Immigrati, Questura condannata. Resta il problema dei clandestini
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Il Tribunale ha condannato l’Ufficio Immigrazione della Questura di Torino per «discriminazione» e «colpevole inefficienza» nei confronti di 18 richiedenti asilo. Ignota al pubblico la loro provenienza. Il problema di fondo è il numero enorme di emigranti illegali, che, pur a fronte di un miglioramento del servizio, creano ritardi negli uffici preposti. Il Ministero farà ricorso.

Il 4 agosto il Tribunale di Torino, nella persona del giudice Andrea Natale, ha riconosciuto l’Ufficio Immigrazione della Questura di Torino colpevole di «discriminazione diretta, individuale e collettiva» nei confronti dei «cittadini stranieri che intendono formalizzare la domanda di riconoscimento della protezione internazionale». L’Ufficio è altresì colpevole di imporre loro «mortificanti condizioni». A denunciare la Questura di Torino sono stati 18 cittadini stranieri, assistiti dall’Asgi, Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, i cui avvocati sono specializzati in vertenze riguardanti emigranti illegali. La discriminazione subita consisterebbe nel fatto di non aver potuto prendere appuntamenti e accedere a prenotazioni on line come invece possono fare i cittadini italiani e quelli stranieri titolari di permesso di soggiorno. Ma nella sentenza, che è stata pubblicata l’8 agosto, il giudice parla addirittura di «criteri oscuri» nella scelta di chi far passare.
All’Ufficio Immigrazione torinese i mass media si sono interessati più volte per via dell’enorme mole di lavoro che deve svolgere, cosa che spesso costringe gli stranieri a ore di attesa in lunghe file che si snodano anche all’esterno dell’ufficio. Si verificano in effetti rallentamenti nell’espletamento delle pratiche che, sostengono gli avvocati dell’Asgi, nel caso dei richiedenti asilo si traducono nella violazione dei loro diritti: alla salute, al lavoro, all’iscrizione anagrafica, all’apertura di un conto corrente…
Oltre a dare ragione ai richiedenti asilo, e quindi a disporre che sia la pubblica amministrazione a sostenere le spese legali per un importo di circa 13 mila euro, il tribunale ha stabilito che, per porre fine alla «colpevole inefficienza» dell’ufficio, entro quattro mesi deve essere adottato dalla Questura di Torino un diverso modello organizzativo analogo a quello della Questura di Milano. La pubblica amministrazione deve inoltre provvedere a sue spese alla pubblicazione della sentenza, per estratto, sul quotidiano La Stampa e alla sua pubblicazione integrale, per la durata di quattro mesi, sul sito istituzionale del Ministero dell’Interno, sezione Immigrazione e asilo, e sul sito istituzionale della Questura di Torino.
È una sentenza destinata a fare storia. «Questa vittoria – si legge sul sito dell’Asgi – pone un tassello fondamentale nell’ambito della lotta alle prassi illegittime adottate dalle Questure sull’intero territorio nazionale ed apre la strada a nuove possibili azioni strategiche, stabilendo il principio per cui l’assenza di modelli organizzativi trasparenti e rispettosi della dignità personale costituisce una discriminazione diretta. La violazione dei diritti delle persone migranti non può essere giustificata da argomenti come la scarsità di risorse o la difficoltà di organizzazione degli uffici. Al contrario, è compito dello Stato predisporre risorse adeguate e strumenti efficaci alla tutela di coloro che si trovano sul suo territorio e che hanno diritto a formulare istanze alle sue amministrazioni locali».
La sentenza è al vaglio del Ministero dell’Interno, sarà presentato appello. La Questura di Torino non nega le difficoltà e i disagi, ma replica che nella ricezione del pubblico l’Ufficio Immigrazione di Torino «ha sempre cercato di garantire corsie preferenziali per i richiedenti asilo e di protezione internazionale particolarmente vulnerabili, come ad esempio nel caso di rifugiati politici». Per migliorare il servizio, dal marzo scorso sono stati aperti altri sportelli in sostituzione di quello fino ad allora utilizzato e l’organico è stato incrementato di 11 unità. Inoltre sono stati attivati il servizio “Prenotafacile” e una casella di posta elettronica dedicata al ricevimento delle integrazioni documentali necessarie al completamento di pratiche avviate e risultate incomplete.
Dall’1 gennaio 2025 al 31 luglio 2025 – informa la Questura torinese – «l’Ufficio Immigrazione di Torino ha emesso 48.919 permessi di soggiorno (circa 9.000 in più rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente). Più segnatamente, in materia di asilo sono stati emessi 4.333 permessi di soggiorno cartacei per richiesta di asilo (nello stesso periodo del 2024 erano stati 1.884) e 3.742 permessi di soggiorno elettronici per asilo/protezione sussidiaria /protezione speciale (nello stesso periodo del 2024 erano stati 2.478)».
Bastano questi numeri – e riguardano solo un Ufficio Immigrazione – a capire che la Questura di Torino può sì migliorare il servizio agli stranieri, moltiplicare sportelli e dipendenti, ma il problema resta ed è il numero insostenibile di emigranti illegali che ogni anno entrano in Italia e chiedono asilo. Dall’inizio del 2025 all’8 agosto ne sono arrivati altri 37.317. Considerando i loro Paesi d’origine, oltre il 75% di essi, se hanno chiesto protezione internazionale, lo hanno fatto per non essere respinti, perché non fuggono da situazioni che giustifichino la loro richiesta. Quindi dopo attenta, lunga, complessa e accurata verifica non otterranno asilo, ma intanto avranno creato ingorghi, rallentamenti, ritardi negli uffici preposti.
Non si sa chi siano e da dove provengano i 18 richiedenti asilo difesi dagli avvocati dell’Asgi. Né si sa come siano arrivati in Italia e perché abbiano chiesto protezione internazionale proprio all’Ufficio Immigrazione di Torino. L’ipotesi più plausibile dovrebbe essere che si tratti di persone entrate regolarmente, con un visto per lavoro, studio o turismo, scaduto il quale hanno deciso di rimanere in Italia e non hanno trovato altro modo che dichiararsi profughi. Se invece fossero arrivati illegalmente, via terra o via mare, avrebbero infatti dovuto chiedere asilo appena entrati e trasferiti nei centri di prima accoglienza, come quello di Lampedusa per chi attraversa il Mediterraneo o quello di Trieste per chi percorre la rotta balcanica, dove si procede alla prima identificazione e dove gli ospiti possono appunto chiedere protezione internazionale. A meno che siano scappati prima di formulare la richiesta, forse perché intendevano raggiungere un altro Paese europeo o perché preferivano la clandestinità. Poi hanno cambiato idea. Sarebbe interessante saperlo.