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ASIA

La Cina minaccia Taiwan. Quanto è forte il rischio

Immediatamente dopo la fine della visita di Nancy Pelosi a Taiwan, la marina cinese ha proclamato sei zone di esclusione attorno all’isola e sono iniziate le più grandi esercitazioni militari degli ultimi decenni nello Stretto. Tensione anche per la seconda tappa della Pelosi, in Corea del Sud. Quanto potrebbe essere vicino un conflitto?

Esteri 05_08_2022
Protesta cinese contro gli Usa e la Pelosi

Immediatamente dopo la fine della visita di Nancy Pelosi (presidente della Camera del Congresso Usa) a Taiwan, la marina cinese ha proclamato sei zone di esclusione attorno all’isola e ha iniziato a condurvi esercitazioni con armi e proiettili veri. All’inizio delle manovre, la Cina ha lanciato due missili balistici Dong Feng in prossimità dello spazio aereo di Taiwan. Ventidue aerei hanno sorvolato lo Stretto e sono penetrati nello spazio aereo taiwanese. La dogana cinese ha bloccato le importazioni di cibo da Taiwan e l’esportazione di sabbia (usata sia nell’edilizia che nell’elettronica). Quanto è seria la minaccia cinese? La Pelosi, nella tappa successiva del suo viaggio in Asia, è arrivata a Seul, capitale della Corea del Sud a ridosso del confine con il regime del Nord. Il presidente sudcoreano, Yoon Suk-yeol, ha deciso di non incontrare la presidente dalla Camera statunitense, ma di intrattenere una conversazione solo telefonica. Le cause ufficiali sono abbastanza banali (una vacanza pianificata con largo anticipo), ma quella reale potrebbe essere: evitare di irritare ulteriormente la Cina.

Corea del Sud e Taiwan, due fra i principali alleati degli Stati Uniti in Asia, sono esposti in prima linea alla minaccia dei regimi comunisti di Cina e Corea del Nord. Le esercitazioni militari cinesi al largo di Taiwan interessano anche la Corea del Sud. Simultaneamente, infatti, sta aumentando l’allerta per un possibile test nucleare della Corea del Nord. Il “regno eremita”, sempre più isolato da quando ha ammesso l’esistenza di un suo primo focolaio di Covid-19 e colpito da una grave crisi alimentare, dipende interamente dalla Cina. Due sono le condizioni segnalate, da sempre, dagli osservatori, in cui la Corea del Nord potrebbe tentare un affondo militare per prendersi il Sud: lo scoppio di una guerra in Europa e una guerra fra Usa e Cina. La prima condizione si è realizzata a metà, la guerra è in Europa ma non coinvolge direttamente gli Usa. La seconda, invece, potrebbe realizzarsi in caso di escalation a Taiwan.

Tutta l’attenzione dunque, va sempre rivolta alla Cina. Se la regione Asia-Pacifico (che dal 2011 è diventata ufficialmente Indo-Pacifico nelle mappe americane) è in pace o in guerra, dipende solo dalle decisioni del regime di Pechino. La reazione ad una visita statunitense di alto profilo a Taiwan rivela un atteggiamento estremamente bellicoso della Cina comunista, molto più che in passato. È cambiata anche la retorica di regime. L’ambasciatore cinese in Francia, ad esempio, ha dichiarato pubblicamente, l’altro ieri, che i taiwanesi avranno bisogno di una lunga “rieducazione” dopo la riunificazione. Nel colloquio in videoconferenza fra Xi Jinping e Joe Biden, il presidente cinese avrebbe detto al suo omologo americano che “chi gioca col fuoco, si brucia col fuoco”. In passato la riunificazione di Taiwan alla Cina era data per certa, ma non si specificava in che modo sarebbe avvenuta, dando ad intendere che si preferiva un processo politico pacifico. Negli ultimi anni è invece ricorrente, anche nella comunicazione politica, la possibilità di una guerra per Taiwan. Le esercitazioni dell’Esercito Popolare di Liberazione sono tutte eseguite in preparazione a quello scenario: blocco navale, bombardamenti missilistici, operazioni anfibie e aviotrasportate con l’obiettivo di conquistare un obiettivo oltre il mare. La Cina è il Paese che, negli ultimi due anni, ha varato e fatto entrare in linea più navi da guerra (fra cui incrociatori e caccia lanciamissili) in tutto il mondo.

