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RISPOSTA A DON GRAMPA

Pastora a messa, quel che il parroco non ammette

Il parroco di San Giovanni in Laterano a Milano risponde piccato alla Nuova BQ sul caso della Pastora a messa. Si affida alle opinioni, Ma è bene sapere che per la Chiesa cattolica sono dottrine vincolanti. Ne consegue che don Grampa dovrebbe trarre le debite conseguenze.

Ecclesia 26_03_2019

Sul finire del mese di gennaio un lettore aveva dato notizia dell’iniziativa “ecumenica” di don Giuseppe Grampa di ospitare la pastora battista durante la Messa delle 11. Un’ospitalità molto magnanima, che ha permesso alla sig.ra Anna Maffei di proclamare il Vangelo, pronunciare l’Omelia, restare in presbiterio per tutta la celebrazione e distribuire la Comunione. In un precedente articolo, abbiamo spiegato perché don Grampa abbia commesso degli abusi; il sacerdote ha risposto ad alcune critiche che gli erano state rivolte, sul notiziario mensile Come Albero, della Comunità Pastorale di San Giovanni il Precursore, marzo 2019. A parte il Credo del migrante in prima pagina, scritto da un tizio della chiesa presbiteriana statunitense, con le solite noiosissime banalità del tipo: “Credo in Dio onnipotente..., il Dio degli stranieri e dei migranti”; oppure: “Credo in Gesù Cristo, un Galileo sfollato, nato lontano dalla sua gente e dalla sua casa” (il che è oltretutto una balla, bella e buona); o ancora: “Credo nello Spirito Santo, l’eterno migrante in mezzo a noi”... Dunque, a parte questa roba qui, don Grampa prova a riportare una qualche motivazione al suo operato, esibendosi in uno slalom speciale degno di Hirscher, campione del mondo in carica di specialità. Don Giuseppe ha infatti bellamente evitato di rispondere alle precise rimostranze che gli avevamo mosso e che si basano sulla fede e la disciplina liturgica della Chiesa cattolica. Forse non aveva letto l’articolo, il che non è così grave.

Allora, onde evitare che si esibisca anche in uno slalom gigante, vorremmo che don Grampa rispondesse con un semplice “sì o no” alle seguenti domande:

  1. È a conoscenza del fatto che il Vangelo, durante la Celebrazione eucaristica, può essere proclamato solamente da un ministro ordinato?
  2. È disposto a seguire la normativa della Chiesa, secondo la quale “la lettura del Vangelo [...] è riservata, secondo la tradizione della Chiesa, nella celebrazione della sacra Liturgia al ministro ordinato. Non è pertanto consentito a un laico, anche religioso, proclamare il Vangelo durante la celebrazione della santa Messa e neppure negli altri casi in cui le norme non lo permettano esplicitamente” (Redemptionis Sacramentum, 63)?
  3. È a conoscenza del fatto che anche l’Omelia è riservata al solo ministro ordinato?
  4. Intende rispettare l’articolo 767 § 1 del CIC, per il quale “tra le forme di predicazione è eminente l'omelia, che è parte della stessa liturgia ed è riservata al sacerdote o al diacono”?
  5. È a conoscenza ed intende rispettare le normative presenti in Redemptionis Sacramentum, 151 ed in Immensae caritatis, secondo le quali occorre avvalersi del ministro straordinario dell’Eucaristia solo in casi di vera necessità e secondo i principi lì esposti?
  6. Lei aderisce e ritiene che ogni fedele debba aderire a questo canone del Concilio di Trento: “Se qualcuno dirà che nel santissimo sacramento dell'Eucaristia con il corpo e il sangue di nostro Signore Gesù Cristo rimane la sostanza del pane e del vino e negherà quella meravigliosa e singolare trasformazione di tutta la sostanza del pane nel corpo, e di tutta la sostanza del vino nel sangue, mentre rimangono solamente le specie del pane e del vino, conversione che la chiesa cattolica con termine appropriatissimo chiama transustanziazione: sia anatema” (Denz. 1652)?
  7. Lei aderisce e ritiene che si debba aderire a questo canone del Concilio di Trento: “Se qualcuno dirà che, fatta la consacrazione, nel mirabile sacramento dell'Eucaristia non vi è il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, ma solo nell'uso, mentre si riceve, e non prima o dopo; e che nelle ostie o parti consacrate, che dopo la comunione vengono conservate e rimangono, non rimane il vero corpo del Signore, sia anatema” (Denz. 1654)?
  8. Lei aderisce e ritiene che si debba aderire anche a questo canone: “Se qualcuno dirà che Cristo, dato nell'Eucaristia, si mangia solo spiritualmente, e non anche sacramentalmente e realmente, sia anatema” (Denz. 1658)?

È troppo, don Grampa, chiederle di rispondere in modo chiaro e netto a queste domande, con un sì o con un no, senza che lei ogni volta si rifaccia alla consuetudine autopoietica dello scambio di ambone e ad altre sue interpretazioni personali del dogma cattolico? Se non partiamo dalla fede e dalla disciplina della Chiesa cattolica parliamo di niente, perché sono questa fede e questa disciplina a decidere della bontà o meno delle sue iniziative ecumeniche, a prescindere dalle sue personali intenzioni.

Nel testo del bollettino, ci sono poi altre cosette che continuano a stonare. La prima: se lei afferma che la pastora “ha concelebrato come concelebrano tutti i fedeli presenti in chiesa”, potrebbe gentilmente spiegare cosa ci facesse in presbiterio, visto che tutti gli altri fedeli che “concelebravano” se ne stavano al loro posto?

La seconda: lei giustifica la richiesta alla pastora di distribuire la Comunione con il fatto che tre anni fa chiese la stessa cosa al pastore valdese, Giuseppe Platone, il quale poi le confidò “la sua profonda emozione per quel gesto che lo aveva coinvolto”. Bene. Se il sig. Platone o la sig.ra Maffei dovessero commuoversi profondamente anche nel pronunciare le parole della consacrazione, che si fa? O se un mussulmano dovesse commuoversi profondamente nel ricevere la Comunione che si fa? O se io mi dovessi commuovere profondamente all’idea di tenermi una particola consacrata in casa, nel cassetto della scrivania, che si fa?

La terza: visti i canoni tridentini sopra riportati, i suoi “ministri straordinari ecumenici”, se vogliono svolgere un ministero all’interno della Chiesa cattolica, sono tenuti ad aderire alla fede da essa professata; per quanto riguarda l’Eucaristia, devono credere nella “conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nel suo sangue”, come affermava Paolo VI nella Mysterium Fidei e come viene ribadito dal Catechismo della Chiesa cattolica 1375-1377. E devono anche credere che questa conversione avviene solo per la mediazione del ministro ordinato. Non le è venuto in mente di dubitare che nei suoi “ministri” queste condizioni non fossero presenti, viste l’assenza del sacerdozio valido e l’insufficienza della spiegazione della presenza reale da parte delle comunità protestanti? Perché qui non si tratta della modalità esplicativa contenuta nella dottrina della transustanziazione, ritenuta “appropriatissima” dal Concilio di Trento, ma del fatto di aderire alla realtà della totale conversione del pane e del vino nel Corpo e Sangue del Signore, a partire dalla consacrazione del pane e del vino, fino a che permangono le specie, quindi anche al di fuori della celebrazione eucaristica.

Se queste secondo lei sono solo opinioni, è bene sapere che per la Chiesa cattolica sono dottrine vincolanti. Ne tragga le debite conseguenze.