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L'EDITORIALE

La manovra uccide le nonne

La riforma delle pensioni proposta dal governo non tiene conto delle esigenze della famiglia. E con l'equiparazione dell'età pensionabile per uomini e donne, cancella una figura fondamentale: la nonna.

Editoriali 13_12_2011
nonna e nipote
Che le batoste arrivassero, potevamo anche aspettarcelo. Che il governo colpisse le pensioni, pure. Infatti una società in cui le aspettative di vita aumentano sempre di più, e, soprattutto, in cui gli anziani sono in continua crescita, non ha la forza di pagare pensioni troppo a lungo. Dove mancano i figli, cioè i giovani, mancano anche i soldi per mantenere chi è uscito dal mondo del lavoro. Niente figli, perché non desiderati, perché abortiti, e così via: insomma, niente pensioni.

E’ chiaro, ma il governo ha pensato bene di ignorarlo: si è alzata l’età pensionabile, ma nessuna riforma, per così dire, strutturale, per rilanciare la famiglia. Così che, se nel 2018 andremo in pensione non prima dei 66 anni, nel 2025 forse ci andremo a 75, o non ci andremo affatto.

Ma tant’è: della famiglia non importa nulla a nessuno. E anche dalle gerarchie cattoliche sono arrivati segnali di sostegno a questa manovra: «intelligente e coraggiosa» è stata definita, prima che qualcuno cominciasse ad avanzare timidamente qualche perplessità.

Però, detto questo, la riforma delle pensioni contiene un’ ulteriore, gravissima iniquità: l’equiparazione tra l’età pensionabile degli uomini e quella delle donne. In accordo, certamente, con una cultura che della donna non riconosce più la natura intima e profonda, seppellita da decenni di femminismo. Sì, perché dagli anni Sessanta in poi la cultura dominante, soprattutto di sinistra, ha voluto eliminare la donna come madre, ed ora finisce di ucciderla sia nel suo ruolo materno, che in quello, che almeno in parte rimaneva, di nonna. Sì, la nuova legge sulle donne che andranno in pensione a 66 anni, voluta dal governo, auspicata già in passato dalla radicale Emma Bonino, sottoscritta da una donna ministro, Elsa Fornero, uccide definitivamente una figura che era divenuta centrale nella nostra società senza padri e senza madri: la nonna!

Cercherò di spiegare meglio perché l’Italia è un paese fondato non sul lavoro, ma sulle nonne. Il motivo è presto detto: ormai sia marito che moglie sono costretti, vuoi dai tempi, vuoi dalle circostanze, a lavorare entrambi. Lo Stato italiano fornisce, a chi contribuisce a ringiovanire la società, i cosiddetti assegni familiari, buoni per comperare una scatola di pannolini al mese. Non di più. In tutti i campi lavorativi, in nome della parità, alla donna-mamma non è riconosciuto alcun diritto. Ne consegue che avere un figlio è spesso già un caos, averne due o tre diventa, per molti, impossibile. Per questioni di tempo, di casa, di soldi…

Anche qui stanno i tanti bambini abortiti; anche qui sta la vecchiaia di un paese che non può permettersi più le pensioni di un tempo. Fino ad ora, però, molte nonne avevano supplito all’impossibilità dei genitori di stare dietro agli orari dei figli piccoli: andandoli a portare e a prendere all’asilo, sostituendo i genitori in caso di malattia ecc… Alleviando insomma parecchio i molteplici disagi connessi ad una vita stressante e caotica come quella delle famiglie moderne. Il fatto che l’Italia abbia ancora poco più di un figlio per coppia, e non abbia ancora raggiunto la sua estinzione involontaria, è dunque un merito delle nonne (e, in qualche misura, dei nonni): che però, da domani, grazie a questi provvedimenti, non potranno più fare quasi nulla. Con grandissimo danno delle famiglie italiane, e ulteriore diminuzione della natalità del nostro paese.

Ma non è finita: equiparare l’età pensionabile tra uomini e donne, è anche una grave ingiustizia tout court, di cui, qualche femminista, sta iniziando ad accorgersi:  “Lavoriamo in casa, oltre che fuori! Come mamme, come “badanti” dei genitori anziani, come nonne!” Sì, verissimo, e occorreva tenerne conto. Non solo nel calcolo delle pensioni, ma anche, magari, ricavando per le donne dei tempi liberi, delle agevolazioni, per esempio durante la maternità (in alcuni paesi, per esempio, un figlio vale un anno di contributi e una lunga maternità retribuita). Peccato solo che le femministe in questione si siano accorte spesso solo ora che la presunta uguaglianza tra l’uomo e la donna, oltre a delegittimare il padre, grande assente di oggi, ha finito per azzoppare anche le donne, tutte quante.

Per cambiare un po’ le cose, e creare leggi più umane, dovremmo tornare allora, semplicemente, a rimettere la famiglia al centro anche dell’economia. Ma oggi parlare di padre, di madre, e  di figli, diventa sempre più difficile. Si preferisce parlare di matrimoni gay, di aborto, di RU486, di emancipazione femminile e quant’altro… Questa manovra è figlia anche di questa ideologia.