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L'enciclica Humanae Vitae, antidoto all'anti-umanesimo

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L'evento organizzato a Roma dalla Cattedra Internazionale di Bioetica Jérôme Lejeune ha sottolineato l'audacia dell'insegnamento di San Paolo VI sulla sessualità, sempre più valido di fronte ai tentativi di strumentalizzare il corpo e manipolare la nascita, non più "dono" ma pretesa e "prodotto".

Vita e bioetica 22_05_2023

Grande successo per il Congresso Humanae Vitae, l’audacia di un’enciclica sulla sessualità e la procreazione, organizzato dalla Cattedra Internazionale di Bioetica Jérôme Lejeune. A dare il tono è stato l’intervento magistrale e autorevole del Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, il cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer: l’enciclica di Paolo VI, precisamente condannando ogni atto coniugale che separa la connessione tra i due significati voluti da Dio, porta con sé una visione integrale dell’uomo, che cozza frontalmente con quell’antropologia riduzionista e dualista che caratterizza sia l’ideologia di genere che il transumanesimo. «L’enciclica – ha spiegato il cardinale  – continua a essere valida perché è la risposta corretta del magistero alle antropologie dualiste che mirano a strumentalizzare il corpo e che non rappresentano nuovi umanesimi, post-moderni e secolari, bensì autentici anti-umanesimi».

Humanae Vitae è un esempio eclatante di come il Magistero della Chiesa, quando si pronuncia in modo infallibile o definitivo, è veramente ispirato dall’alto. L’enciclica si dimostra infatti sempre più profetica man mano che la storia procede, portando a valle quegli errori iniziati impercettibilmente secoli fa. Perché Humanae Vitae porta con sé una visione dell’uomo che è l’unico antidoto possibile a quella subentrata con la rivoluzione sessuale. La dott.ssa Michele Schumacher, che insegna alla Facoltà di Teologia dell’Università di Friburgo, e autrice del recente Metaphysics and Gender: The Normative Art of Nature and Its Human Imitations, lo ha messo in luce: la svolta del Sessantotto ha sdoganato massivamente  l’idea di una libertà sradicata dalla natura umana, una libertà indeterminata, senza orientamento ad un bene. Una libertà che diviene fine a se stessa e si distacca tragicamente dalla vocazione al dono di sé.

Anche l’intervento molto atteso del prof. Jean-Marie Le Méné, Presidente della Fondazione Jerôme Lejeune e membro della Pontificia Accademia per la Vita, ha insistito su questa lungimiranza dell’enciclica nell’annunciare la catastrofe che sarebbe derivata dal separare i due significati propri dell’atto coniugale. L’uomo ha drammaticamente allungato le mani sulle origini della vita, e questo potere esorbitante sulla vita nascente discende direttamente dalla contraccezione, che ha messo a disposizione della scienza dei gameti da manipolare. L’estromissione della moralità e dell’insegnamento della Chiesa dalla vita sessuale non ha lasciato il vuoto, ma ha dato spazio rapidamente al potere della tecnoscienza e del mercato. Sono questi ormai gli unici riferimenti riconosciuti, che rendono possibili i due volti estremi dello stesso problema: non avere figli ad ogni costo (e dunque tutte le tecniche contraccettive ed abortive), avere figli a qualsiasi prezzo (e dunque tutte le tecniche di fecondazione artificiale fino alla maternità surrogata). Il figlio è diventato così un diritto a cui corrisponde un settore produttivo che fornisce la merce pretesa. Paolo VI aveva visto giusto: il «gravissimo dovere di trasmettere la vita umana»  – così l’incipit dell’enciclica  - veniva minacciato alla radice dalla contraccezione, che lo ha trasformato in diritto al figlio o diritto ad una sessualità senza figli.

