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MOSTRE

ll segreto dei tarocchi

A Milano, la Pinacoteca di Brera ospita fino al 17 febbraio il più antico mazzo completo di tarocchi al mondo. Magistralmente dipinto nel XV secolo, è un vero concentrato di simboli in cui si mescolano filosofia, storia, religione e magia.

Cultura 26_01_2013
Dieci di coppe

Fino al 17 febbraio la Pinacoteca di Brera a Milano, con il titolo Il segreto dei segreti, espone in mostra le carte dei tarocchi dette Sola-Brusca dal nome degli ultimi proprietari, i conti Sola e i marchesi Brusca, acquistate dal governo italiano nel 2009. Il sottotitolo della mostra è di quelli impegnativi, tale forse da scoraggiare qualche visitatore: «I tarocchi Sola Brusca e la cultura ermetico-alchemica tra Marche e Veneto alla fine del Quattrocento». Ma la mostra merita una visita: con l’avvertenza che si tratta di carte da gioco relativamente piccole, e dunque è bene munirsi di buoni occhiali o meglio ancora di una piccola lente d’ingrandimento.

L’occasione è unica: si tratta del più antico mazzo completo di tarocchi, che comprende 78 carte: le 56 dei tradizionali semi italiani denari, bastoni, coppe e spade, più i 22 «trionfi» tipici del gioco dei tarocchi. La stessa Pinacoteca di Brera ha nelle sue collezioni mazzi di tarocchi più antichi, ma che non sono completi. Questo è completo, e – mentre vari musei europei possiedono esemplari a stampa di singole carte di questa tiratura – solo il mazzo Sola-Brusca, dopo la stampa, è stato colorato a mano.
Perché questo mazzo di carte è importante? E che cosa c’entra la «cultura ermetico-alchemica»? Il catalogo della mostra, curato da Laura Paola Gnaccolini (Skira, Milano 2012), è un vero gioiello, ma non è di lettura facilissima per i non specialisti. Cerchiamo dunque di spiegare le cose in modo più semplice.

Nessuno conosce veramente le origini dei tarocchi. Compaiono pressoché simultaneamente alla fine del Medioevo in diverse regioni europee, ma principalmente in Italia e in Francia. Sono carte che servono al loro dichiarato proposito: ci si gioca, per qualcosa che fa parte dell’evoluzione dall’antica e semplice briscola al più complesso bridge. Ma nello stesso tempo il periodo di tempo in cui sono nati – fra il tardo Medioevo e il Rinascimento – fa sì che i simboli sulle carte abbiano anche un significato che allude alla filosofia, alla storia, alla religione e alla magia. L’uso dei tarocchi – così come quello di altre carte da gioco – per predire il futuro a opera della cartomanzia – attività certamente poco raccomandabile, e che la Chiesa Cattolica riprova – è invece recente, non ha a che fare con la funzione originale dei tarocchi, e compare solo qualche anno prima della Rivoluzione francese.

L’alchimia è un sistema insieme scientifico, filosofico e spirituale – suscettibile anche di deviazioni magiche – che ha origine in India e in Cina prima della nascita di Gesù Cristo. Attraversa tutte le culture e consiste nel proporre procedimenti di distillazione e combinazione di elementi chimici – in questo senso, prepara la moderna chimica – che però sono anche occasione di meditazione e simbolo sia di un percorso filosofico (alchimia spirituale), sia della sacralità della vita sessuale umana (alchimia interna, con rischi sempre presenti di degenerazione in magia sessuale). Certamente l’alchimia fu coltivata nel Medioevo anche da buoni cristiani, tra cui il beato Raimondo Lullo (1232-1316), ancorché le opere alchemiche a lui attribuite, esposte a Milano e direttamente influenti sul mazzo Sola-Busca, siano in realtà apocrife.

