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REALTÀ VIRTUALE

L'inganno di chi finge di riportare in vita le persone

Nel 2017 la Elrios aveva presentato “With me”, un’applicazione che "permette" di chattare con un proprio caro defunto. Nel 2015 la Paranormal Games presentò il Project Elysium per offrire «l'opportunità di trascorrere del tempo con i propri cari in un ambiente virtuale». Ma chi ha perso un figlio non può che ribellarsi davanti a quanti «illudono chi soffre: mia figlia la posso incontrare solo nella preghiera e nella Messa»

Cultura 13_02_2020

Ha fatto il giro del mondo la storia della mamma sud coreana, Jang, che, avendo perso nel 2016 la figlia Nayeon di sette anni, ha voluto incontrare un’immagine virtuale della sua bimba. La scena, riportata in un video è straziante, perché si vede la donna con gli occhiali immersa in uno scenario in cui guarda l’immagine tridemensionale della figlia verso cui allunga le mani piangendo. Il cuore di qualsiasi mamma non può che ribellarsi scorgendo nella finzione una crudeltà enorme, un'illusione e perciò un’insulto alla memoria di una figlia.

Invece i giornali hanno salutato la trovata come l’ennesima conquista del progresso tecnologico, gioendo perché ormai questo è un’estensione della nostra esistenza capace di cancellare i confini fra vero e falso. Reale e irreale. La Repubblica ha scritto che «non siamo distanti dal realizzare realtà sintetiche sempre più perfette, androidi sempre più umani, visori sempre più leggeri. Annullando sempre più il confine tra il qui ed ora e l’altrove…non passerà molto prima di poter avere esperienze del genere alla portata di tutti, controllate da un comune smartphone e da un visore virtuale economico. E per aprire la porta del paradiso basterà appoggiare il dito su uno schermo, senza nemmeno bussare». A dire che l’uomo ha bisogno dell’eternità, per cui chi non crede in essa è una facile preda di questo mercato. «Ho vissuto un momento felice, il sogno che ho sempre voluto vivere - ha dichiarato Jang - era come fosse il Paradiso».

Non è un caso che la donna sia sud coreana dato che già nel 2017 la Elrios, compagnia della Corea del Sud operante nel settore del 3D al Mobile Word Congress di Barcellona aveva presentato “With me”, un’applicazione che permette di chattare e scattarsi selfie inserendo all’interno dell’immagine la riproduzione 3D del proprio caro morto o lontano. Non solo, perché la App permette anche di messaggiare con la persona scansionata e perfino di parlare con il defunto o il caro lontano. Eun Jin Lim di Elrois, creatrice dell’App, in un’intervista alla Bbc ha affermato che «Abbiamo sviluppato questa app per chi ha perso un membro della sua famiglia. Per esperienza personale, ho perso mia nonna qualche anno fa e rimpiango molto di non avere alcuna foto insieme a lei». Secondo la donna poi non si tratterebbe di una memoria fasulla, «perchè è un avatar realistico in 3D e una presenza effettiva nella mia mente. Dipende dall’opinione di ciascuno». Un pensiero in perfetta linea la mentalità per cui ciò che è vero o falso non è più dettato dalla realtà ma dalla volontà dell’essere umano.

Già nel 2015 la Paranormal Games presentò il Project Elysium, ideato da due cari amici, Nick Stavrou e Steve Koutsouliotas, che avevano perso entrambi i genitori: «Stiamo offrendo alle persone l'opportunità di trascorrere del tempo con i propri cari in un ambiente virtuale su misura, privato e con script», spiegò Stavrou certo che si trattasse di «un’esperienza terapeutica volta ad aiutare le persone».

I rischi di questa tecnologia sono stati già messi in luce dalla letteratura e la cinematografia. La serie britannica Black Mirror ha rappresentato la storia di una donna che, perso il marito, lo rincontra nella realtà virtuale: tramite le sue e-mail, i suoi sms, i video e le foto interagisce con una versione dell’uomo che non è abbastanza reale per soddisfarla, ma nemmeno così falsa per smettere di farla vivere nella finzione. Al di là di questi estremi possibili, non si può pensare che tutto questo non abbia conseguenze. Anche perché è molto più umano vivere del ricordo reale dei propri cari con cui abbiamo parlato liberamente, riso liberamente, litigato liberamente. Ma sopratutto da cui siamo stati amati liberamente. E non per finta.

Dicono non ci sia dolore più profondo della perdita di un figlio piccolo nella innocenza dei suoi anni. E chi è madre questo può capirlo. Ma certamente non si può accettare che una finta immagine del suo piccolo le sia proposto come palliativo. Perché oltre a trattarsi di un surrogato grottesco, incapace di lenire il dolore, significherebbe avallare una presa in giro disperante che, anziché aiutare le persone ad accettare la morte, potrebbe indurrle alla follia.

C’è solo un modo infatti per non perdere i nostri amati e continuare a vivere un rapporto reale con loro. Sebbene privo della consolazione della carne, e non solo nella memoria e nell'attesa del Paradiso. A testimoniarlo è la mamma di Laura Degan, una delle bimbe sante di cui La NuovaBQ ha raccontato la breve ma ricchissima esistenza a testimonianza della vita eterna: «Mi fa veramente molta pena e mi inquieta che ci siano persone che illudono chi soffre... Non so che dire, ma penso mia figlia nella Comunione dei Santi e so che solo la preghiera e la Santa Messa sono i "luoghi" dove la posso incontrare».