Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
POLITICA

Le riforme appese al processo Ruby

Il processo Ruby contro Berlusconi che si apre domani in Corte d'Appello potrebbe avere effetti politici clamorosi in caso di condanna. A rischio è l'accordo sull'Italicum mentre prende quota un accordo Pd-grillini sulla legge elettorale.

Politica 19_06_2014
Renzi e Grillo

Si apre domani 20 giugno in Corte d’Appello a Milano il processo Ruby contro Silvio Berlusconi, già condannato in primo grado a sette anni di carcere. Quest’appuntamento, al di là degli inevitabili risvolti giudiziari, rischia di avere un impatto devastante sul cammino delle riforme.

Il leader del centrodestra, secondo alcune indiscrezioni, potrebbe essere condannato nuovamente già entro luglio, il che accelererebbe anche i tempi del ricorso in Cassazione, dove verrà pronunciata la sentenza definitiva.

Che fine farebbero le riforme se già domani si dovesse capire, nelle aule di Palazzo di Giustizia di Milano, che l’ex Cavaliere rischia un’altra condanna? C’è chi ipotizza un nuovo stop del dialogo Pd-Forza Italia sulle riforme e un naufragio definitivo del Patto del Nazareno.

Chi sta già lavorando per far saltare quel patto è Beppe Grillo, che nei giorni scorsi ha fatto retromarcia sul premier, ammettendo che ora è legittimato a governare dall’ampio successo alle elezioni europee e gli ha teso la mano per quanto riguarda la riforma della legge elettorale. L’ala grillina più dialogante, consapevole che l’Aventino non paga e che restare all’opposizione per altri anni potrebbe far usurare la proposta del Movimento e farle perdere appeal agli occhi dell’elettorato, ha messo sul piatto la sua idea: il “Democratellum”, sistema di voto di stampo proporzionalista con poche correzioni maggioritarie, ripristino delle preferenze e abolizione del premio di maggioranza. 

Renzi e Berlusconi, invece, si erano accordati sull’Italicum, con forti correzioni maggioritarie, premio di maggioranza e voto alla lista, senza preferenze. Dopo la disfatta del centrodestra alle europee, Berlusconi reputa sconveniente anche l’Italicum e quindi vuole rinegoziare tutto. Sul tavolo ci sono vari punti: riforma elettorale, trasformazione del Senato in Camera delle autonomie (non elettiva), doppia maggioranza riforme/governo, eventuale introduzione del presidenzialismo, elezione del successore di Napolitano.

Sul Senato non elettivo Forza Italia appare intenzionata a non cedere, perché ritiene inutile un’assemblea di Palazzo Madama degradata a “dopolavoro per sindaci e Presidenti di Regione”. Ma per ricompattarsi il centrodestra ha bisogno di un collante che faccia superare i dissapori degli ultimi mesi. Quale migliore medicina se non un rilancio del presidenzialismo, attraverso un referendum propositivo (che però nel nostro ordinamento giuridico non esiste e che quindi rischierebbe di non produrre alcun effetto) o, più realisticamente, mediante una raccolta di firme per una proposta di legge di iniziativa popolare? Sono già al lavoro congiuntamente Gaetano Quagliariello (Ncd) e Giovanni Guzzetta, costituzionalista al quale Forza Italia avrebbe affidato una sorta di mandato esplorativo circa la praticabilità di una riforma presidenzialista.

Verrebbe da osservare che in Italia ormai da anni abbiamo un presidenzialismo di fatto, con un inquilino del Colle che non perde occasione per farsi sentire su qualsiasi tema, che sceglie i Presidenti del Consiglio senza che questi abbiano avuto una legittimazione popolare e che indirizza costantemente la loro azione governativa. Non a caso si è parlato, in occasione dei governi Monti e Letta, di “governi del Presidente”, espressione che potrebbe agevolmente riferirsi anche all’attuale esecutivo in carica, nonostante il successo di Renzi alle europee.

Ma il processo riformatore si completerà in questa legislatura? Visti gli attuali rapporti di forza, a meno che il Movimento Cinque Stelle non decida di collaborare attivamente e di votare le proposte del governo, l’unica speranza di Renzi è quella di tenere in piedi l’asse con Forza Italia, magari separando le sorti del governo da quelle delle riforme.

Forse l’annuncio del premier sul riconoscimento delle unioni civili, anche omosessuali, prelude a una rottura con gli alfaniani, per costringerli ad uscire dal governo. A quel punto Sel e una parte dei grillini potrebbero appoggiare l’esecutivo in cambio di una sua più forte caratterizzazione di sinistra e si creerebbero le condizioni per un bipolarismo più maturo, con tutto il centrodestra all’opposizione di un governo guidato dal massimo esponente del Pd.

Un’ampia maggioranza di sinistra potrebbe trovare la quadra sull’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, che avverrà entro un anno, visto che Napolitano ben difficilmente andrà oltre il semestre europeo di Presidenza italiana. Un accordo globale sulla legge elettorale (per tutelare anche le forze minori come i vendoliani), su un Senato non elettivo e su una serie di riforme etico-sociali gradite al popolo della sinistra potrebbe sublimarsi con l’elezione di un altro esponente Pd (Grasso? Veltroni?) al Quirinale. Ma tutto ciò sarebbe democratico?