La santità per sé e i figli: la lezione dei coniugi Martin
Ascolta la versione audio dell'articolo
Dall’idea della vita consacrata alla scoperta della vocazione matrimoniale, dall’educazione dei figli alla morte santa. Nel giorno in cui i carmelitani scalzi celebrano la memoria congiunta di Zelia e Luigi Martin, ricordiamo l’esempio dei genitori di santa Teresa di Lisieux.

Oggi, 12 luglio, i carmelitani scalzi e la diocesi di Bayeux-Lisieux celebrano la memoria congiunta dei coniugi Luigi Martin (1823–1894) e Zelia Guérin (1831–1877), genitori di santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo (1873-1897). Luigi e Zelia sono anche ricordati singolarmente dalla Chiesa nel loro rispettivo dies natalis (il 29 luglio per lui, il 28 agosto per lei), ma la memoria congiunta tende chiaramente più a sottolineare come il matrimonio sia stato per loro – primi sposi a essere canonizzati insieme (18 ottobre 2015) dopo un vero e proprio processo – via privilegiata di santità e, allo stesso tempo, culla per la santità della loro prole.
Un matrimonio, il loro, che fu celebrato alla mezzanotte del 13 luglio 1858 nella chiesa di Notre-Dame di Alençon. Due ore prima, dunque la sera del 12 luglio, si erano sposati con rito civile, in ottemperanza alla legge francese. Si erano conosciuti appena tre mesi prima, ad aprile, lungo un ponte di Alençon; e Zelia era subito rimasta colpita dal suo futuro marito e confermata, nella sua impressione, da una voce interiore: «È quest’uomo che ho preparato per te».
Eppure, anni prima, entrambi avevano desiderato la vita religiosa. Luigi fu costretto a desistere, prima per la scarsa conoscenza del latino e poi, a studi avviati, per il sopraggiungere di una malattia. Zelia, che pure aveva problemi di salute già nella giovinezza, avrebbe voluto prendersi cura dei malati tra le Figlie della Carità, ma la superiora di Alençon la dissuase.
Entrambi accettarono dunque che il progetto di Dio su di loro era diverso da quello che avevano per un certo tempo coltivato. Vissero i primi dieci mesi di matrimonio conservando, di comune accordo, la verginità. Ma poi un sacerdote li consigliò a vivere in pienezza la vocazione matrimoniale, aprendosi al dono dei figli. Di figli ne arrivarono nove (sette femmine e due maschi), quattro dei quali morti in tenerissima età. Le cinque figlie sopravvissute all’infanzia si consacrarono tutte al Signore, quattro tra le carmelitane scalze (Maria, Paolina, Celina, Teresa) e una (Leonia) tra le visitandine.
Sia le gioie che i dolori, i lutti, legati ai figli erano vissuti dai coniugi Martin nell’abbandono alla volontà di Dio e nella consapevolezza che il loro primo compito di genitori era educarli al fine di far loro guadagnare il Paradiso. In questo senso, Zelia scriveva: «Non vivevamo che per loro, questa era la nostra felicità, e non l’abbiamo mai trovata se non in loro. Insomma, tutto ci riusciva facilissimo, il mondo non ci era più di peso. Per me era il grande compenso, perciò desideravo di averne molti, per allevarli per il Cielo». Luigi e Zelia superavano le tante difficoltà della vita quaggiù proprio perché sapevano alzare lo sguardo: sapevano di essere pellegrini verso la patria eterna, che il buon Dio ha preparato per coloro che lo amano.
Le stesse figlie dei Martin hanno lasciato preziose testimonianze sull’educazione ricevuta. È noto l’elogio, tra i tanti, che santa Teresina fece dei suoi genitori: «Il Signore mi ha dato un padre e una madre più degni del cielo che della terra». La loro educazione era amorevole, ma non certo lassista. Ad esempio, al processo di beatificazione di Teresa, una delle sorelle testimoniava: «La nostra mamma vigilava con grande attenzione sull’anima delle sue bambine e la più piccola mancanza non era lasciata senza rimprovero. Era un’educazione buona e affettuosa, ma oculata e accurata». Non meno importante l’apporto paterno: basti ricordare che la santa della “piccola via” diceva che il pensiero del papà la portava a pensare al buon Dio, del cui amore il genitore era evidentemente riflesso.
Luigi e Zelia univano la vita di preghiera a una sana cultura del lavoro, osservando il riposo domenicale. Lui era un orologiaio, lei una ricamatrice di merletti che si era specializzata nel difficile “punto di Alençon”. Le loro giornate iniziavano con la Santa Messa, insieme, alle 5 e mezza del mattino. Avevano una condizione economica agiata e davano il di più ai poveri, insegnando alle figlie a fare lo stesso.
Il loro esempio, come accennato, fu ammirevole tanto nelle gioie quanto nelle prove. Zelia morì quando non aveva ancora compiuto 46 anni, a causa di un tumore al seno che le causò dolori enormi, da lei accettati e offerti in unione a quelli di Cristo. A proposito di quell’ultimo tratto terreno della madre, una delle figlie testimoniava tra l’altro: «Non lascia mai il suo rosario, prega sempre malgrado le sue sofferenze, ne siamo tutti ammirati, perché ha un coraggio e una energia che nulla eguaglia. Quindici giorni or sono diceva ancora il suo rosario, tutto intero in ginocchio ai piedi della santa Vergine della sua camera, che lei ama tanto. Vedendola così malata, volevo farla sedere, ma era inutile».
Luigi tornò alla casa del Padre quasi 17 anni dopo la moglie e anche lui visse eroicamente la malattia, che si protrasse per più di cinque anni portandolo a una progressiva paralisi. Ma anche in quelle condizioni di declino, non smetteva di insegnare qual è il fine per cui siamo stati creati. «La malattia del papà – scrive padre Antonio Maria Sicari (Come muoiono i santi, Ares, 2016) – coincise con i primi anni della vita monastica di Teresa al Carmelo, ed ella imparò, guardandolo, come si fa a restare sempre figli di Dio, come Gesù sfigurato dalla sofferenza. Nell’ultimo incontro che ella ebbe col papà malato, alle grate del monastero, quando le figlie gli dissero “arrivederci”, Luigi poté solo alzare faticosamente gli occhi e indicare in alto col dito. Restò così a lungo, poi riuscì faticosamente a sillabare: - In cielo!».
“Sarò l’Amore… sarà l’Amore”, il docufilm su Teresa di Lisieux
La vita di S. Teresa di Gesù Bambino, dall’infanzia alla morte santa. La nascita della sua vocazione, la “piccola via” e l’eminente dottrina per cui è stata proclamata Dottore della Chiesa. Ecco “Sarò l’Amore… sarà l’Amore”, un docufilm da vedere.