La vita difficile dei dalit cristiani in India
Mentre uno stato minaccia quelli che per non perdere dei benefici nascondono di essersi convertiti, in un altro i cristiani li escludono dalle celebrazioni religiose all'esterno

C’è una nuova categoria di cristiani in India, i “cripto-cristiani”. Con questo termine i fondamentalisti indù nello stato del Maharashtra chiamano le persone convertite al cristianesimo che tengono nascosta la loro conversione per non perdere i benefici – ad esempio, l’accesso a lavori governativi – riservati agli indù, ai buddisti e ai sikh che fanno parte di categorie svantaggiate come i dalit, cioè i fuori casta, e dai quali i cristiani sono quindi esclusi. Il 17 luglio, intervenendo all’Assemblea legislativa, il primo ministro Devengra Fadnavis ha detto che i cripto-cristiani “abusano” – così si è espresso – della libertà religiosa: “apparentemente queste persone appartengono alle caste svantaggiate e godono di benefici a queste riservati, ma in segreto seguono religioni diverse”. Perciò ha annunciato che “se una persona appartenente a una religione diversa da induismo, buddhismo o sikhismo ha ottenuto in modo fraudolento il certificato che permette l’accesso alle quote riservate previste dalla legislazione indiana per i dalit e gli altri gruppi storicamente emarginati, questo certificato sarà annullato”. Molti dalit non si possono permettere di perdere i benefici di cui godono a compensazione del loro status inferiore. Per questo cercano di non far sapere di essersi convertiti al cristianesimo. Da un altro stato indiano, il Tamil Nadu, arriva una conferma di quanto sia difficile la loro vita. Succede infatti, e non è il primo caso, che vengano discriminati anche da altri cristiani che non riescono a superare il disprezzo nei loro confronti. A Trichy, nella diocesi di Kumbakonam, dove dal 14 luglio sono iniziate le tradizionali celebrazioni organizzate dalla chiesa di Santa Maria Maddalena di Kottapalayam, un gruppo di cattolici dalit hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare per la loro esclusione dalla festa. Da decenni sono privati del diritto di versare il contributo parrocchiale, sono esclusi dai comitati organizzatori delle celebrazioni e non è loro consentito di partecipare alla consueta processione. Quest’anno, per dare un segnale forte alle comunità cattoliche, monsignor Jeevanandam Amalanathan, vescovo di Kumbakonam, ha deciso di non partecipare alla processione in segno di protesta per la “persistente discriminazione di casta nella parrocchia”. “La gente celebra ogni anno la festa parrocchiale e le celebrazioni e gli eventi che si tengono all’interno della Chiesa sono responsabilità del parroco – ha spiegato all’agenzia di stampa AsiaNews – all’interno della chiesa non esiste discriminazione. I dalit partecipano ai saluti di apertura, cantano nel coro, fanno le letture, le preghiere, le raccolte... Nelle celebrazioni esterne, però, i non-dalit non permettono ai dalit di partecipare pienamente. Non li coinvolgono nell’amministrazione e non permettono loro di contribuire alle raccolte annuali per i festival. Abbiamo detto loro che questo non è corretto. Ho cercato di dialogare con loro separatamente. Sembrano determinati a mantenere le tradizioni. Ho detto loro che non approvo. Non ero disposto a partecipare alle loro celebrazioni. Continueremo il dialogo per far capire loro che tutti devono essere trattati allo stesso modo”.