Dieci anni senza Biffi. Con padre Giorgio Carbone O.P.
Dieci anni senza il cardinal Giacomo Biffi. La puntata di questo Venerdì della Bussola ricorda l'arcivescovo di Bologna con padre Giorgio Carbone. Le cose di lassù, titolo degli esercizi spirituali, è la sua eredità.

Dieci anni senza il cardinal Giacomo Biffi. La puntata di questo Venerdì della Bussola ricorda la vita e gli scritti dell'arcivescovo di Bologna. Le cose di lassù, titolo del libro del cardinale Biffi, morto l’11 luglio 2015, è un'espressione che va intesa come la sua eredità spirituale e anche letteraria. Giacomo Biffi è una figura storica che ha caratterizzato il passaggio della Chiesa dal Secondo al Terzo Millennio.
Padre Giorgio Carbone, domenicano, risponde alle domande di Stefano Chiappalone, partendo dallo “sguardo alle cose di lassù”. «Era una costante nelle sue omelie: persino mangiare i tortellini, se fatto con lo sguardo alle cose di lassù, cambia il gusto dei tortellini. Esempi semplici che erano frequenti nella sua predicazione. Le cose di lassù era anche il titolo del corso degli esercizi spirituali che il cardinal Biffi predicò a Papa Benedetto XVI, editi da Cantagalli».
Papa Benedetto XVI stimava il cardinal Biffi e si dice persino che Biffi avesse ricevuto un solo voto nel Conclave del 2005: quello dell'eligendo Ratzinger. «Benedetto e Biffi, due uomini accomunati da un grande amore per Gesù Cristo e per la Sua sposa, la Chiesa. L'episodio sul voto in Conclave lo abbiamo pubblicato in Detti non scritti e scritti perché detti, cento aneddoti di Biffi, autentici, verificati. In uno di questi aneddoti si racconta che a Roma, nell’aprile 2005, immediatamente dopo lo scrutinio del Conclave, il cardinal Biffi avrebbe detto ad altri cardinali: “Se sapessi chi è il cretino che ha continuato a votarmi, lo prenderei a schiaffi”. Qualcuno gli fece notare che poteva essere proprio Benedetto XVI».
Altro aneddoto: sempre a Roma, dopo il funerale di Giovanni Paolo II, durante le congregazioni pre-Conclave Biffi si era imposto di non intervenire, per motivi di età. Giovanni Paolo II aveva accettato le sue dimissioni da vescovo di Bologna e nominato monsignor Carlo Caffarra quale suo successore. In queste congregazioni, Biffi si limitava ad ascoltare. Da questo ascolto emerge un quadro della Chiesa affascinante e diplomatico. Vengono fuori le cose belle e gli aspetti problematici. Biffi sente dentro di sé una voce: "Giacomo, o adesso o mai più". Il cardinale la interpretò come la voce della sua coscienza che lo spronava a dire la sua. Ma cosa dire? Ed esordisce il suo discorso con questa parola: "Santità: io mi rivolgo al futuro Papa che, chiunque verrà eletto, è comunque in mezzo a noi. Santità, non si preoccupi dei problemi del mondo perché quando Pietro venne convocato, Gesù non gli chiese cosa pensasse dei problemi politici di allora, dell'Impero Romano o di altro. Gli chiese solo: mi ami tu?" Questo è il nocciolo della missione del Papa, come ha ricordato anche Leone XIV. In quelle congregazioni, Biffi citò ed elogiò due volte il cardinal Ratzinger, fu l'unico che fece una dichiarazione esplicita di voto”. Una volta eletto Ratzinger, nel rito di obbedienza, il cardinal Biffi fu uno dei primi, si inginocchiò, baciò l’anello e disse: "Santità, io non ho mai pregato per il Papa, ma da quando c’è lei prego tutti i giorni". Pausa. "Sa, perché mi sento un po' responsabile". E Papa Benedetto gli risposte: "Eminenza, si conservi così". Poi arrivò l’invito di Benedetto XVI per pregare i ritiri spirituali”.
