«Le cure palliative non riguardano solo i malati terminali»
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Nell’opinione comune le cure palliative sono associate solo alle patologie oncologiche e terminali, ma in realtà hanno una portata più ampia. Sono un diritto sancito dalla legge 38/2010. Eppure, la rete italiana è carente perché vi accedono solo un adulto su tre e un minore su quattro. La Bussola intervista Tania Piccione, presidente della Federazione Cure Palliative.

«C’è vita anche nella malattia». Per quanto tale messaggio sia profondamente vero, è nel contempo difficile da veicolare in special modo in questi tempi in cui imperversano i venti mortiferi dell’eutanasia. Eppure la Federazione Cure Palliative combatte con tenacia perché, nella società dell’efficienza in cui domina la “cultura dello scarto” a danno dei più fragili, la cura del malato dallo stadio prenatale a quello terminale possa tornare a essere principio di una civiltà autenticamente umana. È quanto racconta alla Nuova Bussola Tania Piccione, presidente della stessa Federazione.
Cosa s’intende con “cure palliative” e quali trattamenti sanitari sono compresi in tale espressione?
Le cure palliative sono un insieme di interventi terapeutici, diagnostici e anche assistenziali rivolti alla persona malata, ma anche al suo nucleo familiare, finalizzati a una cura attiva e globale di persone sofferenti di ogni età, quindi adulti e bambini, la cui malattia inguaribile non risponde più a trattamenti specifici, per cui non riguardano esclusivamente chi si avvicina alla fine della vita.
Di cosa si occupa nello specifico la Federazione Cure Palliative?
Si tratta di un’organizzazione di secondo livello che raggruppa 113 organizzazioni del non profit, quindi del terzo settore, che si occupano di cure palliative a livello nazionale: alcune erogano servizi domiciliari e residenziali, altre si occupano di volontariato, sviluppando progetti di sensibilizzazione e di comunicazione nei confronti della cittadinanza. Tra gli obiettivi della Federazione vi è quello di favorire il pieno sviluppo delle reti di cure palliative sul territorio nazionale per garantire a ogni persona e famiglia l’accesso ai servizi. Di qui, ha il compito di sviluppare il dibattito sul piano mediatico, rappresentando nel contempo con un’unica voce autorevole tutte le istanze del terzo settore che lavorano nell’ambito di queste cure.
Qual è lo stato attuale delle cure palliative nel nostro Paese?
La legge quadro in materia, la 38/2010, sancisce e garantisce il diritto di accesso alle reti di cure palliative. A partire da questa legge sono stati emanati una serie di decreti attuativi che disegnano perfettamente l’organizzazione delle cure palliative così come dovrebbe essere, ma ci sono ancora delle criticità. Partiamo dai dati: in Italia le persone adulte che avrebbero bisogno di cure palliative sono circa 590 mila; per quanto riguarda i bambini sono invece oltre 35 mila. Sono numeri in continua crescita, anche a causa del progressivo invecchiamento della popolazione e del conseguente aumento dell’incidenza delle patologie croniche degenerative. Ogni anno poi i bambini che hanno bisogno di questo tipo di assistenza aumentano del 5%.
Quali sono le principali criticità riscontrate?
