Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Zita a cura di Ermes Dovico

ISRAELE

Netanyahu, le ragioni di una vittoria a sorpresa

Benjamin Netanyahu era dato per sconfitto fino al giorno stesso per le elezioni. Invece, non solo ha vinto, ma ha anche conquistato una maggioranza solida per un governo stabile. Ora però inizia il difficile. Quale politica adotterà per non far scoppiare i rapporti con gli Usa e una guerra con i palestinesi?

Esteri 19_03_2015
Netanyahu e consorte dopo la vittoria

Avevamo dato per spacciato Benjamin Netanyahu e lui invece è uscito di nuovo vincitore dalle elezioni politiche per il rinnovo della Knesset. Con tutti noi commentatori delle vicende del Medio Oriente costretti a tornare a Canossa.

Ha vinto largo Bibi: era dal 1996 che il suo Likud non arrivava a toccare da solo la soglia dei 30 seggi; dall'anno, cioè, della sua prima vittoria elettorale ai danni di Shimon Peres, anche in quel caso giunta ribaltando i sondaggi della vigilia. Paese difficile per i sondaggisti Israele, con una società complessa e stratificata in mille gruppi sempre difficili da soppesare. Però - questa volta - davvero il risultato delle urne è il frutto di una rimonta clamorosa, portata a termine negli ultimi giorni della campagna elettorale con una mossa scaltra: drammatizzare il possibile successo della sinistra e della lista araba per ricompattare il fronte della destra, nettamente maggioritario in Israele eppure fino ieri diviso in mille rivoli.

Il risultato è che dalle urne l'Unione Sionista di Herzog e Tzipi Livni è uscita con giusto un paio di seggi in meno rispetto a quelli previsti; ma abbondantemente dietro al Likud, balzato in avanti strappando parecchi voti al suo alleato naturale, il partito di Neftali Bennett, il beniamino dei coloni. Netanyahu ha potuto così fare un'altra volta Bingo: non solo guiderà il suo quarto governo in Israele, superando così per durata nella stanza dei bottoni il padre della patria David Ben Gurion; ma lo farà anche con una maggioranza più omogenea rispetto a quelle dei suoi governi precedenti (il blocco nazionalista insieme ai partiti religiosi potrà contare, da solo, su 68 seggi sui 120 della Knesset) e con un peso specifico più forte per il suo Likud. In Israele - come questi giorni hanno confermato - ogni previsione vale il tempo che trova; però almeno sulla carta ci sono tutte le premesse perché il governo Netanyahu IV sia molto più stabile dei precedenti.

E allora la domanda diventa: che governo sarà questa volta? Il modo in cui Netanyahu ha vinto queste elezioni lascia in eredità alla politica israeliana due grandi nodi. Il primo è certamente la questione degli insediamenti: i coloni - determinanti per questa vittoria del Likud - batteranno cassa prima di tutto su questo punto. E questa volta senza Tzipi Livni o Yair Lapid dentro il governo a cercare di frenare. In una situazione in cui il processo di pace con i palestinesi non esiste e i rapporti con Washington sono già gelidi, c'è da aspettarsi che nei prossimi mesi vedremo un'impennata di bandi per nuove costruzioni di case in Cisgiordania. La comunità internazionale avanzerà le solite obiezioni, ma una coalizione di governo che ha vinto giocando la carta del «noi contro tutti» difficilmente si fermerà.

L'altro tema - forse ancora più incandescente - sarà la questione dei rapporti con gli arabi israeliani, il 20% della popolazione che è di etnia araba. Da tempo la destra preme perché Israele - che non ha una Costituzione - sancisca formalmente l'identità ebraica del proprio Stato. Ma questo è visto come il fumo negli occhi dalla minoranza araba, che vedrebbe sancita una sorta di cittadinanza di serie B. Con i numeri che ha ora alla Knesset difficilmente il nuovo governo Netanyahu farà marcia indietro. Anche perché l'altro fatto nuovo di queste elezioni è il risultato della Lista araba unitaria, divenuta il terzo partito del parlamento israeliano. Ci sono tutte le condizioni perché questa polarizzazione - più ancora del rapporto con i palestinesi che vivono nella Cisgiordania e a Gaza - diventi il tema dell'immediato futuro a Gerusalemme. Ed è una questione che preoccupa molto anche i cristiani - arabi anche loro in Terra Santa - che già devono fare i conti con l'intolleranza delle frange più fanatiche della destra ebraica, protagoniste di tanto in tanto di profanazioni contro chiese o altre loro strutture nella Città Santa.

In un contesto del genere un politico navigato come Netanyahu sa bene che la sindrome di Masada - rinchiudersi nella fortezza e puntare il dito contro il mondo cercando di resistere - può funzionare per vincere le elezioni, ma non può durare a lungo. E allora la vera prova della verità per il governo Netanyahu IV sarà il dopo-Obama: fino alle elezioni del novembre 2016 si barcamenerà con la Casa Bianca, ben sapendo che ormai Washington starà il più alla larga possibile da Gerusalemme. Ma con la nuova amministrazione dovrà per forza trovare la strada per rinsaldare l'asse con gli Stati Uniti, vitale per la sopravvivenza di Israele. Bibi conta molto sul ritorno dei Repubblicani nella stanza dei bottoni: anche il discorso sull'Iran al Congresso mirava più a indebolire Obama che a paventare prove di forza reali con Teheran. Ma il giorno che a Washington dovesse ritrovare davvero «un governo amico» per Netanyahu inizieranno le difficoltà: non potrà più rincorrere i coloni ma dovrà per la prima volta in vent'anni presentare un'idea chiara su come far stare insieme Israele e i suoi vicini. Vedremo se anche allora sarà capace di sorprenderci.