Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Espedito a cura di Ermes Dovico
RIVELAZIONI SU BOSTOCK

Licenziato perché spendeva troppo, non perché gay

Sarà pure una sentenza storica, ma si basa su una menzogna e, soprattutto, non parifica le persone Lgbt alle altre, ma le pone iniquamente sopra tutte. Il giudice che ha disposto il licenziamento di Bostock dichiara che l'assistente sociale ha speso centinaia di dollari in ricevimenti e iniziative infruttuose. Non è stato licenziato perché gay. Eppure...

Attualità 21_06_2020

Sarà pure una sentenza storica, ma si basa su una menzogna e, soprattutto, non parifica le persone Lgbt alle altre, ponendole iniquamente sopra tutte. Stiamo parlando del verdetto Bostock v. Clayton County, Altitude Express v. Zarda, R.G. & G.R. Harris Funeral Homes v. EEOC con il quale la Corte Suprema degli Stati Uniti, come la Bussola ha già raccontato, ha stabilito è illegittimo licenziare un dipendente a motivo del suo “orientamento sessuale” o “identità di genere”. In realtà, a pochi giorni dal verdetto, sono emersi aspetti che ne ridimensionano molto il fondamento.

Sì, perché il primo dei tre casi dei quali si è occupata la Corte - Bostock v. Clayton County pare proprio essere andato assai diversamente da come presentato, con Gerald Bostock, un assistente sociale della Georgia, licenziato nel 2013 dopo che si era iscritto ad un campionato gay di softball. Questo, almeno, hanno riportato i grandi media. In realtà, però, i fatti si sono svolti in modo ben diverso. A rivelarlo è uno che quella vicenda la conosce bene, ossia Steven Teske, giudice della Corte minorile della Contea di Clayton.

Chi è Teske? Semplice: è colui che licenziò Bostock, il suo ex datore di lavoro in pratica. Ebbene, il giornalista Bill Torpy, per conto del The Atlanta Journal-Constitution, ha pensato bene di mettersi in contato con proprio Teske per farsi raccontare del licenziamento Bostock. Così, con sua stessa sorpresa, Torpy ha scoperto una versione dei fatti radicalmente differente. Tanto per cominciare perché Teske, diversamente da come ci si potrebbe aspettare, oggi non è affatto dispiaciuto di come sono andate a finire le cose sul versante giudiziario. Tutt’altro.

«Sono contento che la Corte Suprema abbia preso quella decisione», ha infatti dichiarato, «come avvocato e giudice ritengo che gay e lesbiche non debbano in alcun modo essere discriminati». Considerazioni un po’ singolari, si converrà, per chi avrebbe licenziato Gerald Bostock a causa della sua omosessualità. Già, peccato che gli episodi che hanno portato al quel licenziamento fossero altri.

A dirlo al giornalista che lo ha contattato è sempre lui, Teske, il quale ha spiegato come il lavoro di Bostock – le cui tendenze erano note da principio - fosse quello di reclutare e formare i volontari che sarebbero poi stati incaricati di seguire i bambini affidatari, per depositare infine i loro report in tribunale. Per questo reclutamento, l’uomo poi licenziato ha speso centinaia di dollari in ricevimenti e iniziative infruttuose che hanno portato al suo allontanamento, appunto, per incapacità di adempiere ai suoi doveri professionali. Ma Bostock ha dato tutta un’altra versione.

Una versione che però non stai in piedi. Il The Atlanta Journal-Constitution ha difatti rintracciato anche Paul, l’ex partner di Bostock, il quale ha confermato di essere stato presentato al giudice Teske, che ha incontrato più volte, proprio come compagno dell’uomo poi licenziato, la cui omosessualità non poteva quindi costituire un mistero per nessuno. Nessun licenziamento discriminatorio, dunque, con però solo la versione di Bostock presa per buona senza accurate verifiche delle circostanze riportate nella sua denuncia.

Ora, perché tutti questi retroscena sono rilevanti? Per un motivo semplice: perché gettano il verdetto della Corte Suprema sotto una luce completamente diversa. Infatti, soprattutto per come si è conclusa, la vicenda di Gerald Bostock non insegna che è sbagliato licenziare un lavoratore in quanto gay, bensì che è sbagliato licenziare un lavoratore gay anche se è incapace di lavorare: trattasi di un discorso ben diverso. In altre parole, la Corte non ha messo l’identità Lgbt sul piano di quella eterosessuale in ambito professionale: l’ha resa più la tutelata in assoluto.

Perché solamente chi è o si definisce gay, lesbica o trans, da domani, potrà impugnare un licenziamento dichiarandolo basato su presunte discriminazioni, vedendo alla fine anche riconosciute le proprie ragioni. Tutti gli altri licenziati per motivi fondati, invece, dovranno metterci una pietra sopra e cercarsi un altro impiego, non potendo contare su alcun «santo in tribunale» né su una legislazione eterofila.  E tanti saluti al principio di uguaglianza, questa sconosciuta.