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IL PARADISO RITROVATO/ 2

La terza cantica scritta in latino? Inizierebbe così

La terza cantica della Commedia è dedicata a Cangrande della Scala. Nell’epistola in latino che invia al Signore di Verona, Dante ne indica il fine: «removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis» ovvero strappare gli uomini dalla condizione di infelicità e accompagnarli alla felicità. 

Cultura 31_05_2015
Dante Alighieri

Composta tra il 1316 e l’anno della morte, la terza cantica è dedicata a Cangrande della Scala. Nell’epistola in latino che invia al Signore di Verona il Sommo poeta indica il fine per cui ha composto l’opera: «removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis» ovvero «rimuovere gli uomini finché sono ancora in vita dalla condizione di infelicità e accompagnarli allo stato della beatitudine». Il termine latino miseria, nella sua duplice accezione, ben chiarisce la coincidenza tra la selva oscura del peccato e la condizione di infelicità. Nella stessa epistola Dante spiega i quattro livelli di lettura della Commedia: quello letterale, quello allegorico (attraverso l’interpretazione delle allegorie e dei simboli), quello morale (che mira a cogliere l’insegnamento che i versi vogliono impartire al lettore per la sua vita e la sua felicità) e, infine, quello anagogico (o religioso che riguarda la vita ultraterrena e la salvezza dell’anima).

Solo una lettura attenta che miri a cogliere questi quattro sensi permette di intraprendere con Dante il viaggio esistenziale di redenzione per la propria felicità terrena e la salvezza eterna: i due fini della vita umana. Nella lettera il Fiorentino espone anche i contenuti della terza cantica: «gloria primi Motoris, qui Deus est, in omnibus partibus universi resplendet, sed ita ut in aliqua parte magis, et in aliqua minus». Questo sarebbe stato l’inizio del Paradiso in latino se Dante avesse composto l’opera nella lingua classica come gli aveva consigliato Giovanni del Virgilio. Il Fiorentino volle dimostrare a Giovanni del Virgilio la sua competenza di scrittura in latino inviandogli delle bucoliche. La scelta di scrivere in volgare l’alto poema non era certo motivata da incompetenza, ma aveva l’alta finalità pedagogica di voler comunicare a tutti la verità. 

In volgare così appare l’incipit della terza cantica: «La gloria di colui che tutto move/ per l'universo penetra, e risplende/ in una parte più e meno altrove./ Nel ciel che più de la sua luce prende/ fu' io». La materia è, quindi, completamente diversa da quella dell’Inferno e da quella del Purgatorio. Ora il tema indicato come assiale in tutta l’opera è la gloria di Dio che muove tutto che sarà ripresa in maniera circolare nell’ultimo verso della Commedia «Amor che move il sole e l’altre stelle». Dio crea, fa nascere, fa crescere, ha la capacità di muovere il Creato. Il diavolo non può nulla, neppure creare il proprio regno, come sta scritto nell’epigrafe che sta in alto alla porta dell’inferno: «Giustizia mosse il mio alto fattore/ fecemi la divina potestate/ la somma sapienza e ‘l primo amore». La gloria e la bellezza di Dio sono presenti ovunque, ma non si può sostenere che siano presenti e visibili allo stesso modo nell’universo: vi sono dei luoghi e dei punti in cui la grandezza di Dio sembra più evidente ed altri in cui la sua bellezza sembra oscurata e non palesemente chiara, magari per l’azione malvagia perpetrata dall’uomo. Pensiamo ai luoghi in cui imperversa l’atrocità della guerra e a quante volte chi soffre elevi verso l’alto il grido a Dio di intervenire, di mostrarsi, di far vedere il suo potere. Vi è, però, un luogo privilegiato della presenza di Dio, scrive Dante, ed è il Paradiso. Dov’è collocato il Paradiso dantesco, come è strutturato?

L’equivoco comune che va sfatato è che il Paradiso coincida con i nove cieli. Senz’altro è vero che la maggior parte dei canti della terza cantica sono ambientati nei nove cieli, ma questo accade perché le anime dei beati si fanno incontro a Dante per mostrargli le loro caratteristiche differenti e le diverse peculiarità che possono contraddistinguere la santità. In realtà, però, i santi sono collocati tutti insieme nella Candida rosa che si trova nell’Empireo al di là dei nove cieli. In una rapida sintesi ecco il viaggio compiuto dal poeta finora. Dante è disceso nell’imbuto infernale dall’accesso che si trova in prossimità della selva oscura vicino a Gerusalemme. Attraverso i nove cerchi dell’Inferno è giunto al centro della Terra dove è conficcato Lucifero e da lì, camminando attraverso una natural burella lunga quanto la profondità dell’Inferno, è poi riuscito a rivedere le stelle. Agli antipodi di Gerusalemme si eleva la montagna del Purgatorio, strutturata in nove balze, se consideriamo anche l’anti Purgatorio e il Paradiso terrestre. Attorno si dipartono i nove Cieli nei quali Dante incontrerà i santi. 

All’inizio del Paradiso Dante si trova ancora in cima alla montagna del Purgatorio, dove ha ritrovato Beatrice. Nel canto XXX del Purgatorio, dopo aver ritrovato l’amata, Dante si è rivolto a Virgilio, il suo maestro, per comunicargli che ha incontrato nuovamente quella bellissima donna per cui ha composto tanti versi ed è uscito dalla volgare schiera. Scrive Dante: «Ma Virgilio n'avea lasciati scemi/ di sé, Virgilio, dolcissimo patre,/ Virgilio a cui per mia salute die'mi». Tra l’altro, dieci anni dopo la morte di Beatrice avvenuta l’8 giugno del 1290, ora nel marzo o nell’aprile del 1300, la donna per prima cosa riprende Dante e, piuttosto che consolarlo, lo redarguisce per essersi dimenticato di lei e di tutto quanto lei gli ha insegnato. Siamo a mezzogiorno del 13 aprile (o del 30 marzo), il Sole è alto nel cielo, non è l’alba come all’inizio delle altre cantiche. Il mezzogiorno rappresenta la certezza del viaggio, non più solo la speranza: «Fatto avea di là mane e di qua sera/ tal foce, e quasi tutto era là bianco/quello emisperio, e l'altra parte nera». L’emisfero australe si è tutto imbiancato mentre in quello boreale si è annottato. 

Prima di iniziare a raccontare il viaggio nel Terzo Regno, in quel Cielo in cui è più palese la luce di Dio e in cui ha visto cose che «ridire/ né sa né può chi di là su discende», Dante sente l’esigenza di invocare qualcuno che gli permetta di esprimere quanto ha visto. Non sono più le Muse a essere chiamate in soccorso come nelle prime due cantiche. Ora Dante chiede il soccorso di Apollo, simbolo, in questo caso di Gesù Cristo. Gli chiede di ispirargli nel petto con quella forza espressiva grazie alla quale nel mito Apollo sconfisse Marsia nella gara del canto e per punizione lo scorticò vivo. In questo modo forse Dante potrà essere incoronato con l’alloro poetico e anche altri, per imitazione, vorranno imitarlo e ricercheranno la gloria attraverso la gloria poetica. Dopo aver chiesto aiuto al Cielo per scrivere l’inesprimibile, alla presenza della ritrovata Beatrice, finalmente il viaggio nel Paradiso può iniziare.