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IL SUCCESSORE

Papa Wojtyła parla ancora da Cracovia

Di fronte ai 60mila pellegrini giunti al “sacro monte” di Kalwaria Zebrzydowska, l'attuale arcivescovo di Cracovia ha ripreso un accorato appello di San Giovanni Paolo II del 1991 sulle sfide alla vita e alla famiglia, nel frattempo aumentate. Mons. Marek Jędraszewski parla con accenti che riecheggiano il suo predecessore sulla cattedra di San Stanislao e a cui, almeno in Europa occidentale, non eravamo più abituati.

Ecclesia 19_09_2022

Il ritorno di Karol Wojtyła: è il primo pensiero che sorge alla mente leggendo l’appassionata e vibrante omelia tenuta domenica scorsa, 11 settembre, dall’arcivescovo di Cracovia, mons. Marek Jędraszewski, al santuario di Kalwaria Zebrzydowska durante la Messa in occasione del XXX Pellegrinaggio delle Famiglie dell’arcidiocesi. Circa 60mila persone, radunate anche tra gli alberi, hanno seguito la funzione celebrata nello spazio esterno della basilica nonostante il tempo inclemente.

Una ricostruzione della patria non solo materiale ma nel suo ethos e nei suoi valori: è il messaggio lanciato dal presule in uno dei luoghi simbolo della Polonia – secondo per importanza soltanto a Częstochowa – e del pontefice che  guidò l'arcidiocesi di Cracovia prima della sua elezione al soglio di Pietro. Al “sacro monte” polacco, costruito nel XVII secolo, San Giovanni Paolo II era legato sin dall’infanzia, come lui stesso ricordava nella sua autobiografia del 1996 intitolata Dono e mistero: «Mi recavo lì spesso e camminavo in solitudine per quei sentieri, presentando al Signore nella preghiera i diversi problemi della Chiesa, soprattutto nel difficile periodo in cui si era alle prese con il comunismo». Proprio come ha fatto in questi giorni il suo successore sulla cattedra di San Stanislao.

Mons. Jędraszewski ha ripreso esplicitamente il drammatico appello di San Giovanni Paolo II a Kielce il 3 giugno 1991, nel corso del suo quarto viaggio apostolico nel Paese natale. Allora, il santo pontefice affrontò il tema dell’aborto, esortando a «cambiare atteggiamento verso il bambino concepito», che «non è mai un intruso», ma «una persona umana». Parlava di una «crisi» generale «che non ha risparmiato la famiglia, purtroppo neanche la famiglia polacca», conducendo a una «libertà schiavizzante». Un linguaggio così schietto era ispirato dall’amore per il suo popolo: «Forse è per questo che parlo così, perché è mia madre, questa terra! È mia Madre, questa Patria!», disse al termine di questa vibrante e accorata omelia (purtroppo disponibile soltanto in polacco nel sito della Santa Sede).

L’attuale arcivescovo di Cracovia ha invitato a ritornare a quel discorso, ricordando che la Polonia è la madre di ciascuno, anche dei bambini non ancora nati. Con un linguaggio altrettanto schietto e accenti simili a quelli del Papa polacco, mons. Jędraszewski ha preso spunto dalla Prima Lettura, tratta dal libro dell’Esodo, paragonando i polacchi di oggi agli israeliti di ieri «che si erano impegnati a obbedire al Signore ma si sono allontanati da lui. Hanno capito chi li ha fatti uscire dall'Egitto, eppure hanno creato una statua del vitello e l'hanno adorato»: un messaggio che il presule ha rivolto alla sua Polonia e anche all’intera Europa, esortando a interrogarsi sui «valori europei» di oggi.

Per Jędraszewski (e Wojtyła) la difesa della patria è legata alla difesa della vita e della famiglia. L’arcivescovo è rimasto sul vago, ma dopo aver evidenziato la meraviglia della famiglia e della vita, ha enumerato in dettaglio le sfide dell’ora presente (decisamente aumentate nei tre decenni trascorsi dal 1991): «Com'è possibile che l'uomo volti le spalle al Dio Creatore, che ha chiamato a esistere l'uomo a sua immagine e somiglianza come uomo e donna, e crei per sé definizioni completamente nuove di ciò che sono il matrimonio e la famiglia, promuovendo relazioni omosessuali, sostenendo una sorta di “industria” che produce bambini, sostenendo l'ideologia di genere, promuovendo i movimenti Lgbti+?». Ee non ha fatto nomi e cognomi, in molti hanno letto un’allusione a Platforma Obywatelska (Piattaforma Civica) di Donald Tusk nel suo accenno («che razza di partito è questo?») a quanti vogliono «promulgare una legge per uccidere legalmente i bambini non ancora nati». Criteri che non tengono assolutamente conto «né della vita del bambino, né del bene della donna, della società, della nazione».

Stanisława Leszczyńska e san Massimiliano Kolbe: nell’omelia dell’arcivescovo di Cracovia non dei principi astratti ma due modelli concreti incarnano «l'ethos dell'Europa, fanno parte della grande tradizione del cristianesimo, senza la quale l'Europa non può essere compresa». L’ostetrica polacca che, imprigionata ad Auschwitz, fece nascere migliaia di bambini, si oppose agli ordini del famigerato dottor Mengele e difese la vita a rischio della propria, nello stesso campo di concentramento dove san Massimiliano si immolò per salvare un padre di famiglia. «In questo contesto, come si può comprendere che l'aborto diventi un diritto di ogni donna e che sia considerato uno dei più preziosi cosiddetti “valori europei”?».

Non sono certo accenti nuovi per mons. Jędraszewski, che dal 2016 è arcivescovo della città di Cracovia – sede già cardinalizia, almeno fino a qualche anno fa – e neanche per l’episcopato polacco che nel 2019 lo difese dagli attacchi subiti per aver “urtato” la sensibilità mainstream che vorrebbe limitare la libertà di parola della Chiesa soltanto a ciò che è considerato politicamente corretto. Insieme ai vescovi della Polonia si schierarono anche quelli di Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. Un fronte compatto di pastori che hanno vissuto una parte della propria vita sotto la scure del comunismo – quando l’allora cardinal Wojtyła innalzava una croce a Nowa Huta, sfidando il regime che voleva farne una città “modello” priva di riferimenti religiosi – e, che oggi non temono di infrangere i nuovi “dogmi” laici.