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TOKYO 2020

Le Olimpiadi dei nuovi peccati politicamente corretti

Le Olimpiadi di Tokyo si aprono nel peggiore dei modi. Sono precedute da una raffica di dimissioni fra gli organizzatori. Le loro colpe sono gravi peccati contro il culto del politicamente corretto, battute o comportamenti ritenuti indegni, nei confronti di donne o minoranze, che risalgono anche a decenni fa. 

Editoriali 23_07_2021
Tokyo 2020, giocatori di Argentina-Australia in ginocchio

Le Olimpiadi di Tokyo del 2020 si aprono nel peggiore dei modi. Prima di tutto perché, come suggerisce la data stessa, iniziano con un anno di ritardo a causa del Covid. In secondo luogo perché i contagi, in Giappone, sono in crescita e 91 casi sono direttamente collegati all’organizzazione dei Giochi. Ma soprattutto, a far notizia, sono una serie di clamorose dimissioni dei vertici dell’organizzazione. L’ultima di queste è giunta ieri: Kentaro Kobayashi, direttore della cerimonia di apertura, si è dimesso ieri, chiedendo scusa in pubblico. Il motivo? Nel 1998 (23 anni fa), in uno spettacolo teatrale trasmesso in televisione, il comico giapponese aveva fatto una battuta sulla Shoah.

Le sue dimissioni erano state precedute di una settimana da quelle di Keigo Oyamada, in arte “Cornelius”, musicista pop di fama internazionale, che aveva composto le musiche della cerimonia inaugurale e di chiusura dei Giochi. Il motivo? Da ragazzino, quando frequentava la scuola, aveva bullizzato dei suoi compagni di classe. Ne aveva parlato in un’intervista rilasciata 26 anni fa che, ovviamente, è riemersa in queste settimane.

In marzo si era dimesso anche Hiroshi Sasaki, direttore creativo. Non aveva bullizzato alcun compagno di classe, non aveva fatto battute sulla Shoah. Però aveva fatto una battutina su una attrice giapponese, sovrappeso. Con un gioco di parole l’aveva soprannominata “Olympig”, unendo le parole inglesi di Olimpiadi e di maiale. Scandalo, dimissioni e scuse in pubblico.

Il mese prima anche l'83enne Yoshiro Mori era stato costretto a dimettersi, dopo una rapida e violenta campagna stampa, da capo del comitato organizzativo. Aveva scherzato pesante sulle donne, affermando di non voler riservare una quota rosa del 40% nel comitato (dove erano presenti 5 donne su 26 membri), perché “parlano troppo” e quindi le riunioni sarebbero durate molto di più. «Se una di loro alza la mano per intervenire, le altre pensano di essere obbligate a rispondere, e alla fine tutte quante si ritrovano a parlare». Travolto dai commenti negativi sui social network, dopo una breve resistenza, nonostante l’età e la sua fama di dirigente sportivo, nonché ex premier del Giappone (2000-2001), Yoshiro Mori aveva dovuto rassegnare le dimissioni.

Ma anche nelle squadre che partecipano, non mancano gli scandali. L’ultimo, in ordine di tempo, riguarda il Comitato olimpico australiano, il cui presidente John Coates, in conferenza stampa, ha suggerito vivamente alla premier del Queensland, Annastacia Palaszczuk, di partecipare alla cerimonia d’apertura. Per un motivo molto semplice: la sede delle Olimpiadi del 2032 sarà Brisbane, quindi, al di là dei timori sul Covid (motivo per cui la Palaszczuk non andrà a Tokyo), è bene che la premier vada e impari dall’esperienza di queste Olimpiadi. E dove sarebbe lo scandalo, in questo caso? Suggerire a una donna come comportarsi è “mansplaining”, una colpa gravissima per il politicamente corretto. La diretta interessata non si dice per nulla offesa nei confronti di Coates, ma i social network australiani si stanno riempiendo di insulti e richieste di dimissioni.

Abbiamo già capito, dunque, che in queste Olimpiadi, prima di tutto, vince chi sopravvive… alla scure del politicamente corretto. Ma parlare semplicemente di “politicamente corretto” in questo caso è un eufemismo.

Per la prima volta, infatti, assistiamo in diretta a un nuovo rito: il passato di tutti i personaggi in vista viene scandagliato minuziosamente e alla più piccola imperfezione si risponde con l’obbligo delle dimissioni e una confessione in pubblico del peccato commesso. Peccato, non reato, perché non si attende neppure un eventuale processo (che si concluderebbe, quasi certamente, con un’assoluzione). Questa mentalità, che nasce nell’America puritana secolarizzata degli ambienti liberal, evidentemente si è diffusa in tutto il mondo, anche in Giappone, dove si innesta sul codice d’onore locale. E così vediamo personaggi di successo, giovani e anziani, al culmine della loro carriera, anche un ex primo ministro, che chinano il capo, si arrendono, confessano le loro colpe che risalgono anche a decenni precedenti o consistono in una sola battuta non apprezzata.

È il contrario del sacramento della Riconciliazione. Dove per un cattolico la confessione è segreta e personale, qui è pubblica e trasmessa in mondovisione. Non c’è perdono: la macchia del passato resta per sempre e provoca la perdita del proprio status sociale. E cambiano i peccati che non c’entrano più nulla con i Dieci Comandamenti. Una battuta, per quanto sia di cattivo gusto, non è un peccato mortale. Ma lo diventa per il nuovo culto, soprattutto se riguarda donne e minoranze. Un atteggiamento giudicato “paternalista” (come il “mansplaining”) diventa un peccato capitale, anche se è tenuto da un uomo che non aveva alcuna intenzione di offendere il prossimo. E a giudicare e condannare c’è la “massa”: il grande pubblico dei social network e i telespettatori di tutto il mondo. Sono loro che, debitamente istigati da minoranze militanti e permanentemente mobilitate, condannano senza appello. Le autorità ricorrono alla censura preventiva, per evitare di perdere la faccia, e i condannati devono arrendersi ed espiare.