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(IN)GIUSTIZIA

La condanna di Formigoni è un avvertimento

La Cassazione conferma la condanna per l'ex governatore della Lombardia: 5 anni e 10 mesi di reclusione, un piccolo sconto - causa prescrizione di un capo d'imputazione - rispetto ai 7 anni e sei mesi decisi in appello. Un chiaro avvertimento a un certo mondo cattolico.

Cultura 22_02_2019
Roberto Formigoni

Se davvero la gestione della Sanità lombarda merita la condanna al massimo della pena per corruzione, verrebbe da dire “viva la corruzione”. Perché grazie anche al presidente Roberto Formigoni, che della Lombardia è stato governatore dal 1995 al 2013, questa regione è diventata un centro d’eccellenza per la sanità, «punto di riferimento per tutta l’Italia», aveva detto nel settembre scorso perfino il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Eppure Formigoni è stato condannato in via definitiva, con la sentenza di ieri della Corte di Cassazione, a 5 anni e 10 mesi di reclusione. Un piccolo sconto rispetto ai 7 anni e sei mesi decisi dalla Corte d’Appello, ma dovuto alla prescrizione di uno dei capi d’imputazione, in ogni caso insufficiente per evitargli il carcere.

C’è dunque qualcosa che non quadra in questa ricostruzione della realtà. Secondo l’accusa la corruzione di cui è stato responsabile Formigoni, insieme all’ex assessore Antonio Simone e al faccendiere Pierangelo Daccò, è gravissima. Il Pg della Cassazione Luigi Birritteri ha parlato di «imponente baratto corruttivo», tale da «ritenere difficile ipotizzare una vicenda di pari gravità». Ebbene da tutto questo mare di corruzione sarebbe stata generata una Sanità-modello, sia per le prestazioni offerte sia per un bilancio in pareggio (unica regione in Italia). Tanta corruzione=tanta efficienza: fosse vero sarebbe un caso unico al mondo.

Più facile pensare allora che da qualche parte ci sia un errore, che la realtà stabilità dai tribunali sia molto lontana dalla verità. Il fatto è che mentre la qualità delle prestazioni sanitarie è certificata e facilmente verificabile, la condanna per corruzione lascia più che perplessi. Ne abbiamo già parlato sulla Nuova BQ  (qui, qui e qui) e rimando quindi agli articoli precedenti, ma la sostanza è che non ci sono mazzette passate da una mano all’altra, non ci sono conti bancari improvvisamente fioriti: ci sono invece vacanze nei mari tropicali a bordo di uno yacht, ospite di Daccò. Come ha detto il suo avvocato Franco Coppi: «Formigoni va in barca, è invitato in vacanza ma nessuno è riuscito a dimostrare la riconducibilità di un singolo atto di ufficio a queste ‘utilità’. Nessuno sa che cosa è stato chiesto a Formigoni, e nessuno sa per quale cosa è stata corrisposta quella utilità». Ed è stata applicata la pena massima.

Davvero difficile non pensare a un processo politico, a una ostinata determinazione a vedere Formigoni dietro le sbarre per tutto quello che rappresenta. Nessuno vuole sostenere che non abbia mai sbagliato o che sia il politico più bravo al mondo; né che non siano opinabili alcune scelte fatte dalla Regione Lombardia sotto il suo governo. Ma Formigoni è stato espressione di un mondo cattolico fortemente presente nella società, capace di costruire opere sociali e caritative, di creare imprese e quindi posti di lavoro; un mondo cattolico che aveva la pretesa di far discendere la presenza nella società dalla propria fede. Si trattava di una rete di iniziative e realtà da cui infine sono nati anche uomini politici come Formigoni e altri, portando una ventata di novità nello stantìo panorama politico italiano.
Con Formigoni si vuole “punire” questa realtà cattolica che non ha paura di sporcarsi le mani. Si vuole ristabilire una vecchia distinzione dei ruoli: i cattolici “integralisti” si occupino di spiritualità e di carità, a governare la politica e l’economia ci pensano già altri. Destino beffardo: la condanna di Formigoni arriva fuori tempo, perché nel frattempo anche quel movimentismo che costituisce la radice politica dell’ex governatore si è appannato, in gran parte è tornato già nei ranghi.

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