Padre Carbone conobbe Biffi nel settembre 2005 per pubblicare qualcosa con Edizioni Studio Domenicano. Ottenne udienza che doveva durare mezzora. Ricorda Carbone: «Il cardinale bruciò ogni aspettativa dicendo: “Tutto quel che dovevo pubblicare l’ho pubblicato”. Ma io avevo una carta di riserva: "Eminenza, mi dia modo di pubblicare il Quinto Evangelo perché altri editori non lo vogliono pubblicare. A me quel testo piace, fa riflettere e al tempo stesso diverte". E lui mi avvertì "Lei non sa che si andrà a mettere in un mare di guai". Pubblicato, è stato venduto moltissimo. C’è stata una persona, anonima, che ha acquistato tutta la giacenza di magazzino per distribuirla a tutti i membri del Sinodo della Sinodalità. L’ultimo frammento del Quinto Evangelo ironizza infatti sullo spirito assembleare tipico del Sessantotto: "Andate nel mondo intero e discutete, dal libero confronto dei pareri germoglierà la verità". A cui segue il commento ironico di Biffi: "compito degli Apostoli non è annunciare la verità, ma stimolare il dibattito, perché la verità troverà la strada per emergere, non come una tiranna che ha sempre ragione, ma come una figlia". Il Quinto Evangelo venne scritto nel 1969, fu profetico».
Non si comprende monsignor Biffi se non si ricorda il suo senso dell'umorismo. Ne aveva anche scritto approfonditamente: «Dio è il primo umorista, scriveva Biffi in Lettura cristiana del Libro di Giona, perché Dio si prende gioco di Giona. Per educarlo al senso della misericordia, lo educa attraverso la sua ironia. Il senso dell’umorismo è indispensabile per una seria vita cristiana. E non va confuso con il sarcasmo. L'umorismo infatti unisce due aspetti: il distacco dalle cose contingenti (che è tipico anche del sarcasmo), ma poi, proprio perché le cose contingenti sono accadute e hanno avuto effetti anche drammatici, l'umorismo sollecita in noi l’amore fraterno. Distacco e amore fraterno sono le due caratteristiche dell’umorismo. Dio è il primo umorista perché è trascendente, superiore a tutti, ma è prossimo a tutti al tempo stesso».
L’umorismo è uno dei primi aspetti che colpiscono di Biffi. Per Carbone, «era una virtù, una sua disposizione stabile del modo di vedere e fare le cose. Era un signore, prima di criticare aspettava molto tempo. Se aveva una battuta sulla punta della lingua lasciava che scappasse. Nella frequentazione doveva avere sempre la prima e l’ultima parola, ben consapevole del suo ruolo e anche della sua intelligenza, era di una lucidità intellettuale impressionante. Ed è stato lucido fino all’ultimo. Ricordo un altro aneddoto: durante l’Anno della fede, mi invitò e mi disse: "Ho scoperto che Napoleone non solo era credente ma era anche apologeta". Mi porse il libro sulle conversazioni sulla fede di Napoleone a Sant’Elena. Mi disse di ricavarne tutte le affermazioni di Napoleone che riguardano la fede e ne avrebbe scritto la prefazione. Così nacque: Conversazioni sul cristianesimo. Ragionare nella fede, un piccolo gioiello. Napoleone non solo dimostra di conoscere bene i classici, ma anche di essere un apologeta, perché questi discorsi li fa di fronte a due medici, ad un gruppo di generali francesi e un sacerdote cattolico mandato da suo zio. Il generale Carlo di Montholon era massone e non battezzato. Di fronte a questi personaggi così eterogenei Napoleone dimostra di avere fede in Cristo e lo definisce Vero Dio. Il generale Montholon si convertì in seguito alla frequentazione di Napoleone».
Il cardinal Biffi ha avuto sempre una grande curiosità intellettuale. Figlio di un legatore di libri, di famiglia umile, suo padre portava a casa i libri in costruzione. Ricorda padre Carbone: «Lui approfittava della presenza di questi volumi per divorarli, pur avendo pochissimo tempo per leggerli. E così è diventato quel che è diventato: leggeva Shakespeare, Dostoevskij, Solovev, non solo la patristica (era un esperto di Sant’Ambrogio)».
A proposito dell’Anticristo di Solovev: «in due discorsi del cardinal Biffi, si conosce il ritratto dell’Anticristo: vegetariano, pacifista, ecologista e non crede nella divinità di Gesù Cristo. Un buonista che predica la misericordia senza Dio, con la pretesa di essere più buono di Cristo. Pericolosissimo, come la tentazione originaria: sospettare che Dio non sia buono».
In conclusione, la parola chiave, come antidoto ai mali del nostro tempo: «Gesù è inclassificabile perché è un evento unico, non uno fra i tanti, ma il. Tutto quel che possiamo dire su Gesù lo dobbiamo dire per antonomasia. Non è uno dei tanti maestri, ma il maestro. È il Signore. Che ci libera dal rischio di essere vittime e schiavi di tanti signorotti. Se è il maestro, ogni persona è il liberto di Cristo: se ci ha liberati, vuol dire che noi in passato eravamo schiavi ed ora abbiamo davanti quelle che Biffi chiamava: le praterie della vita beata».