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Fine vita

La Sardegna vara la legge sul suicidio, una provocazione politica

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Dopo la Toscana, un’altra regione guidata dal centrosinistra ha approvato la sua legge sul suicidio assistito. Che però è incostituzionale, per difetto di competenza, e intempestiva, visto il Ddl all’esame del Parlamento. Pd e 5 Stelle lo sanno, ma usano il fine vita come provocazione politica e culturale.

Vita e bioetica 19_09_2025

E dopo la Toscana ecco la Sardegna. Mercoledì scorso, 17 settembre, con 32 voti a favore e 19 contrari, la maggioranza Pd-5 Stelle è riuscita a varare una legge che legittima il suicidio assistito. La norma, come è avvenuto in Toscana, si è ispirata alla proposta di legge Liberi subito dell’Associazione Luca Coscioni, associazione radicale che si sta impegnando per far passare leggi simili anche in altre regioni.

Secondo la norma, l’accesso al suicidio medicalmente assistito è consentito solo a coloro che sono in possesso dei requisiti previsti dalla sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale (qui un approfondimento): persona capace di intendere e volere che ha preso la decisione di suicidarsi in modo libero e consapevole, affetta da patologie irreversibili e fonti di sofferenze insopportabili e mantenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Per la verifica dei requisiti verrà istituita una Commissione multidisciplinare permanente. Le determinazioni assunte dalla Commissione verranno quindi trasmesse al Comitato etico territorialmente competente. Questo redigerà un parere indirizzato nuovamente alla Commissione e infine quest’ultima deciderà se permettere il suicidio oppure negare il permesso. La Commissione indicherà altresì le modalità di erogazione del servizio per aiutare la persona a togliersi la vita, erogazione che avverrà tramite le aziende sanitarie regionali. Tutto questo, ovviamente, a carico del contribuente, anche di quel contribuente che è contrario a questa legge.

Interessante e preoccupante questa precisazione: «In caso di esito negativo del procedimento di verifica, è possibile presentare una nuova istanza di accesso al suicidio medicalmente assistito a seguito di un mutamento delle condizioni del soggetto interessato». È facile immaginare che basti un lieve peggioramento delle condizioni fisiche o anche psicologiche o addirittura sociali ed economiche dell’aspirante suicida per legittimare un’altra e un’altra ancora richiesta finché la Commissione, sfinita, darà il suo benestare.

Altra nota di rilievo, ancor più interessante e preoccupante: da nessuna parte nella legge c’è scritto che l’aiuto al suicidio è condotta depenalizzata qualora il soggetto richiedente sia in possesso dei quattro requisiti di cui sopra e qualora si rispetti la procedura descritta nella legge stessa. La norma, nel suo tenore letterale, indica invece una serie di requisiti e di procedure affinché sia riconosciuto il diritto ad essere aiutato a suicidarsi. La legge sarda, in modo ancor più esplicito delle sentenze della Consulta e della legge all’esame in Parlamento, riconosce un diritto, non individua cause scriminanti volte alla depenalizzazione di una condotta. Questo avviene di necessità: infatti le regioni non hanno il potere di depenalizzare un reato.

È probabile che il Governo, come ha già fatto con la legge toscana, impugni la norma per difetto di competenza ratione materiae. Infatti, non spetta alle regioni legiferare su una materia – la salute e in questo caso la vita e la morte dei cittadini – di spettanza esclusiva dello Stato. La legge è quindi incostituzionale perché in contraddizione con l’art. 117 Cost. che interessa la competenza legislativa Stato-Regioni. Una sorta di ammissione implicita su questo aspetto è contenuta addirittura nella stessa legge sarda: «A decorrere dall'entrata in vigore della disciplina statale in materia, le disposizioni della presente legge si applicano solo in quanto compatibili». Una sorta di ammissione che Ubi maior, minor cessat, ossia che è lo Stato il soggetto deputato a disciplinare la materia e non le regioni. Ma Sardegna e Toscana, pur ammettendo questo, hanno aggiunto una considerazione: se lo Stato latita nel dare al Paese una legge sul suicidio assistito, ci pensiamo noi. A seguire questo ragionamento, tutti noi potremmo essere legittimati a diventare altrettanti giustizieri della notte, dato che lo Stato spesso latita nella repressione della criminalità.

L’asserita inadempienza dello Stato nel disciplinare la materia non ha fondamento. In primo luogo, ad oggi l’ordinamento giuridico ha una sua normativa sul suicidio assistito: aiutare qualcuno a togliersi la vita è vietato ex art. 580 Cp, eccetto in quei casi in cui la Consulta lo ha legittimato. È un trito e frusto espediente retorico quello di continuare ad affermare che c’è un vuoto legislativo in merito ad una certa condotta quando questa è vietata. Il divieto non significa che c’è una lacuna, che non c’è disciplina normativa. C’è una disciplina normativa che appunto vieta certe condotte.

In secondo luogo, il Parlamento sta per varare, purtroppo, una legge sull’aiuto al suicidio (clicca qui e qui per un approfondimento). Ora appare irragionevole, perché inutile, che una regione adotti una normativa sul fine vita quando a breve verrà varata una legge sulla medesima materia che dovrà essere applicata in tutta la nazione, Sardegna compresa. Una normativa, quella sarda, che, come abbiamo visto, già prevede di fare un passo indietro qualora subentri una legge statale. Inoltre, la legge sarda non potrà avere valore integrativo rispetto a quella del Parlamento italiano, così com’è espresso nella norma regionale, ma potrà solo essere abrogata sia perché incostituzionale sia perché, molto in subordine, occorre rispettare la gerarchia delle fonti: una norma nazionale prevale su quella regionale.

I proponenti di Pd e M5S sanno tutto questo eppure sono andati avanti ugualmente per la loro strada. Per quale motivo? Perché il tema del fine vita, oltre ad essere questione giuridica, è soprattutto questione politica e ancor più sociale. La sinistra, proponendo proprie leggi sul suicidio assistito, sta comunicando al governo Meloni che rifiuta la sua legge in materia e a tutti noi che la sua prospettiva etica sul morire è molto più liberal di quella sposata dalla maggioranza. In definitiva, la legge sarda è una provocazione politica e culturale.



L’analisi

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