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IL RAPPORTO

Malattie veneree, boom tra maschi omosessuali. Lo dice l'Iss

L’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato un documento sulle infezioni sessualmente trasmesse (Ist) in cui, malgrado il linguaggio politicamente corretto, si riconosce lo stretto legame tra mondo Lgbt e Ist. I «maschi che fanno sesso con maschi» (Msm) il gruppo più esposto, con allarmanti aumenti di malattie: il triplo di casi con Ist dal 2000 al 2018, il decuplo per la sifilide e addirittura un incremento pari a 17 volte per la Chlamydia trachomatis. Sempre molto grave anche la diffusione dell’Hiv. Il trend non lascia tranquilli nemmeno per il resto della popolazione, ma lo stile di vita gay è un problema nel problema. E questo, se passerà il Ddl Zan, non si potrà più dire.
- IL DDL ZAN APPRODA IN AULA. E FORZA ITALIA SI RICOMPATTA, di Nico Spuntoni

Attualità 04_08_2020

Se non fosse un documento di fonte scientifica, l’ultimo rapporto sulle infezioni sessualmente trasmesse (Ist) in Italia, consistente in una quarantina di pagine pubblicate sul numero di luglio/agosto del Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità (vedi qui), potrebbe essere tranquillamente bollato come «omofobico». Già, perché le informazioni che contiene - basate sull’aggiornamento fino al 31 dicembre 2018 dei dati italiani relativi alle Ist, gruppo di malattie infettive che colpiscono milioni di individui in tutto il mondo - descrivono un mondo omosessuale assai meno spensierato di come la cultura dominante, trainata dai media, miri ad accreditarlo.

Per la verità, va detto che nel predisporre questo documento l’Istituto Superiore di Sanità - forse anche per mettersi al riparo da un’eventuale approvazione del Ddl Zan - ha pensato bene di accodarsi al lessico politicamente corretto in voga nella letteratura, secondo cui la categoria maschile si divide tra maschi eterosessuali ed Msm, acronimo che sta per «maschi che fanno sesso con maschi». Un modo astuto, bisogna riconoscerlo, per contenere il rischio di apparire «omofobi». Nonostante tali accorgimenti, tuttavia, l’Iss non ha potuto fare a meno - costretto dalla forza dei numeri - di riconoscere le scomode verità che legano il mondo Lgbt alle infezioni sessualmente trasmesse.

Di che scomode verità si tratta? In realtà sono molte. Ma possiamo cominciare riprendendo un dato generale che descrive come - nell’arco di tempo quasi ventennale considerato dal rapporto, dal 2000 al 2018 - i casi di infezioni sessualmente trasmesse che riguardano i maschi con tendenze omosessuali, pardon gli Msm, siano passati da 466 a 1.416: triplicati. Nello stesso periodo, è vero, le infezioni sessualmente trasmesse sono aumentate anche nelle donne e negli uomini eterosessuali, ma in quota più contenuta con un incremento rispettivamente del 32 e del 27%.

Un’altra nota «omofobica» emerge in relazione ai casi di sifilide che, nel complesso, negli Msm, sempre dal 2000 al 2018, hanno subito un aumento esponenziale, pari a circa 10 volte (negli uomini eterosessuali e nelle donne l’incidenza è raddoppiata). Con riferimento invece alla sifilide latente - quella riscontrata con prova sierologica, ancorché in assenza di sintomi - nel 2018 rispetto al 2000 negli uomini eterosessuali i casi hanno mostrato una riduzione di circa il 47,0%; non così tra gli Msm con i casi che non solo sono cresciuti: sono proprio raddoppiati.

La crescita più significativa, secondo i dati dell’Iss, è però quella riguardante l’infezione da Chlamydia trachomatis (Ct), la cui diffusione nel 2018 rispetto al 2000 è raddoppiata tra gli uomini eterosessuali, mentre i casi tra gli Msm - tenetevi forte - sono aumentati di circa 17 volte. Per quanto riguarda la gonorrea, dal 2000 al 2018 i casi tra i maschi etero sono rimasti stabili mentre, ancora una volta, tra gli Msm sono aumentati di circa tre volte.

Anche rispetto al linfogranuloma venereo (LGV) - malattia causata da tre ceppi unici di Chlamydia trachomatis e caratterizzata da una piccola lesione cutanea spesso asintomatica - l’aumento delle segnalazioni a partire dal 2006, con due picchi nel 2012 e nel 2016, ha interessato principalmente gli Msm, in buona parte coinfetti con l’Hiv e con un elevato numero di partner.

A proposito di Hiv, ecco cosa scrive al riguardo il rapporto dell’Iss: «La percentuale di MSM con IST testati per HIV è stata sempre più alta, nell’intero periodo, rispetto a quella degli eterosessuali sia uomini che donne; in particolare, nel 2018 la percentuale di MSM con IST testati per HIV è stata pari all’88,3%, mentre quella degli uomini eterosessuali è stata pari al 70,1% e quella delle donne è stata pari al 70,4%» (p.15).

Le conclusioni del documento, alla luce di siffatta inequivocabile mole di dati, è che «l’aumento di casi» complessivo di Ist tra gli Msm ne fa «un target primario per la prevenzione di queste infezioni» (p.25); per completezza va detto che tra le «popolazioni target» sono richiamati anche gli «stranieri» (p.26), ma certo gli Msm risultano a tutti gli effetti una categoria a rischio, se non quella più esposta.

Per questo motivo, se da un lato è vero che in generale sulle infezioni sessualmente trasmesse non si scherza (tanto più che dal 1997 in poi, i casi a livello complessivo, salvo brevi oscillazioni, sono sempre aumentati), dall’altro non si può negare che il mondo omosessuale sperimenti, al riguardo, un problema nel problema, verosimilmente legato allo stile di vita gay, che notoriamente non brilla per castità né stabilità affettiva. Ma questo, se passerà il Ddl Zan, non si potrà più scrivere. Toccherà limitarsi vellutatamente ad osservare, come si usa in ambito scientifico, che gli Msm sono «un target primario». Così non si offende nessuno, anche se la verità è quella che è.