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il rapporto

L'Islamismo in Francia sta diventando un problema elettorale

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Un lungo rapporto dell'Eliseo ricostruisce le strategie politiche dell’islam sul territorio francese e il ruolo che giocano le figure istituzionali. E con l’avvicinarsi delle elezioni comunali, si teme la strumentalizzazione del voto comunitario per trasformare il voto musulmano in una leva elettorale. 

Esteri 27_12_2025

Khaled Meshaal, capo di Hamas, parla da lontano, ma con l’aria di chi osserva una mappa che lentamente prende la forma desiderata. All’inizio di dicembre, il leader dell’organizzazione terroristica palestinese, in una intervista esclusiva ad Al Jazeera, si è lasciato andare a un vanto che suona meno come una provocazione e più come una diagnosi: «La causa palestinese», ha detto, «è entrata nella mente dei giovani europei, e americani» diventando una «nuova divisione della resistenza» che non combatte nei tunnel o lungo i confini, ma «nelle strade, tra i giovani, nei campus universitari, nei partiti politici, là la causa palestinese ha ottenuto grandi risultati». Parole che trovano una sponda inattesa nei lavori del Parlamento francese che ha appena pubblicato il rapporto sull’islamismo nella République

Parigi vive da oltre un decennio sotto la pressione costante di un terrorismo islamico che continua a colpire e di un islamismo che in svariati contesti detta legge. Uno scenario corroborato anche dalla pubblicazione di due libri-inchiesta — I complici del male di Omar Youssef Souleimane e I nuovi antisemiti. Inchiesta di un’infiltrata nelle file dell’ultrasinistra di Nora Bussigny — che hanno acceso i riflettori sull’entrismo islamista nella classe politica francese, e che hanno contribuito a rendere ormai ineludibile una risposta istituzionale. L’Eliseo ha deciso di fare un passo formale: convocare una commissione parlamentare d’inchiesta per accertare l’esistenza e la natura dei legami tra l’islamismo politico e i partiti della sinistra.

Sei mesi di lavoro sotto pressione, scanditi da audizioni blindate, minacce personali e un clima di tensione costante, hanno condotto la commissione parlamentare francese a una conclusione che non ammette ambiguità: la minaccia terroristica non è arretrata, e l’islamismo politico continua a espandersi lungo linee meno appariscenti, ma molto pericolose. Trenta testimoni, tra cui tre ricercatori e due giornalisti, hanno richiesto un’udienza a porte chiuse temendo per la propria incolumità. La France Insoumise e Les Écologistes (I Verdi) sono gli unici due partiti citati e che per contatti, ambiguità e convergenze sollevano interrogativi inquietanti. 

Il rapporto, lungo 650 pagine, ricostruisce con dovizia di dettagli le strategie politiche dell’islam sul territorio francese e il ruolo che giocano le figure istituzionali. «L’islam politico non è una fantasia, non è un’astrazione, ma una minaccia reale, documentata e visibile», ha dichiarato il relatore dell’inchiesta, Matthieu Bloch, «Ha un volto legalistico e uno violento». E con l’avvicinarsi delle elezioni comunali, il rapporto lancia l’avvertimento della possibile strumentalizzazione del voto comunitario. «Queste consultazioni», si legge, «potrebbero offrire agli islamisti l’opportunità di trasformare il voto musulmano in una leva elettorale». 

Sul piano politico, il rapporto non si limita alla diagnosi: registra fatti. Diversi imam radicali hanno apertamente invitato a votare per La France Insoumise. Un segnale che rafforza l’idea di una saldatura elettorale ormai esplicita, almeno in alcuni territori. Le testimonianze dei prefetti delle grandi aree metropolitane, roccaforti elettorali di LFI, sono tra le più rivelatrici. Dal Rodano arriva una constatazione netta: due parlamentari del partito utilizzerebbero un discorso anticoloniale volto a rappresentare l’Islam e le comunità musulmane come vittime sistemiche, strumentalizzando questi temi a fini politici. Una linea che, avverte il rapporto, rende LFI perno dell’infiltrazione islamista.

