21; altro è affermare che le diverse religioni siano volute da Dio. Perché, in tal caso, bisognerebbe ritenere che anche gli errori di queste religioni, errori ben presenti al testo di LG, 16,  siano voluti dall’Altissimo. Dovremmo pensare che il Figlio di Dio si fa carne e nel contempo vuole una religione, come l’Islam, che nega sia la Trinità sia la verità dell’Incarnazione? 

Nemmeno il testo di Nostra Aetate, pur così “generoso” verso le altre religioni, giustifica un’asserzione del genere. La dichiarazione conciliare si pronuncia sull’unica origine degli uomini e sulla loro unica destinazione, ma considera le diverse religioni come degli sforzi umani per rispondere alle domande fondamentali dell’esistenza (cf. NA, 2). Parla poi di rispetto verso ciò che c’è di buono in esse e di stima nei confronti delle persone. Infine fonda la condanna di comportamenti discriminatori non sulla tesi che Dio voglia la pluralità religiosa, ma sul fatto che tutti gli uomini sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio.

Allora è evidente che l’affermazione presente nel Documento sulla fratellanza universale non trova nessuna legittimazione nei testi del Vaticano II; altro che non distanziarsene neanche di un millimetro... Si è così costretti a rivolgersi allo “spirito del Concilio”, come fa esplicitamente lo stesso Bergoglio, uno spirito che spinge la Chiesa avanti, oltre i testi del Concilio stesso. Sembra qui di vedere il ritratto dell’ermeneutica della discontinuità, tratteggiato da Benedetto XVI nel famoso Discorso alla curia romana del 2005: “Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l’intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito”. 

L’interpretazione autentica dei testi conciliari sul tema è stata offerta, tra l’altro, dalla Dominus Iesus, n. 21, un testo importantissimo che insegna che “le varie tradizioni religiose contengono e offrono elementi di religiosità, che procedono da Dio, e che fanno parte di «quanto opera lo Spirito nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e nelle religioni» (Redemptoris Missio, 29). Di fatto alcune preghiere e alcuni riti delle altre religioni possono assumere un ruolo di preparazione evangelica, in quanto sono occasioni o pedagogie in cui i cuori degli uomini sono stimolati ad aprirsi all'azione di Dio. Ad essi tuttavia non può essere attribuita l'origine divina e l'efficacia salvifica ex opere operato, che è propria dei sacramenti cristiani. D'altronde non si può ignorare che altri riti, in quanto dipendenti da superstizioni o da altri errori (cf. 1 Cor 10,20-21), costituiscono piuttosto un ostacolo per la salvezza”. Ritorna dunque la distinzione tra gli elementi di verità che provengono da Dio e le religioni in quanto tali, che contengono anche errori che sono ostacolo per la salvezza. Inoltre, se alcune “preghiere e riti” di tali religioni, che possono avere un ruolo di preparazione evangelica, non possono essere considerati di origine divina, com’è possibile che lo siano le religioni stesse? 

Allora, del percorso dei cinquant’anni di sviluppo del Concilio, evidentemente Francesco e i teologi da lui consultati, hanno saltato a piè pari il tratto di strada costituito dalla Dichiarazione Dominus Iesus. Curiosa ermeneutica che non trova aggancio nei testi e che non tiene conto dei documenti interpretativi ufficiali.

Un altro errore presente nel Documento sulla fratellanza universale, nel testo già citato, consiste nel ritenere che la libertà religiosa si radichi sul fatto che sia la volontà di Dio a fondare la diversità delle religioni. Senza voler entrare nei vari risvolti dell’ormai vexata quaestio della libertà religiosa, non si può non riconoscere che l’insegnamento conciliare riguarda l’immunità da coercizione da parte di chicchessia, in particolare da parte del potere statale. Non si tratta di un diritto positivo ad agire secondo coscienza erronea, ed ancor meno di un diritto positivo che nasce dalla bontà di qualsiasi adesione religiosa o dall’origine divina di ogni religione. È invece un diritto negativo, cioè un diritto ad esigere di non subire coazione nell’opzione religiosa, finché tale opzione non comporti delle conseguenze negative sul piano del bene comune, perché in tal caso il potere politico ha il diritto ed il dovere di intervenire nella sfera sua propria.

Il testo di Dignitatis Humanae, 2, insegna che “il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l'hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione”. Nessun riferimento al fatto che tale fondamento si trovi nella bontà del pluralismo religioso o, addirittura, nel fatto che sia Dio stesso a volere tale diversità. Al contrario “il sacro Concilio professa che Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano la via attraverso la quale gli uomini, servendolo, possono in Cristo trovare salvezza e pervenire alla beatitudine. Questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato la missione di comunicarla a tutti gli uomini” (DH, 1).

Paolo VI, a sua volta, in un discorso del 20 dicembre 1976 spiegò che “il Concilio, in nessun modo, fonda questo diritto sul fatto che tutte le religioni, e tutte le dottrine, anche erronee, che riguardano questo campo, avrebbero un valore più o meno uguale; lo fonda invece sulla dignità della persona umana”. Già, perché se il pluralismo religioso è voluto da Dio, l'errore di attribuire alle varie religioni un valore più o meno uguale è dietro l’angolo. Ma al di là di ciò, non c’è una sola pezza d’appoggio nei testi del Concilio per fondare la libertà religiosa sul fatto che Dio voglia la diversità religiosa. Quanto alla “libertà di essere diversi”, credo che occorrerà attendere un Vaticano III.

È piuttosto singolare che né il Papa né i teologi da lui consultati abbiano avvertito questo indebito ampliamento del senso dei testi del Vaticano II. E nemmeno si siano accorti che finiscono per dare l’immagine di un Dio schizofrenico, che un giorno dichiara per bocca del Verbo incarnato: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv. 14, 6); e sei secoli dopo, nella Sua “sapienza”, vuole una religione che insegna così:“il Cristo è figlio di Allah, questo è ciò che dicono con la loro bocca, imitando ciò che dicevano i miscredenti che li hanno preceduti. Allah li maledica! Come sono fuorviati!” (Sura 9 vers. 30).