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CONTINENTE NERO

Nigeria, la mattanza continua

Sono più di 200 le vittime delle stragi compiute in Nigeria tra il 13 e il 15 marzo in sei villaggi di contadini quasi tutti cristiani. Stavolta la causa delle ostilità tra pastori e contadini è essenzialmente economica.

Esteri 18_03_2014
Nigeria, fossa comune

Sono più di 200 le vittime delle stragi compiute in Nigeria tra il 13 e il 15 marzo in sei villaggi di contadini quasi tutti cristiani. Il 13 marzo sono state attaccate le località di Mararrabar Maigora, Kura Mota e Ungwar Rimi, nello stato settentrionale di Katsina. Due giorni dopo è toccato a Ugwar Sankwai, Ungwar Gata e Chenshyi, tre villaggi situati nello stato centrale di Kaduna. Gli autori dei massacri questa volta non sono gli estremisti islamici Boko Haram, ma i pastori Fulani, da sempre in conflitto con le tribù contadine. Che i Fulani siano musulmani e i contadini (Berom, Tarok, Tiv…) cristiani non fa che aggravare le tensioni etniche. Ma la causa delle ostilità tra pastori e contadini è essenzialmente economica: da sempre – succede in tutto il continente – si contendono terre, sorgenti, pascoli da cui dipende la loro sopravvivenza. Inoltre i Fulani, come altre tribù di pastori, considerano la razzia di bestiame un modo con cui periodicamente incrementare le proprie mandrie.

Identica, stando ai racconti dei sopravvissuti, è stata la dinamica delle stragi. Gli aggressori, tanti, armati di coltelli e pistole, a bordo di macchine e motociclette, sono arrivati durante la notte cogliendo gli abitanti nel sonno e hanno inferito indisturbati per ore, prima che intervenisse l’esercito a metterli in fuga. Hanno dato fuoco a tutte le case. Molti dei morti sono bruciati vivi. Chi tentava di mettersi in salvo è stato ucciso a coltellate e a colpi d’arma da fuoco.

La notizia dei massacri giunge a pochi giorni dalla morte per opera di Boko Haram di altre decine di persone, uccise a Maiduguri, capitale dello stato nord orientale di Borno, e a Mafa e Mainok, due villaggi a pochi chilometri di distanza dalla capitale. A Maiduguri il 2 marzo i terroristi hanno fatto esplodere due autobomba in pieno centro, vicino a un mercato. La prima ha ucciso molti tifosi che stavano guardando una partita di calcio alla televisione, in un locale pubblico. La seconda, esplosa pochi minuti dopo, ha colpito le persone accorse in aiuto ai feriti. Le vittime in tutto sono state più di 50. Nelle stesse ore i Boko Haram ha attaccato Mainok, un villaggio situato a circa 50 chilometri da Maiduguri e lo hanno completamente distrutto incendiandolo e uccidendo 39 persone. Stessa sorte è toccata anche al villaggio di Mafa, poco lontano. In quel caso i terroristi, come talvolta succede, avevano annunciato l’intenzione di distruggere il villaggio, per seminare il panico. Molti abitanti erano quindi fuggiti, ma non tutti perché era arrivato l’esercito a presidiare la zona. Tuttavia all’inizio del raid i militari si sono ritirati trovandosi inferiori per numero e armi a disposizione, lasciando indifesa la popolazione tra cui si sono contate 32 vittime.

Disperato e duro è il commento del vescovo di Maiduguri, Monsignor Oliver Dashe Doeme, riportato dall’agenzia MISNA il 3 marzo: agli abitanti di Maiduguri non resta che affidarsi alle ronde di volontari che presidiano le strade per impedire gli attentati perché i soldati sono demotivati e male equipaggiati, “il governo destina grandi risorse alla sicurezza, ma c’è il sospetto che la corruzione ne sottragga una buona parte”.

Si tratta di un sospetto tutt’altro che infondato. La corruzione in Nigeria è dilagante, praticata senza ritegno a ogni livello dell’apparato statale, causa prima, più volte denunciata del mancato sviluppo di un paese che invece potrebbe essere tra i più ricchi del continente e del mondo grazie al petrolio che produce da quasi 60 anni. Proprio nei giorni scorsi il New World Wealth, un centro studi sudafricano, ha pubblicato un rapporto sulla situazione economica della Nigeria che conferma il paradosso di un’immensa ricchezza e di un’altrettanto sconfinata povertà. Dalla fine dei regimi autoritari, nel 1999, il paese, primo produttore di petrolio di tutto il continente, registra una crescita media annua del PIL dell’8,2%. Con il PIL cresce il numero dei nigeriani milionari, con un incremento secondo solo a quello dell’Egitto e del Sudafrica: 44% in sei anni. Al momento i nigeriani con un patrimonio superiore a un milione di dollari sono 15.700 e potrebbero diventare 23.000 entro il 2017. Per contro, la Nigeria continua a essere uno dei paesi più poveri del mondo, con un Indice di sviluppo umano che la colloca al 153° posto su 187 stati considerati, e con il 68% della popolazione sotto la soglia di povertà ovvero costretta a vivere con meno di 1,25 dollari al giorno.

Se la ricchezza si fosse trasformata in sviluppo umano non sarebbe così facile per Boko Haram reclutare miliziani tra i giovani senza futuro delle città del nord e trovare tra la popolazione consenso e complicità. Né la popolazione rurale continuerebbe a praticare economie di sussistenza, con l’incubo della carestia a ogni stagione, scongiurata razziando bestiame e raccolti altrui e lottando a morte per una sorgente o un terreno fertile. Un bambino nigeriano su tre muore di denutrizione mentre più di un quarto degli 82 miliardi di dollari in mano a poche migliaia di ricchi, in parte sottratti alle casse dello stato, invece di essere investiti in attività produttive, infrastrutture e servizi è custodito in banche straniere e in paradisi fiscali.