Le città di Valenciennes, Douchy-les-Mines, Colombes vengono citate come casi-scuola di una stessa dinamica: l’ingresso progressivo di reti islamiste nel tessuto politico locale, attraverso meccanismi formalmente legali, ma politicamente destabilizzanti. In queste città, secondo la commissione, si osservano tre direttrici principali. La prima riguarda la presenza accertata di militanti o simpatizzanti dell’islamismo politico all’interno di liste elettorali e organismi consultivi comunali, in grado di influenzare voti, delibere e priorità amministrative.

La seconda concerne una mobilitazione mirata del voto comunitario, soprattutto nei quartieri a forte concentrazione musulmana, dove rivendicazioni identitarie — dai luoghi di culto alle associazioni “culturali”, fino a concessioni simboliche — vengono utilizzate come leva di scambio politico per trasformare un bacino religioso in un elettorato disciplinato. La terza direttrice è rappresentata da una rete di associazioni formalmente civiche che funge da cerniera tra attivismo religioso e politica locale: è in questo spazio grigio, sottolinea la commissione, che l’islamismo assume la sua forma “legalistica”, sfruttando le regole dello Stato per consolidare influenza e legittimità.

Il corteggiamento sistematico di associazioni islamiche, la difesa del velo a scuola come vessillo identitario, l’uso inflazionato dell’accusa di islamofobia contro chi critica il fondamentalismo, la sacralizzazione dell’immigrazione come dogma politico: tutto è diventato merce di scambio per una manciata di voti.

Elementi che si vanno ad incrociare con quanto ha messo in evidenza Céline Berthon, a capo della  Direzione Generale per la Sicurezza Interna: «Non solo gli attentati del 2025 e i cinque complotti sventati, ma l’evidenza di una forte presenza dell’islamismo in altre forme che minano la coesione nazionale: il separatismo e una delle sue manifestazioni, l’infiltrazione». Un allarme confermato da Bertrand Chamoulaud, direttore dell’intelligence territoriale, che ha voluto essere audito a porte chiuse, ma che già in passato aveva avuto modo di affermare come in Francia operino «diversi ecosistemi separatisti», almeno quattordici, strutturati attorno a moschee o associazioni di ispirazione salafita o riconducibili ai Fratelli Musulmani. Sul terreno, i numeri parlano da soli. Alexandre Brugère, prefetto degli Hauts-de-Seine, ha indicato settanta strutture sotto sorveglianza nel solo suo dipartimento.

Da qui la linea politica tracciata dal Ministero dell’Interno: ampliare i criteri di scioglimento delle organizzazioni includendo le minacce alla coesione sociale; rafforzare la cooperazione europea per impedire che associazioni sciolte si ricostituiscano all’estero; congelare i beni in caso di scioglimento; intensificare i controlli sulle scuole coraniche e sui flussi finanziari associativi; attribuire ai prefetti il potere di opporsi alla costruzione di luoghi di culto in presenza di indizi di separatismo o infiltrazione.

Da qui le 32 raccomandazioni con cui la commissione tenta di tradurre l’allarme in azione: controlli più stringenti sui sussidi alle associazioni, migliore informazione dei parlamentari, sostegno operativo agli eletti locali attraverso formazione, condivisione di intelligence e un dialogo strutturato con i prefetti. Particolare attenzione è riservata ai settori più esposti — scuola, associazionismo, sport, social network — dove l’islamismo politico trova terreno fertile per radicarsi.

A suggellare il quadro è la testimonianza di un ex dirigente di LFI nel Nord, Cédric Brun. La sua accusa è la più brutale ed è la ragione per cui ha lasciato il partito, «Non si tratta di infiltrazione, ma di una deliberata strategia politica volta ad accogliere questi profili per ottenere i voti mancanti al secondo turno delle elezioni presidenziali. È una scelta cinica. Il riavvicinamento tra La France Insoumise e tali individui, vicini all’Iran o ad altri paesi, e beneficiari di finanziamenti esteri, costituisce una minaccia per la nostra democrazia».