Le sconfitte scatenano la resa dei conti per Lega e 5 Stelle
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Conte alle prese con l'aut aut di Appendino e la sfida delle regionali campane, mentre in casa leghista Vannacci è nel mirino per la disfatta toscana. Entrambi i casi riflettono un disagio più profondo legato alla perdita di identità dei due partiti.

Le due principali forze populiste italiane, il Movimento 5 Stelle e la Lega, stanno attraversando una fase di profonda crisi identitaria e strategica, che rischia di comprometterne il futuro politico a medio termine. Il Movimento 5 Stelle si trova in un momento delicatissimo, stretto tra il logoramento dei rapporti con il Partito Democratico e le tensioni interne che rischiano di esplodere definitivamente.
Chiara Appendino, ex sindaco di Torino e attuale vicesegretario del Movimento, ha posto un aut aut al leader Giuseppe Conte: o prende le distanze in modo netto dal PD oppure lei è pronta a dimettersi dal suo ruolo. Una mossa che ha il sapore del risentimento personale, poiché Appendino non ha mai dimenticato come venne lasciata sola, e di fatto scaricata, proprio dal Partito Democratico quando fu travolta dall’inchiesta sui disordini in piazza San Carlo, una vicenda che ha segnato profondamente la sua esperienza amministrativa e la sua immagine pubblica.
Il malessere di Appendino è in realtà il riflesso di un disagio più ampio che attraversa il Movimento, sempre più lacerato tra la tentazione del ritorno alle origini, con una linea più antagonista e distante dai partiti tradizionali, e l’esigenza di rimanere agganciato a quell’area progressista che, nonostante le tensioni, continua a essere il principale interlocutore politico del M5s a livello nazionale.
Ma non è solo la linea politica a far tremare Conte: anche le prossime elezioni regionali in Campania rappresentano una prova di forza determinante. Roberto Fico, ex presidente della Camera e volto storico dell’ala ortodossa del Movimento, si gioca tutto nella sua corsa alla presidenza della Regione. Una sconfitta netta di Fico non solo rappresenterebbe l’ennesimo fallimento del Movimento sul territorio, ma indebolirebbe irreversibilmente la leadership di Conte, già messa in discussione da più parti.
Vincenzo De Luca, governatore uscente e animale politico di lungo corso, ha ben compreso la posta in gioco e sta giocando una partita spregiudicata: pur non potendosi ricandidare direttamente, ha costruito una rete di liste civiche e alleanze trasversali che formalmente appoggiano Fico ma che in realtà puntano a ridurre al minimo il peso elettorale dei 5 Stelle. L’obiettivo è semplice quanto cinico: fare in modo che Fico, pur vincendo, sia un presidente di fatto commissariato, circondato da consiglieri e assessori fedeli al vecchio sistema di potere che si riconosce in De Luca e nella sua visione iper-personalistica del governo regionale.
Su un altro fronte, quello del centrodestra, la Lega è attraversata da una crisi forse ancora più profonda, che mette in discussione l’intera architettura del partito e la sua capacità di essere ancora un attore centrale nello scacchiere politico nazionale. Il generale Roberto Vannacci, candidato leghista alle recenti elezioni regionali in Toscana, è finito sul banco degli imputati dopo la pesante sconfitta subita dal centrodestra. L’ala storica del partito, quella più vicina a Matteo Salvini ma anche ai governatori del nord, lo accusa apertamente di aver provocato la disfatta con la sua linea estrema e divisiva, che ha finito per mobilitare l’elettorato avversario e disorientare quello moderato.
Vannacci, dal canto suo, non ha fatto nulla per spegnere le polemiche: in due interviste rilasciate rispettivamente a La Stampa e a Repubblica, ha preso le distanze in modo palese dalla dirigenza leghista, accusandola implicitamente di averlo usato come parafulmine senza dargli il vero sostegno necessario per vincere. Le sue parole hanno avuto l’effetto di una bomba, alimentando le voci di una possibile scissione o comunque di una frattura insanabile tra l’area più radicale del partito e quella più istituzionale.
In questo scenario già compromesso, si inserisce la manovra di Luca Zaia, governatore del Veneto e figura di riferimento della Lega nordista e autonomista. Zaia ha ottenuto il via libera per presentare alle prossime elezioni regionali delle liste con il suo nome e il suo simbolo a sostegno del candidato Stefani. Una mossa che ha l’evidente obiettivo di rafforzare la propria leadership interna e, allo stesso tempo, arginare la fuga di consensi verso Fratelli d’Italia, il vero beneficiario delle difficoltà leghiste. Con il suo marchio personale, Zaia punta a mobilitare l’elettorato veneto che si riconosce nella sua gestione amministrativa e nel suo stile pragmatico, sperando così di ridurre il gap ormai strutturale che separa la Lega dal partito di Giorgia Meloni.
In entrambi i casi, sia nel Movimento 5 Stelle che nella Lega, la crisi non è soltanto una questione di strategia elettorale o di alleanze sbagliate, ma riflette un disagio più profondo, legato alla perdita di identità e di visione politica. I 5 Stelle non riescono a decidere se essere forza di rottura o partito di governo, mentre la Lega appare dilaniata tra pulsioni sovraniste, spinte autonomiste e ambizioni personali difficilmente conciliabili. In un contesto politico sempre più frammentato e imprevedibile, il futuro delle due principali forze populiste italiane dipenderà dalla loro capacità di affrontare queste crisi non con operazioni di facciata, ma con scelte nette e coerenti, capaci di restituire credibilità a leadership oggi più che mai in affanno.
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