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ELEZIONI SUD COREA

Per reazione al golpe, i coreani votano Lee: un ultra-progressista

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Per reazione al fallito colpo di Stato del presidente conservatore Yoon Suk Yeol, la maggioranza dei sudcoreani ha votato per Lee Jae-myung, l'ultra-progressista che flirta con la Cina. E che potrebbe aver problemi con Trump.

Esteri 05_06_2025
Lee Jae-myung

In Corea del Sud ha votato il 79% dei 44 milioni di cittadini in età di voto. L’affluenza alle urne è stata la più alta degli ultimi trent’anni, praticamente da quando la Corea del Sud, da dittatura nazionalista che era, è diventata una democrazia. La scelta degli elettori è stata molto chiara. Il 49,5% ha votato Lee Jae-myung, il candidato del Partito Democratico. Il conservatore Kim Moon-soo è stato staccato di quasi otto punti, avendo preso il 41,2%. Il motivo è chiaro: si tratta di una risposta della maggioranza dei sudcoreani al tentativo di auto-golpe del precedente presidente conservatore Yoon Suk Yeol, il suo maldestro tentativo, nel dicembre 2024, di imporre la legge marziale e liquidare l’opposizione con metodi militari. La maggioranza parlamentare, compreso il suo stesso Partito del Potere Popolare, ha votato contro la legge marziale. Dopo un braccio di ferro a tinte molto forti, Yoon è stato deposto e arrestato nella sua residenza dopo un lungo assedio che rischiava di degenerare in scontro armato.

La democrazia sudcoreana ha dimostrato di reggere al tentativo di instaurare una nuova dittatura e, personalmente, Lee Jae-myung è un esempio di robustezza senza pari: è sopravvissuto a un attentato (accoltellato alla gola è stato operato d’urgenza) e sta subendo cinque processi penali con accuse molto gravi che vanno dalla frode elettorale alla corruzione. Come negli Usa, l’anno scorso, in uno scenario altamente polarizzato, i coreani hanno ignorato le accuse e i processi, hanno votato il candidato visto come quello che li può salvare dalla dittatura latente dei conservatori. Dopo il brutto episodio del dicembre scorso, si può capire.

Tuttavia, adesso inizieranno i problemi. Se Yoon aveva cercato di sopprimere l’opposizione con la forza, è perché la considerava un’emanazione dei comunisti nordcoreani e cinesi. E l’accusa, un po’ fondata la era: il nuovo presidente Lee non nasconde le sue simpatie per il regime di Pechino. In caso di conflitto fra Cina e Taiwan, ha dichiarato che la Corea del Sud dovrebbe “starne alla larga”. Benché si consideri un alleato degli Usa, vuole comunque ristabilire maggiori legami con la Repubblica Popolare Cinese, già ora il primo partner commerciale dei sudcoreani. Sulla Corea del Nord, Lee dichiara di voler proseguire l’opera del governo attuale (che è espressione della maggioranza dei Democratici in parlamento), quindi pace e diritti umani.

In politica interna, Lee si distingue per le sue idee di estrema sinistra, tanto da definirsi il “Bernie Sanders sudcoreano”, riferendosi al senatore socialista americano. La sua agenda dei “nuovi diritti” include tutte le parole d’ordine del mondo progressista: introdurre l’educazione sessuale nelle scuole, sin dalla prima infanzia (non c’è ancora nella scuola dell’obbligo coreana); implementare i diritti Lgbt fin quasi al matrimonio gay (ma non lo nomina esplicitamente, prima vuole raccogliere il necessario “consenso”); estendere la copertura delle assicurazioni sanitarie alla contraccezione e all’aborto, in un paese in cui la sanità è prevalentemente privata. Sul lavoro, perora la causa della settimana lavorativa di 4 giorni, parificare i salari di uomini e donne, assumere sulla base di quote per le donne e gli immigrati. Favorevole alla green economy, vuole ridurre le emissioni chiudendo tutte le centrali termiche entro il 2040.

Questo programma di estrema sinistra non ha mai portato bene a tutti i leader europei che hanno provato ad applicarlo in modo radicale, basti pensare a Zapatero, a suo tempo. E ora trova anche un avversario sull’altra sponda del Pacifico: Donald Trump. Il presidente americano ha già lanciato segnali di forte insofferenza nei confronti della Corea del Sud, paese esportatore che considera un concorrente sleale sin dalla sua precedente amministrazione. Il 2 aprile, nel “giorno della liberazione”, Trump ha imposto una tariffa del 25% su tutte le esportazioni sudcoreane, poi l’ha sospesa per novanta giorni (come tutte le altre) in attesa di un negoziato. Le trattative sono state sinora sospese in attesa delle elezioni, il nuovo presidente dovrà subito lavorare col governo per raggiungere un’intesa. Le premesse, non tanto le riforme di sinistra interne (che comunque non sono gradite dall’amministrazione repubblicana), quanto il sodalizio con la Cina all’estero, non sono un buon punto di partenza.

Per aggiungere altra benzina sul fuoco, Trump ha ventilato l’idea (sul suo social network Truth) di ritirare le truppe dalla Corea del Sud, dove tuttora, a 72 anni dalla fine della Guerra di Corea, stazionano 28.500 militari americani. Per preservare la difesa sudcoreana da una possibile invasione della Corea del Nord comunista, Trump pretenderebbe un maggior contributo di Seul alla sua stessa difesa, la stessa linea che segue con i paesi alleati della Nato e con Taiwan.

Non tutto il male vien per nuocere, comunque, e un presidente e un governo di sinistra possono dialogare meglio con la Corea del Nord. E quindi possono fare da mediatori per un accordo sul nucleare che l’amministrazione Trump cerca sin dal 2017.