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UN RICORDO

Maroni e quell'autunno caldo della riforma del lavoro

Un ricordo personale di Roberto Maroni, il numero 2 della Lega, ministro e poi presidente della Lombardia, morto ieri di malattia. Nei giorni convulsi della riforma del lavoro, con la Cgil che mandava un milione di persone in piazza, Maroni aprì la strada a nuovi rapporti fra governo e parti sociali e alle successive riforme del lavoro. 

Politica 23_11_2022
Roberto Maroni

Roberto Maroni è nato al Cielo ieri. Un comune amico stava organizzando un possibile incontro con Bobo, nome di battaglia del numero 2 della Lega per molti anni, e forse ci saremmo incontrarti prima di Natale, dopo diversi anni. Con Maroni abbiamo avuto un lungo periodo di collaborazione segreta durante il suo mandato da Ministro del Lavoro e del Welfare. Mi azzardo ad accennare di quella che fu una significativa esperienza umana e professionale, solo perché sono trascorsi ormai 20 anni dalle convulse e straordinarie giornate che permisero alla politica italiana di uscire dalla ‘concertazione’ degli anni ‘70 e la fecero entrare, un poco rudemente, nel nuovo secolo delle consultazioni e nella condivisa ricerca di soluzioni innovative per la contrattazione ed il mondo del lavoro.

I mesi precedenti alla grande manifestazione di un milione di operai e pensionati della CGIL al Circo Massimo, si erano caratterizzati per la spinta seria e innovativa che Maroni aveva voluto dare alle relazioni con gli imprenditori e i rappresentanti degli operai. Grazie alla collaborazione tra il Ministro Maroni e il prof Marco Biagi ed i suoi allievi, in primis Michele Tiraboschi, si erano introdotte finalmente nella discussione sociale e civile italiana una serie di proposte di modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (divieto licenziamento senza giusta causa), ma soprattutto la fine dei riti che il paese si trascinava dagli anni ‘50, trattative e discussioni fiume tra governo e parti sociali con infinite mediazioni su ogni aspetto dei programmi elettorali e degli impegni programmatici dei governi della repubblica. Bobo, forte della determinazione coriacea del suo carattere e spinto forse dai timori delle polemiche interne al Consiglio dei Ministri, guidato da Silvio Berlusconi, ma al cui interno aveva le anime di destra (Fini ) e centro (Buttiglione) desiderose di non provocare rotture sociali, si decise ad assecondare l’idea di partecipare a colloqui riservati ed operativi con i Segretari della Cisl Savino Pezzotta e della Uil Luigi Angeletti su tutti gli aspetti innovativi delle proposte di Governo. Io ne fui testimone riservato e, per molti versi, organizzatore attento e prudente.

Non ci fu alcun pregiudizio nei confronti della Cgil, sia ben chiaro, fu Sergio Cofferati che, subendo la pressione delle proprie federazioni sindacali e dei DS (i Democratici di oggi), schierati aprioristicamente contro la nuova maggioranza di centro destra ed il nuovo governo guidato da Silvio Berlusconi in carica dal 10 giugno 2001, a non voler sentire alcuna proposta di dialogo e confronto. Fu proprio in quei mesi, funestati anche dall’omicidio politico di Marco Biagi del 19 marzo 2002, che conobbi da vicino Roberto Maroni, non per le leggende che si leggono in  questi giorni, ma per il tratto fermo, disponibile, talvolta canzonatorio e capace di stemperare le tensioni, ma anche attento e rispettoso di chiunque dimostrasse lealmente la disponibilità a confrontarsi. Il mio ruolo era molto semplice, mantenere aperto il dialogo, il confronto, ogni pertugio di possibile intesa sia sulle riforme, a partire dall’articolo 18.

Il dialogo iniziò e si sviluppò attraverso una serie di discussioni riservate, gli appuntamenti all’alba o a tarda serata, pranzi e cene fugaci organizzate fuori mano e che avrebbero dovuto apparire del tutto casuali, semmai fossimo stati scoperti. Così, dopo il muro contro muro che caratterizzò l’autunno del 2001, si passò ad una linea più morbida di dialogo sul merito delle riforme contestate dai sindacati, l’idea che nel rapporto umano si potessero aprire spiragli di comprensione si fece concreto. Cioè, sostanzialmente, la sospensione della garanzia del reintegro nel posto di lavoro, prevista dall'articolo 18 dello statuto dei lavoratori e il taglio dei contributi previdenziali pagati dalle imprese sui neoassunti. In parole povere, Roberto Maroni, ricco del suo realismo lombardo e dopo aver mostrato i muscoli, di fatto confermò la sua disponibilità a discutere nel merito, dicendosi pronto a modificare le proprie idee e proposte se si fosse dimostrato che altre proposte migliorative avessero portato risultati migliori.

Nessuna disponibilità al confronto con il governo, per la Cgil, senza lo stralcio della norma sulle modifiche dell’articolo 18. Intelligente e seria fu la proposta di riscrittura e/o profonda modifica dello Statuto dei lavoratori, fermo al 1970 e recentemente aggiornato solo nel 2021 e 2022, fatta allora da Tiziano Treu (Margherita) e da Giuliano Amato, che rivedeva le tradizionali categorie di diritti aggiungendone di nuovi, dal diritto alla formazione continua alla tutela dei periodi di disoccupazione tra un lavoro e l'altro. La morte di Marco Biagi fu uno shock per tutti, ma lungo tutto questo periodo ho conosciuto e apprezzato la franchezza e l’impegno di Roberto Maroni, pugnace e concreto servitore dello Stato e intelligente sostenitore delle ragioni di fondo dell’elettorato leghista.

Bobo ha saputo far bene ovunque, da semplice deputato a Ministro a Presidente della Regione a commentatore politico.  Chi lo critica per aver distrutto il ‘Modello Lombardia’, pur avendo una parte di ragione, avrebbe dovuto chiedere e confrontarsi nel merito, magari in tutta riservatezza. Roberto Maroni è morto di tumore, un malanno scoperto dopo anni di ingiusti accanimenti giudiziari, una fine simile a quella di molti di quei ‘democristianoni e socialistoni’ irrisi da lui e dai pochi altri ‘leader storici’ della Lega.