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Pfizergate, la Corte europea conferma l'insabbiamento dell'Ue

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La Corte di Giustizia europea ha dato ragione al New York Times nella vertenza sugli sms tra la Von der Leyen e Bourla (Pfizer). Ennesima prova di corruzione e mancanza di trasparenza dei vertici di Bruxelles. 

Attualità 15_05_2025

La Commissione europea non ha fornito motivazioni credibili per respingere la richiesta del “New York Times” di consegnare i messaggi di testo scambiati tra il suo presidente e il direttore generale di Pfizer. Ieri la Corte di Giustizia europea, con la sentenza “T-36/23 - Stevi e The New York Times contro Commissione”, ha stabilito che l'amministratore delegato era in stretta relazione con l'Ue per i contratti per i vaccini contro il COVID-19 e che la Commissione ha negato senza giustificato motivo i documenti richiesti e oggetto di indagine giornalistica e dunque, se la Commissione non presenterà ricorso entro due mesi, sarà obbligata a dare libero accesso a tutti i documenti e messaggi intercorsi tra Ursula von der Leyen e Albert Bourla di Pfizer ai giornalisti della testata americana. Nel merito c’è dunque il “Pfizergate”, ma nel metodo, cioè nella cocciuta violazione della normativa sulla trasparenza (Regolamento 1049/2001), le pratiche oscure e politicamente indirizzate della Commissione e della sua Presidente che si confermano inquietanti, come si è anche recentemente dimostrato. 

Il “New York Times” aveva richiesto l'accesso a tali messaggi di testo scambiati tra il 1° gennaio 2021 e l'11 maggio 2022 tra la presidente della Commissione Ursula von Der Leyen e Albert Bourla di Pfizer, nel tentativo di far luce sull'accordo multimiliardario sul vaccino. In un'intervista nell'aprile 2021 era stato lo stesso Bourla ad aver affermato di  aver negoziato lo storico accordo di fornitura di vaccini con Von der Leyen per 1,8 miliardi di dosi, almeno in parte tramite SMS. L'ammissione suscitò immediatamente l'interesse di coloro che già sospettavano un gioco scorretto dietro a numeri così elevati, chiedendo la pubblicazione degli SMS per scagionare von der Leyen dalle accuse di corruzione.

La Commissione ha sempre respinto la richiesta di trasparenza sui messaggi, affermando che Von der Leyen non li aveva conservati. Ha inoltre affermato che i messaggi non rientravano nei documenti dell'UE ammissibili alle richieste di accesso ai dati ai sensi delle norme sulla trasparenza. La Corte non ritiene credibile che la Commissione non sia in possesso dei documenti richiesti, né che tale documentazione sia stata cercata con attenzione, perciò ha deciso sanzionare la Commissione perchè non aveva fornito nemmeno una spiegazione plausibile per giustificare la mancata consegna della documentazione. Lo scorso anno il Tribunale aveva accolto il ricorso per decidere sul caso, presentato dai legislatori dell'UE per ottenere l'accesso ai contratti e ai messaggi intercorsi tra Von der Leyen e Bourla. 

Il Tribunale, dopo aver ricordato che è necessario dare il massimo accesso al pubblico alla documentazione delle istituzioni, ha fatto notare che quando una istituzione afferma di non essere in possesso di una particolare documentazione, come nel caso in specie, dove si è detto più volte che i messaggi siano andati dispersi, l’affermazione dovrebbe essere presuntivamente vera. Tuttavia, si legge nella nota stampa della Corte relativa alla Sentenza, «le risposte fornite dalla Commissione nel corso dell'intero procedimento in merito ai messaggi di testo richiesti si basano o su ipotesi, oppure su informazioni mutevoli o imprecise.

Per contro, la giornalista e il “New York Times” hanno presentato elementi pertinenti e concordanti che descrivono l'esistenza di scambi, in particolare sotto forma di messaggi di testo, tra la presidente della Commissione e l'amministratore delegato di Pfizer nell'ambito dell'acquisto, da parte della Commissione, di vaccini presso tale società durante la pandemia di COVID-19. Essi sono quindi riusciti a superare la presunzione di inesistenza e di non possesso dei documenti richiesti. In una situazione del genere, la Commissione non può limitarsi ad affermare di non essere in possesso dei documenti richiesti, ma deve fornire spiegazioni credibili che consentano al pubblico e al Tribunale di comprendere perché tali documenti siano irreperibili». 

Quindi secondo la Corte i messaggi e gli accordi via Whatsapp tra i due protagonisti dello scandalo esistono o sono esistiti e dunque la Commissione è in fallo, in particolare perchè non ha spiegato in dettaglio quale tipo di ricerche avrebbe effettuato per trovare tali documenti, né l'identità dei luoghi in cui esse si sarebbero svolte; Inoltre non ha spiegato il non possesso dei documenti richiesti e se i messaggi di testo richiesti fossero stati eliminati e, in tal caso, se l’eliminazione fosse stata effettuata volontariamente o automaticamente o se il telefono cellulare della presidente fosse stato nel frattempo sostituito. Infine perché essa avrebbe ritenuto che i messaggi di testo scambiati nell'ambito dell'acquisto di vaccini contro la COVID-19 non contenessero informazioni sostanziali o che richiedessero un monitoraggio di cui dovesse essere garantita la conservazione. 

Dopo le denunce civili al Tribunale di Liegi, naufragate con la complicità del governo di Bruxelles ed il sostanziale insabbiamento dell'indagine da parte della Procura Europea (EPPO), che riceve proprio dalla Commissione i fondi per operare, la sentenza di ieri della Corte di Giustizia europea conferma la pericolosissima mancanza di trasparenza della Commissione europea, più volte evidenziata anche su queste colonne. Ennesima prova di opacità grave a nocumento degli interessi dei cittadini e degli Stati, che segue ad un'altra relazione storica dell’aprile scorso della Corte dei Conti Europea (CCE), in cui si afferma come da anni la Commissione viola i propri standard di trasparenza, rendendo deliberatamente «praticamente impossibile» l’individuazione di responsabilità all'interno delle strutture esistenti e opachi i finanziamenti miliardari alle Lobbies e ONG, come abbiamo descritto.

Perciò il “Pfizergate” è molto più di un ennesimo presunto scandalo di corruzione. È il simbolo della lotta senza fine per la trasparenza e la democrazia a Bruxelles, per altro verso, è il tallone d'Achille della cricca di burocrati irresponsabili, inclusa Ursula Von der Leyen, che si credono al di sopra delle leggi da loro stessi create. L’Europa è sotto attacco dal suo interno, c’è del marcio a Bruxelles e fingere che siano tutte rose e fiori è una semplice follia.