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Le mosse di Renzi assediato da scandali e giudici

La valanga giudiziaria che si è abbattuta sul Pd emiliano-romagnolo non resterà senza conseguenze per la struttura nazionale di quel partito, proprio alla vigilia del voto regionale anticipato. Il colpo giudiziario potrebbe tornare a vantaggio del premier e favorire un nuovo rapporto con la minoranza.

Politica 11_09_2014
Matteo Renzi

La valanga giudiziaria che si è abbattuta sul Pd emiliano-romagnolo non resterà senza conseguenze per la struttura nazionale di quel partito. Matteo Richetti e Stefano Bonaccini, entrambi renziani, avrebbero dovuto contendersi, probabilmente con l'outisder Roberto Balzani, la nomination per la presidenza della Regione Emilia Romagna (elezioni anticipate il 23 novembre prossimo), rimasta vacante dopo le dimissioni di Vasco Errani, condannato a un anno per falso ideologico per "Terremerse", l'indagine sui fondi destinati alla coop del fratello. Entrambi hanno appreso di essere indagati per peculato nell'ambito della fase due dell'inchiesta "Spese pazze", condotta dalla procura di Bologna.

Sotto la lente di chi indaga tutte le spese dell'Assemblea regionale tra maggio 2010 e dicembre 2011. Sarebbero inquisiti anche altri sette consiglieri del Pd e la chiusura delle indagini non dovrebbe arrivare prima di fine settembre. Richetti ha subito annunciato il suo ritiro dalla corsa delle primarie. Stefano Bonaccini, che è anche responsabile enti locali nella segreteria Renzi, resta ufficialmente in campo e si dichiara pronto a chiarire ogni aspetto della vicenda con la magistratura. La verità è che dovrà uscire presto di scena anche lui e al momento non può farlo, per non lasciare campo libero a Balzani, ex sindaco di Forlì, terzo incomodo, inviso alla nomenclatura del partito emiliano. C’è, infatti, il rischio che Bonaccini vinca le primarie e debba poi farsi da parte.

L'inchiesta su di lui andrà avanti e potrebbe diventare imbarazzante per il partito, proprio alla vigilia del voto regionale anticipato. Meglio non correre il rischio di una figuraccia, destinata a ripercuotersi inevitabilmente sull'immagine del nuovo corso renziano. Per riportare il sereno nel "fortino rosso", circolano già i nomi del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio o del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, assai gradito al mondo delle cooperative rosse, senza le quali in quella regione non si muove foglia. Renzi caldeggia l'ipotesi Delrio, che ha già esperienze amministrative (come sindaco di Reggio Emilia) e che non sarebbe particolarmente amato a Palazzo Chigi poiché metterebbe un po' nell'ombra il pupillo di Renzi, l'altro sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Luca Lotti. In questo modo, il premier allontanerebbe in maniera morbida Delrio dal governo e ristabilirebbe l'ordine nel Pd emiliano-romagnolo, indicando un nome di assoluto prestigio e una personalità di primo piano del suo governo e dunque inattaccabile.

Tuttavia, Delrio avrebbe già fatto sapere di essere indisponibile.Ecco perché c'è qualcuno che avanza perfino l'ipotesi di una candidatura di Bersani o di Prodi, senza escludere quella di Daniele Manca, sindaco di Imola, gradito sia ai renziani sia alla vecchia guardia. In ogni caso, le primarie sono a rischio, perché, alla luce dei fatti di queste ore, si potrebbe optare per un'investitura dall'alto, che possa mettere d'accordo tutte le anime del partito e bypassare gli effetti delle inchieste in corso. 

C'è chi, peraltro, mette in relazione le inchieste giudiziarie di Bologna con la svolta garantista di Renzi e con i suoi propositi di riforma della magistratura, che hanno già suscitato le vibranti proteste dell'Associazione nazionale magistrati. Al veleno il commento dell'attuale assessore alla Cultura dell'Emilia Romagna, Massimo Mezzetti, peraltro di Sel, ma assai vicino all'attuale gestione democratica della Regione, che insinua il sospetto di una "giustizia a orologeria": «Per risparmiare tempo, chiediamo alla Procura di Bologna chi vuole alla Presidenza della Regione...». Se ne saprà di più nelle prossime ore, ma nel frattempo il Pd ha altre gatte da pelare in sede nazionale. Dalla direzione del partito si capirà se andrà in porto l'operazione della segreteria unitaria.

Renzi ha confermato che manterrà il doppio incarico (premier e segretario del partito), respingendo le obiezioni e le riserve di dalemiani e bersaniani. Questi ultimi imputano all'ex sindaco di Firenze di non rispettare sufficientemente la tradizione della sinistra e di essere poco collegiale, poco democratico e scarsamente pluralista nelle decisioni. Renzi in realtà punta a spaccare l'opposizione interna e, pur avendo intenzione di mantenere per i suoi fedelissimi i ruoli chiave (organizzazione ed enti locali), potrebbe affidare alcune responsabilità nella gestione del partito anche alla minoranza. Se la componente di Pippo Civati ha già fatto sapere di non essere interessata a collaborare con Renzi, alcuni bersaniani come il capogruppo alla Camera, Roberto Speranza, potrebbero raccogliere l'invito di Renzi alla condivisione delle responsabilità e indicare alcuni uomini di fiducia per incarichi all'interno della nuova segreteria.