Tra le criticità vi è anzitutto un accesso limitato alle cure palliative: a tali cure accede un adulto su tre e un minore su quattro, quindi in ambito pediatrico la situazione è ancora più critica perché può beneficiarne soltanto il 25% dei bambini che ne avrebbero bisogno. Vi sono poi delle barriere piuttosto forti nell’attivazione di cure palliative per i malati affetti da patologie non oncologiche – e in effetti nell’opinione comune vengono associate ancora soltanto alle patologie oncologiche – mentre il loro valore è applicabile a tutte le patologie croniche avanzate, quali insufficienza cardiaca e respiratoria, problemi neurologici e demenze. Queste cure vengono inoltre attivate spesso troppo tardi, magari soltanto nelle ultime settimane o negli ultimi giorni di vita, ovvero quando l’intervento palliativo non riesce a raggiungere i suoi obiettivi, quali il controllo del dolore, dei sintomi, della sofferenza, ma anche la presa in carico del disagio psicologico, della sofferenza spirituale e dei bisogni anche sociali della persona, al fine di migliorarne la qualità di vita e rispettarne la dignità fino alla fine. Per cui l’équipe terapeutica non ha neanche il tempo di instaurare una relazione significativa con il malato e la sua famiglia. L’offerta è poi disomogenea e frammentaria, con una marcata disparità nell’organizzazione delle cure palliative, per cui alcune Regioni hanno implementato modelli organizzativi avanzati e altre faticano a garantirne un accesso adeguato: il Mezzogiorno presenta una copertura inferiore e minori investimenti in tali servizi con disparità di trattamento anche tra province di una stessa regione. Riguardo agli hospice per gli adulti e i minori, a fronte di un fabbisogno di quasi 6 mila posti letto ne sono attivi soltanto poco più della metà. Le cure a domicilio, invece, nonostante siano migliorate in termini di performance medie nelle varie regioni, riscontrano difficoltà nella copertura di molte aree periferiche o insulari. Anche la rete ospedaliera e ambulatoriale andrebbe potenziata in tal senso. Infine vi sono delle resistenze culturali, ossia un’errata percezione delle cure palliative come sinonimo di fase terminale, per cui c’è un ritardo nell’intercettazione del bisogno e nella segnalazione da parte degli specialisti e dei medici di famiglia che compromette ulteriormente la possibilità di offrire un’assistenza adeguata e tempestiva.
In tal senso il 7 luglio avrete un’importante iniziativa di sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
Stiamo avviando dei percorsi di “democrazia partecipata”, coinvolgendo i cittadini sul tema del “fine vita” per evidenziarne il punto di osservazione e metterlo a disposizione delle istituzioni, affinché le politiche sanitarie possano essere più orientate ai reali bisogni dei malati. D’altra parte i dati sociologici evidenziano condizioni di solitudine sempre più marcate, con il 33% della popolazione composta da persone sole in una condizione di invecchiamento generale progressivo. Lo scopo è farsi carico dei più deboli, anche perché vi è un elevatissimo indice di fragilità sociale e di povertà assoluta, con un’instabilità coniugale che porta le persone a vivere la fase terminale della vita spesso in solitudine. Pertanto ci muoviamo affinché si possa sviluppare una nuova vitalità delle forze della società civile e della solidarietà organizzata proprio per essere di supporto nei confronti di tali situazioni di particolare fragilità e vulnerabilità sociale.
Quali i progetti in cantiere?
Stiamo sviluppando tanti progetti di formazione sia per i professionisti sia per i volontari e diverse campagne di comunicazione sul tema delle cure palliative anche nelle scuole per avvicinare le giovani generazioni, affinché passi il messaggio che le cure palliative sono un diritto; che rispetto e dignità della vita umana devono essere garantiti sempre, in ogni fase della malattia. Anche perché abbiamo registrato, soprattutto dopo la pandemia, un decremento del numero dei volontari che vogliono lavorare in questo ambito (attualmente sono 2.500 i professionisti sanitari e oltre 6.000 i volontari).
Curare è il principio cardine della scienza medica. Oggi, sul piano culturale, sembra non sia più così; si preferisce uccidere il sofferente e il fragile piuttosto che prendersene cura fino all’ultimo respiro secondo il principio che “l’inguaribile non è mai incurabile”.
La Federazione punta sull’esigenza di potenziare un omogeneo sviluppo delle reti di cure palliative in tutto il territorio nazionale per garantire un livello essenziale di assistenza e un equo accesso a tutti, dal bambino che deve ancora nascere e necessita di cure perinatali al malato terminale. Inoltre si sta constatando che, nella misura in cui ci si prende cura globalmente dei bisogni della persona, si riducono sensibilmente le richieste di morte. D’altra parte il prendere in cura una persona è un concetto ancora più profondo del guarirla perché considera un accompagnamento nel percorso di cura orientato a dare una risposta alla molteplicità dei suoi bisogni e delle esigenze della sua famiglia. Le cure palliative sono infatti sistemiche. Se guarire non sempre è possibile, curare è un principio doveroso. L’obiettivo è tutelare la qualità di vita, senza anticipare né posticipare la morte perché, come afferma Cicely Saunders, «le cure palliative non aggiungono giorni alla vita, ma aggiungono vita ai giorni».