Hal Brands e Michael Beckley, dell’American Enterprise Institute, in un loro lungo editoriale sul Wall Street Journal, ieri, spiegavano come la minaccia cinese sia oggi molto più concreta che in passato. Prima di tutto perché la Cina avrebbe sempre meno da perdere da una guerra, affetta com’è da quella che gli autori chiamano la “sindrome da picco”: la potenza (politica, economica e militare) della Repubblica Popolare avrebbe toccato il suo picco e ora sta già iniziando il declino. «Visto da vicino, il futuro cinese non pare così brillante. Quella che un tempo era una travolgente crescita, ha rallentato bruscamente, prima che il Covid-19 spingesse il governo a chiudere a tempo indeterminato le città più grandi. L’acqua, le terre agricole e le risorse energetiche stanno scarseggiando. Grazie all’eredità della politica del figlio unico, la Cina si sta avvicinando alla catastrofe demografica: perderà 70 milioni di cittadini in età da lavoro nel prossimo decennio, mentre avrà ulteriori 120 milioni di persone in età da pensione».

Gli analisti del Pentagono stanno riducendo le stime sul tempo che occorrerebbe alla Cina per essere pronta ad un conflitto per Taiwan. L’ultima prevede addirittura che sarebbe possibile entro cinque anni, ma una stima ancor più pessimista parla di due anni. Queste esercitazioni, insomma, non sono preludio di una guerra. Ma la data di un conflitto è molto più vicina di quanto si pensasse fino all’anno scorso.

Stephen McDonnell, corrispondente della BBC da Pechino, constata come vi sia un rischio di escalation anche nell’immediato. «Ora che la presidente della Camera degli Stati Uniti ha visitato Taiwan, la più alta carica degli Stati Uniti in 25 anni che lo ha fatto, quanti altri la visiteranno in futuro? Ora che la Cina ha tenuto importanti esercitazioni a fuoco vivo di tale portata, così vicine a Taiwan, perché non farlo di nuovo? Ogni volta che i caccia cinesi si avvicinano all'isola o sono in numero maggiore, si stabilisce una nuova “normalità”. Quindi, se la prossima volta l'Esercito Popolare di Liberazione (PLA) non volerà così vicino, quale messaggio invierà?». Secondo il corrispondente britannico, l’equilibrio è particolarmente fragile perché si basa su una doppia finzione: «La Cina finge che Taiwan sia parte del suo territorio», mentre «Gli Stati Uniti fingono di non trattare Taiwan come un Paese indipendente». Ora potrebbe essere il momento che a Pechino qualcuno voglia far saltare questa doppia finzione.

Un elemento importante a favore della pace potrebbe però essere l’impreparazione delle forze armate cinesi. Come constata Meia Nouwens dell’International Institute for Strategic Studies, intervistata dal britannico Telegraph: quello cinese è «Un esercito che non ha mai combattuto una vera guerra, né ha avuto l’opportunità di esercitarsi con i missili e con operazioni combinate, se non negli ultimi anni di modernizzazione». Xi ha sicuramente intenzione di mostrare i muscoli, con esercitazioni di massa e discorsi bellicosi, per galvanizzare l’opinione pubblica in patria e impressionare gli avversari. Ma a questo stadio di preparazione, avrebbe tutto da perdere in una guerra e molto da guadagnare in una condizione di prolungata “coesistenza competitiva” con Taiwan e gli Stati Uniti.