La contraccezione ha colpito al cuore proprio la vocazione umana al dono di sé, mercificando l’uomo. E non solo il figlio. Perché la logica sottesa alla contraccezione, come hanno testimoniato numerose coppie intervenute nei dialoghi di venerdì pomeriggio, è proprio quella di considerare l’altro come un oggetto di piacere, qualcuno su cui si possa esercitare un possesso, o ancora un complice di un atto sessuale che si vuole chiuso alla donazione della vita. Che si sia genitori di numerosi figli, come Maria Scicchitano e Angelo Trecca, che hanno ricevuto il messaggio incarnato di Humanae Vitae dalle loro stesse famiglie di origine, oppure non siano potuti avere dei figli, come i costaricani José Alejandro Martínez e Anelena Hueda, che, prima di approdare all’insegnamento cattolico sul corpo e la sessualità, hanno percorso tutte le strade offerte dal mercato della contraccezione, emerge un messaggio chiaro: l’insegnamento di Humanae Vitae, che esclude ogni forma contraccettiva dal rapporto coniugale, permette alla coppia di purificare la propria relazione, di imparare a rispettarsi profondamente, di giungere ad un dominio di sé e della propria istintualità che solo permette la reciproca donazione.

La pillola contraccettiva è stata di fatto il supporto tecnoscientifico all’amore di concupiscenza; la risposta a questa tendenza, come ha sottolineato Oana Gotia, Professoressa di Teologia Morale al Sacred Heart Major Seminary di Detroit, rimane sempre la castità, che raggiunge l’altro come persona, senza farne un mezzo. Contraccezione e castità sono l’una l’antitesi dell’altra, perché sono il frutto di due visioni dell’uomo opposte. La virtù della castità è dunque uno snodo cruciale, che va alle radici dell’essere umano e della relazione tra gli uomini. Perché, come ha spiegato, il prof. Luis Zayas, docente all’Universita di Navarra, se si vive la sessualità in modo disordinato, è il nucleo stesso dell’uomo a deteriorarsi.

La dott.ssa Isabelle Ecochard, medico presso il CHU (centro ospedaliero universitario) di Lione, docente al Master in teologia del corpo, presso l’Institute de Theologie du Corps di Lione, ha confermato le testimonianze di queste coppie di sposi alla luce della propria esperienza di consulente presso la Federazione africana dell’azione familiare (FAAF): il rispetto dei ritmi di fecondità ha cambiato in molti uomini il loro modo di guardare alla donna. Ella ha potuto raccogliere la confessione di diversi mariti, che ammettevano come la pillola contraccettiva li rendesse sostanzialmente egoisti, in quanto si attendevano che, con questo mezzo, la moglie potesse e dovesse essere sempre disponibile a concedersi sessualmente. D’altra parte, si è resa conto di come anche le donne aumentassero la loro stima e fiducia nei confronti dei mariti, allorché li vedevano capaci di contenersi e di rispettare i ritmi del corpo femminile. Ma è anche il rapporto con Dio ad essere profondamente diverso. La Echoard lo ha reso plasticamente: «Chi ricorre alla contraccezione dice a Dio che si è sbagliato nel dare certi ritmi alla fertilità». Al contrario, chi ricorre ai metodi naturali gli dice: «La fertilità che ci hai donato è meravigliosa e noi vogliamo seguirne i ritmi».

A chiudere il Convegno è stato il presidente emerito del National Cartholic Bioethics Center, il prof. John Haas, che è stato membro del Consiglio Direttivo della Pontificia Accademia per la Vita. Haas ha voluto fare un riferimento alle recenti “aperture” della PAV, con la pubblicazione, l’anno scorso, del volume Etica teologica della vita. Scrittura, tradizione, sfide pratiche. Perché la contraccezione è un atto intrinsecamente cattivo? Perché non vi possono essere eccezioni di sorta? Perché, ha spiegato, la contraccezione è un atto irragionevole, è infatti irragionevole – e dunque contrario alla natura dell’uomo – agire contro il fine proprio di un atto. Ora, ricorrere alla contraccezione significa appunto agire contro il fine dell’atto coniugale, ossia la procreazione, e dunque agire contro la natura umana, che è capace di riconoscere il fine e volgersi verso di esso. Dunque, è un totale controsenso parlare di una “contraccezione prudente” e legittimare eccezioni alla contraccezione.