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CONTINENTE NERO

Le stragi islamiche in Africa, terra di conquista dei gruppi jihadisti

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I gruppi jihadisti, in questa calda estate africana, hanno fatto strage a Mafa in Nigeria (1 settembre), Barsalogho in Burkina Faso (24 agosto) e Mogadiscio, capitale della Somalia (il 2 agosto). I governi locali non sanno far fronte al terrorismo.

Libertà religiosa 07_09_2024
Le vittime dell'attacco di Boko Haram in Nigeria (La Presse)

In un mese 37 morti a Mafa, un villaggio della Nigeria, uccisi da Boko Haram, 400, forse 500 morti a Barsalogho, una città del Burkina Faso, un massacro attribuito al Jnim, 37 morti a Mogadiscio, la capitale della Somalia, uccisi da al Shabaab. Boko Haram, Jnim, al Shabaab sono gruppi armati jihadisti affiliati ad al Qaeda, tre dei più noti e temuti in Africa dove ormai sono una ventina, su 54, gli stati più o meno gravemente minacciati dal terrorismo islamico.

Mafa si trova nello Yobe, uno stato del nord est a maggioranza islamica che, insieme al Borno e all’Adamawa, subisce da oltre 20 anni la violenza di Boko Haram, il gruppo armato costituitosi nel 2002 nel Borno e che, a partire dal 2009, è stato in grado allargare il proprio raggio di azione fino a mettere a segno, al culmine della propria potenza, attacchi e attentati dinamitardi persino nei pressi della capitale Abuja. Il 1° settembre, nel pomeriggio, circa 150 jihadisti a bordo di motociclette sono piombati su Mafa armati di fucili e lanciarazzi e hanno fatto una strage. Oltre ai morti accertati, ci sono decine di dispersi. Il bilancio delle vittime è sicuramente assai più elevato. Potrebbero essere più di cento, forse 170 secondo alcune stime. Molti potrebbero essere i cadaveri non ancora ricuperati nelle abitazioni e nei negozi ai quali i jihadisti hanno dato fuoco e nella boscaglia circostante dove gli abitanti hanno cercato di fuggire. Le ricerche sono rallentate dal fatto che prima di andarsene i jihadisti hanno disseminato degli ordigni esplosivi lungo le vie di accesso al villaggio che devono essere individuati e disinnescati.

A Barsalogho, in Burkina Faso, il 24 agosto l’esercito aveva costretto centinaia di persone a sospendere le consuete attività per andare a scavare attorno alla città delle trincee, pensate per sbarrare la strada ai jhadisti che infestano la regione e che, come nei paesi vicini, di solito si spostano a bordo di motociclette. I militari avevano usato la forza per farsi obbedire perché la gente era riluttante, temeva rappresaglie da parte dei jihadisti contro chi mostrasse di essersi schierato con le autorità. E difatti, mentre erano intenti al lavoro, i jihadisti sono arrivati e hanno aperto il fuoco. Non contenti hanno sparato anche alle donne che stavano raccogliendo legna da ardere lì vicino. Il bilancio dei morti continua a salire perché ci sono diversi feriti in condizioni gravi. Le vittime sono già almeno 400. La diocesi ha dichiarato un giorno di lutto per il 28 agosto. La giunta militare al potere ha fatto sapere che si sarebbe unita alle preghiere per le anime dei morti e che sosterrà tutte le spese mediche dei feriti. Benchè non rivendicato, il massacro è attribuito verosimilmente al Jnim, Jama'a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin, formatosi in Mali nel 2017 e da allora cresciuto rapidamente. 

L’attentato di al Shabaab a Mogadiscio risale al 2 agosto. Il bersaglio è stato il Liido Beach, un noto ristorante situato sulla spiaggia. I jihadisti sono arrivati a piedi. Uno di loro si è fatto esplodere e subito dopo i suoi compagni hanno incominciato a sparare a raffica sui presenti. 37 civili e uno dei soldati sopraggiunti sono morti e oltre 212 persone sono rimaste ferite. I militari hanno ucciso tre componenti del commando e ne hanno catturato uno vivo. L’azione è stata rivendicata da al Shabaab, ma, come di consueto, le autorità somale nel dare la notizia hanno parlato di “terroristi” senza nominare il gruppo. Nel 2015 infatti il governo ha chiesto di smettere di riferirsi agli al Shabaab chiamandoli per nome. Da allora bisogna usare il termine Ugus, acronimo delle parole in lingua somala che significano: “il gruppo che massacra i Somali”. E i massacri sono continuati con frequenti attentati proprio nella capitale, il più devastante dei quali nel 2017 uccise quasi 600 persone.

Nel 2016 Muhammadu Buhari, eletto presidente della Nigeria l’anno precedente, aveva annunciato che Boko Haram era stato sconfitto “tecnicamente”. Qualunque cosa significasse, non era vero. Ha cambiato strategia, in alcuni stati della federazione si è alleato con delle bande criminali, continua a reclutare nuove leve. Proprio nel 2016 una parte dei suoi combattenti hanno giurato fedeltà all’Isis e hanno creato un nuovo gruppo chiamato Iswap, Provincia dell’Africa occidentale dello Stato Islamico. “Sconfiggeremo al Shabaab entro due anni aveva assicurato l’allora presidente somalo Abdullahi Mohamed nel 2017 e il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres se ne era detto certo perché secondo lui ormai il paese disponeva di un governo affidabile e di un buon piano d’azione. Di fronte all’attuale intensificarsi degli attacchi di al Shabaab, che inoltre continua a controllare ampie aree del paese, il governo somalo, a giugno, ha chiesto alla forza di peacekeeping dell’Unione Africana, Atmis, che alla fine del 2024 dovrebbe lasciare il posto a una missione più piccola, di rallentare la partenza delle truppe perché non si crei un vuoto di sicurezza.

In Burkina Faso i militari hanno sospeso le istituzioni democratiche nel 2022 con due colpi di Stato promettendo di combattere i gruppi jihadisti meglio di quanto avessero fatto i governi civili precedenti. La popolazione ha festeggiato, fiduciosa. La gente ha creduto ai militari anche in Mali, dove hanno preso il potere nel 2020 e con un secondo golpe nel 2021, e in Niger, in mano all’esercito dal 2023. Le giunte dei tre paesi hanno detto che avrebbero fatto fronte al jihad alleandosi e che gli aiuti militari russi, in armi e soldati, sarebbero stati molto più efficaci delle inutili missioni occidentali. Invece la violenza sui civili è aumentata ovunque. Quelli riportati, in Nigeria, Burkina Faso, Somalia sono gli episodi più cruenti, con più vittime. Molti altri, di minore entità provocano tuttavia uno stillicidio di morti, feriti, sfollati e tanti beni distrutti o razziati.