Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

REPORTAGE

Odissea in Ucraina: i profughi dimenticati

Un milione e 70mila sfollati, fuggiti dalla guerra nell'Ucraina orientale. E nessuno si occupa di loro. Persino il governo di Kiev è quasi assente. Ad aiutarli sono solo parenti e associazioni di volontari. Gli ucraini stanno imparando a fare da sé, non fidandosi più delle istituzioni. Reportage fra i profughi dimenticati di Slovyansk.

Esteri 05_03_2015
Profughi dal Donbass

La stazione dei treni di Slovyansk non dorme mai. Di notte le luci sono poche perché lo Stato deve economizzare sulla corrente elettrica, ma di movimento ce n'è molto. La biglietteria lavora a tutte le ore: stampa biglietti gratuiti di sola andata per quelli che hanno lasciato le loro case nella zona dell'operazione antiterrorismo. La gente che arriva è confusa e stanca. Ha poche cose con sé, quelle che riesce a portare a mano. Nella maggior parte dei casi ha dovuto lasciare la propria abitazione di fretta, durante una breve pausa tra un combattimento e l'altro, seguendo le indicazioni degli operatori umanitari che indicavano loro il corridoio per l'evacuazione dei civili. 

Poi l'arrivo a Slovyansk, dove i più provati, quelli che hanno dovuto camminare molto o gli anziani, vengono rifocillati in una tenda con un pasto caldo. Dopo, la registrazione nell'elenco degli “sfollati interni”. E infine una domanda a cui non è sempre facile rispondere: “Dove volete andare?” chiede l'addetta alla stampa del biglietto. A questa domanda e all'ospitalità di una notte su un vagone di un treno fermo in stazione, si ferma l'assistenza che lo Stato ucraino può permettersi di offrire agli sfollati. A occuparsi di loro, da questo momento in avanti, saranno parenti e amici, per chi ne ha, e le numerose associazioni di civili volontari che sono nate per fronteggiare la crisi nel paese. 

La maggior parte di coloro che non hanno idea di dove andare sceglie la capitale come prima meta. Kiev pullula di organizzazioni per l'aiuto e lo smistamento dei rifugiati interni. Ci sono quelle che si dedicano alla primissima accoglienza, come il Centro dei Volontari di Froliska, nato in estate dall'aggregazione di persone che individualmente si occupavano già da mesi della questione profughi. Si tratta di un centro molto grande nel cuore della città, tra il quartiere Podil e la salita di Sant'Andrea. Qui i rifugiati ricevono assistenza per i primi 45 giorni dal loro arrivo: vengono nutriti, vestiti, curati e aiutati a ricominciare, in particolare a trovare un nuovo lavoro, perché nessuno può farsi carico di loro per lungo tempo. L'unico servizio che non viene fornito a Froliska è quello della ricerca di un alloggio. Per questo ci sono altre organizzazioni, come Vostok SOS, nata dall'iniziativa di sfollati dalla regione di Luhansk che lavoravano già nell'ambito della difesa dei diritti umani. La fondatrice, Svitlana Tarabanova, racconta che quando è stata costretta a lasciare la sua città si è recata a Kiev con la figlia, è riuscita a farsi offrire un piccolo ufficio da un'associazione per la difesa dei diritti umani e ha cominciato ad accogliere le richieste e le offerte di alloggio da e per i rifugiati. Era maggio dello scorso anno quando Svitlana ha lasciato Luhansk, con il passare del tempo altri amici e colleghi l'hanno raggiunta e hanno cominciato a lavorare con lei. Vostok SOS è diventata una delle associazioni più importanti in Ucraina per lo smistamento degli sfollati: lavora in stretta collaborazione con UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) e ha anche una sezione che si occupa della negoziazione di ostaggi e dell'esfiltrazione delle persone dalle zone più violente e a rischio.

Slovyansk dopo un bombardamento

Secondo l'ultimo report di UNHCR (23 febbraio 2015) sono 1milione e 70mila gli sfollati interni, 284mila i richiedenti asilo in altre nazioni (di cui 280mila in Russia e 2149 in Italia) e 424mila gli ucraini che stanno cercando di formalizzare in altro modo la loro richiesta di ingresso in altri paesi. Per quanto questi numeri possano sembrare esorbitanti, si tratta comunque di statistiche al ribasso perché prendono in considerazione solo quelli che hanno seguito le procedure di registrazione del Ministero per le Politiche Sociali ucraino. Rimangono fuori in molti: quelli che hanno paura di registrarsi perché pensano di poter essere ricattati dai russi o perché hanno lasciato qualche parente nelle città occupate, quelli che si vergognano, o quelli che non ne hanno bisogno perché abbastanza benestanti o abbastanza aiutati. È il caso di Anna Ambarumiyan, imprenditrice 47enne di Donetsk che ha trasferito la sua impresa di manutenzione stradale a Slovyansk: “La mia attività va piuttosto bene. In città c'è molto da ricostruire. Ma a casa ho lasciato mio figlio e sua moglie che non se la sentono di lasciare i loro posti di lavoro”. È il caso di Mihailo, ex impiegato, che a Kiev è riuscito a cominciare una nuova vita con la moglie: “Ho comprato una macchina e ora faccio il tassista”. È il caso di tutti quegli imprenditori e agiati cittadini del Donbass che, trasferendosi nella capitale o in ucraina occidentale, hanno fatto sì che il prezzo degli appartamenti si sia alzato e il mercato dell'arredamento sia cresciuto.

Nessuno sa se tornerà a casa. Nemmeno i più fortunati. Alcuni dicono che se il Governo dovesse riuscire a riconquistare i territori occupati non tornerebbero comunque. L'Ucraina sta vivendo una nuova distribuzione della sua gente all'interno del suo territorio, e lo Stato non sembra in grado di rispondere a questo fenomeno. Lo scrive anche Amnesty International (25 febbraio 2015): “In Ucraina, la maggior parte dei rifugiati riceve un limitatissimo supporto statale e può contare solo sulle proprie forze, sui legami familiari e sull'assistenza delle associazioni di volontari”. La legislazione adottata per gestire l'emergenza sfollati appare inadeguata sia ad Amnesty International che a UNHCR, soprattutto perché le limitazioni alla libertà di movimento imposte nella zona di guerra rendono difficile la fuga delle persone e l'ingresso di aiuti umanitari. Ma il popolo ucraino ha saputo rimboccarsi le maniche e gestire l'emergenza, glielo riconosce Freedom House che premia la società civile ucraina come una delle più democratiche d'Europa, seppure in uno Stato non democratico e in transizione. “Nel nostro Stato non abbiamo mai creduto e continuiamo a non fidarci. Ma dopo Maidan qualcosa è cambiato- dice Lesya Litvinova, responsabile del centro rifugiati di Froliska- è la gente ucraina che ha imparato a supplire alle carenze dei suoi governanti”.