Nel 1459 sono scoperti in Grecia – e portati in Italia, dove Marsilio Ficino (1433-1499) li traduce dal greco in latino – i manoscritti del Corpus Hermeticum, un insieme di scritti esoterici di epoca ellenistica attribuiti al mitico Ermete Trismegisto. L’alchimia incontra allora gli scritti ermetici, e nasce quella «cultura ermetico-alchemica» di cui parla la mostra milanese. L’espressione che fa da titolo alla mostra di Milano, «il segreto dei segreti», fu usata per il Corpus Hermeticum, ma si riferisce più direttamente a un testo esoterico che il Medioevo credeva scritto da Aristotele (383-322 a.C.) a uso dell’illustre discepolo Alessandro Magno (356-323 a.C.), ma che probabilmente fu compilato da esoteristi arabi poco prima dell’anno Mille.

Alessandro Magno è presente sia in uno dei «trionfi» Sola-Busca, che rappresentano principalmente uomini illustri dell’antichità, sia in allusioni che percorrono tutto il mazzo, così che un percorso di lettura delle carte – di origine ignota, ma forse legata alla corte degli Estensi a Ferrara, ovvero alla Repubblica di Venezia – è quello di un ammonimento a ben governare ai signori del Quattrocento, sull’esempio di Alessandro e di altri grandi dell’antichità.

L’altro percorso – su cui molto punta la mostra – è quello dell’alchimia. Anzitutto, l’alchimia dei metalli: così, nel tre di spade, tre affilate spade (che alludono a oro, argento e mercurio, i tre elementi più cari agli alchimisti) trafiggono un cuore, che rappresenta il fuoco alchemico. Tutto il seme di bastoni è dedicato all’agricoltura, e gioca sulle corrispondenze fra l’alchimia di laboratorio e la coltivazione della terra. E nel dieci di coppe compare lo stesso Ermete Trismegisto. La simbologia alchemica più complessa si ritrova nelle carte del seme di denari: qui non mancano allusioni all’alchimia interna e alla sessualità, ma tutto il seme è un complesso itinerario che paragona principalmente l’opera di raffinare i metalli a quella di far circolare i «denari» nella sfera economica – dove il denaro, in questo contesto simbolico, è una sorta di sangue che circola nella società – e al perfezionamento spirituale.

Gli studi che la curatrice della mostra, Laura Paola Gnaccolini, ha dedicato al mazzo Sola-Busca ne identificano in modo convincente e tendenzialmente definitivo l’autore, il pittore marchigiano Nicola di Maestro Antonio (1448-1511), e il committente nel patrizio veneziano Marin Sanudo il Giovane (1466-1536), che fu tra l’altro ambasciatore di Venezia a Ferrara. Congetturale, ma suggestiva, è l’ipotesi della curatrice secondo cui le carte sarebbero state concepite da Ludovico Lazzarelli da San Severino Marche (1447-1500), personaggio straordinario la cui importanza per la cultura ermetica-alchemica del Quattrocento è stata sottolineata da studiosi del calibro di François Secret (1911-2003). Se la tesi è esatta, al momento di fornire il concetto per i tarocchi Sola-Brusca Lazzarelli è appena passato da un entusiasmo per l’antica cultura pagana a un cristianesimo mistico legato al nuovo movimento religioso di Giovanni da Correggio (1451-1506?), che entra in Roma la  domenica delle Palme del 1484, alla testa dei suoi seguaci, vestito di scuro e su un cavallo nero, con una corona di spine sulla testa, presentandosi come nuovo Messia e nuovo Ermete Trismegisto. Giovanni finirà per farsi incarcerare dall’Inquisizione, ma più tardi – a Bologna e a Firenze –, mentre a Roma è preso sul serio dal Papa Sisto IV (1414-1484) e da diversi cardinali, e in seguito sarà protetto dal re di Francia Luigi XII (1462-1515).

Certamente il movimento millenarista di Giovanni da Correggio non è ortodosso. Ma i suoi richiami alla fine del mondo sono occasione per alcuni intellettuali come Lazzarelli di riflettere sulla caducità delle glorie umane tanto esaltate dall’Umanesimo. E nei tarocchi Sola-Busca, che nascono in questi ambienti – lo stesso Sanudo, il primo proprietario, ammira Giovanni da Correggio –, i simboli sono complessi, aperti a più interpretazioni. Ci sono l’alchimia, Ermete Trismegisto, i sogni millenaristi: ma anche il richiamo al buon governo e all’ascesa dell’anima verso la conversione.