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Papa mediatore, operazione fallimentare e mal gestita

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Il trattamento sprezzante riservato a Francesco dal presidente ucraino Zelenski è stato imbarazzante per il papa e il Vaticano. Sono stati commessi gravi errori, proprio dal punto di vista diplomatico. La Chiesa cattolica ha il compito di insegnare la giustizia e la salvezza in Cristo. Non deve scendere ai livelli dei potenti di questa terra.

Editoriali 17_05_2023 English Español

Il trattamento sprezzante riservato a Francesco dal presidente ucraino Zelenski – “non abbiamo bisogno di mediatori” – dopo il loro incontro dei giorni scorsi [QUI] è stato a dir poco imbarazzante per il papa e il Vaticano, per niente addolcito da qualche parola di circostanza, anzi aggravato dalle precisazioni successive. L’immagine che ritrae Francesco al centro di una coorte di esponenti del governo ucraino in tuta mimetica è stata certamente desolante per la Santa Sede. Non si è riusciti nemmeno a gestire il protocollo.

È vero che il rifiuto della mediazione vaticana ha fatto emergere con chiarezza un presidente ucraino desideroso di risolvere la questione solo con le armi, non concedendo all’altra parte alcuna possibilità di porre la minima condizione; è vero anche che di riflesso è emersa la grave responsabilità degli Stati europei nell’armare l’Ucraina senza spingere a nessun processo di pace … ma non si può negare che per la diplomazia vaticana sia stato un fallimento e una pesante perdita di immagine.

Sono stati commessi gravi errori, proprio dal punto di vista diplomatico. Nessuno esprimerebbe pubblicamente la propria disponibilità a fare da mediatore in un conflitto, senza essersi preventivamene assicurato l’accettazione da parte delle parti in causa. Il terzo che si propone come mediatore deve essere già certo, prima di pubblicizzare la proposta, che essa venga accettata. L’accettazione o meno non deve essere una eventualità ma una certezza preventiva. Se non si ha questa sicurezza è meglio non proporsi, dato il crollo di immagine e di influenza che comporterebbe l’eventuale “no”.

Secondariamente, se si avvia una azione diplomatica “segreta”, perché dirlo in una intervista mentre essa è ancora in corso? Eppure, proprio questo ha fatto Francesco, di ritorno dall’Ungheria, ricevendo in cambio la smentita del governo ucraino, il quale ha negato che tale attività diplomatica segreta ci fosse veramente, mettendo in grave imbarazzo il Vaticano, tanto è vero che è dovuto intervenire anche il Segretario di Stato Parolin. Sta di fatto che nessuno può fondatamente affermare che essa fosse in corso oppure no.

Tutta l’operazione del “papa mediatore” è stata impostata quindi in modo fallimentare fin dall’inizio e per tutto il suo corso, prima di tutto dal punto di vista della stretta prassi diplomatica. Queste cose si fanno in silenzio, ci si accerta preventivamente di essere accettati (quando nel 1978 Giovanni Paolo II evitò la guerra tra Cile e Argentina per la questione del canale di Beagle, la sua mediazione era stata richiesta dalle parti), si organizza la comunicazione e si regola il protocollo degli incontri perché sul piano dell’immagine sono di grande importanza. 

Questa sconfitta contrasta con il desiderio di Francesco di situarsi sul piano globale come un punto di riferimento, addirittura esprimendo una propria “geopolitica”. Padre Antonio Spadaro, gesuita direttore de La Civiltà Cattolica, ha anche scritto un libro dal titolo L'atlante di Francesco, edito da Marsilio. Secondo lui, Francesco sarebbe contrario ai semplificatori e a chi vede tutto come uno scontro definitivo tra bene e male, vorrebbe riportare al centro dei rapporti internazionali il dialogo e la misericordia, lavorare per un futuro di riconciliazione. Spadaro dice che “Lui ama toccare le ferite aperte che ci sono tra i popoli, tra le nazioni; vuole toccare i muri e questo per guarirli. Lo stesso gesto di Gesù!”. Dunque, continua Spadaro, “significa che di fatto per lui non ci sono situazioni incancrenite che non si possono risolvere; vuole toccare i luoghi feriti perché sa che tra i popoli e le nazioni non ci sono situazioni di conflitto che non possano esser risolte: è un’apertura grande verso il futuro”.

Fatto sta, però, che il prestigio internazionale della Santa Sede in questi ultimi anni è diminuito e l’ultimo atto di questo percorso all’ingiù è stato appunto il “no” di Zelenski. Il silenzio della Chiesa sulla questione dei diritti umani in Cina e il suo compromesso con Pechino hanno certamente avuto un ruolo importante. Ma anche il silenzio su vecchi e nuovi regimi comunisti latinoamericani. In quel subcontinente ci sono governi, come quello del Nicargua, che da molto tempo perseguitano anche gli uomini di Chiesa, o altri che accelerano l’introduzione di leggi contro la vita e la famiglia, ma non si sono sentite grida di allarme da Roma. Anche nei confronti di Hong Kong e del Venezuela il papa non è intervenuto. A ciò si aggiungano i suoi diversi discorsi “politici” e l’adesione sostanziale della Chiesa cattolica alle transizioni politicamente corrette, come quella ambientalista e green, quella sanitaria e quella degli obiettivi ONU per il 2030, che sono certamente di parte. Tutto questo ha offuscato il ruolo internazionale della Santa Sede.

La questione principale da porsi è se la Chiesa abbia come compito di fare le mediazioni diplomatiche. La Chiesa cattolica ha il compito di insegnare la giustizia e la salvezza in Cristo. Non deve, quindi, scendere ai livelli dei potenti di questa terra, proponendosi come uno di loro e operando secondo criteri politici, peraltro nemmeno bene adoperati. Può esserci il caso che due nazioni, specialmente se di tradizione cattolica, chiedano una mediazione, ma non deve succedere che il papa si proponga come mediatore, scendendo così ad un livello politico e politicante.