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La canonizzazione di don Bosco e il “miracolo” di Perosi

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L’1 aprile di 90 anni fa veniva canonizzato Giovanni Bosco. Pio XI affidò a mons. Lorenzo Perosi il compito di comporre la musica. Fu la rinascita artistica del grande compositore, che accettò l’incarico per obbedienza al Papa e per devozione al santo.

Cultura 02_04_2024

Nel radioso contesto della Domenica di Pasqua del 1934, la Chiesa celebrava un evento straordinario: la proclamazione di Giovanni Bosco (†1888) santo da parte di papa Pio XI (†1939).

Tra gli elementi che resero questa celebrazione ancora più memorabile, vi fu la maestria musicale di monsignor Lorenzo Perosi (†1956), «che, con le sue mirabili composizioni riportò la musica sacra ad essere espressione sincera e degna del culto divino, liberandola da un certo decadentismo, che in alcuni casi l’aveva colpita nel periodo a lui immediatamente precedente» (Paolo VI, Omelia, 24 settembre 1972). Perosi tornava dopo un’assenza di oltre quindici anni. A partire dal 1918, il maestro fu afflitto da gravi disturbi mentali che lo resero incapace di dirigere i Cantori Pontifici, incarico che passò temporaneamente al fratello Marziano. Nonostante episodi sporadici di problemi fisici e mentali, nel 1933, in occasione dell'Anno Santo della Redenzione indetto da Pio XI, Perosi ritornò alla direzione del coro della Cappella Sistina e riprese a comporre, creando opere come la Missa Redemptionis e un Te Deum, entrambi ad otto voci, in due cori.

Nel 1934, Pio XI affidò a Perosi l'incarico di comporre la musica per le imminenti celebrazioni in onore del santo piemontese, di cui Perosi era un devoto ammiratore. Nel diario della Cappella Sistina, alla data dell’1 aprile, si legge: «Il Maestro Perosi per desiderio del Papa ha scritto appositamente una Messa ed un Te Deum a otto voci (in due cori) che furono eseguiti sotto la sua stessa direzione […]. Dette composizioni sono di fattura moderna, con molte arditezze armoniche ed in alcuni punti di effetto sorprendente. Scritte in pochi giorni, fa meraviglia che una mente ritenuta esaurita come quella di Perosi abbia potuto concepire e trattare con tutta la logica musicale i due grandi lavori» (G. Perricone, Lorenzo Perosi. Nel primo centenario della nascita, ne La Civiltà Cattolica, Vol. I, Q. 2941, Roma 1973, p. 34).

In particolare, il Gloria fu elogiato come un eccellente esempio di moderna armonizzazione. Un’altra pagina notevole è il Credo che, dopo la fuga alle parole Et vitam venturi sæculi, si conclude con un suggestivo e delicato pianissimo.

Ma cosa spinse Perosi a tornare alla composizione e alla direzione dopo un lungo periodo di pausa? Un articolo dell’avvocato e musicologo Adriano Belli, pubblicato sull’Avvenire d'Italia il 15 marzo 1934, fornisce preziose informazioni (in M. Rinaldi, Lorenzo Perosi, Roma 1967, p. 342). In esso, si racconta di come Perosi, considerato da molti quasi un artista finito, sorprese tutti riemergendo con una vitalità e un'energia rinnovate. Era come se un miracolo di don Bosco stesso lo avesse risvegliato.

La motivazione di Perosi risiedeva nella sua profonda devozione al Santo Padre e nel desiderio di essere un figlio ubbidiente della Chiesa. Il Papa gli aveva chiesto, nel dicembre 1933, di comporre le nuove opere in onore di don Bosco, e Perosi non poteva che accettare con gioia e gratitudine. «Pur desiderando di ubbidire, dovevo esaminare e vedere se potevo comporre. Potevo essere… arrugginito dopo tanto tempo di sosta!». Fu un processo creativo veloce ma intenso: due mesi per maturare le idee e cinque giorni per trasporle sulla carta: «Il 29 gennaio (lo ricordo con precisione) alla mattina presi quella carta e cominciai a scrivere. Il 2 febbraio feci chiamare Mons. Rella, il mio fido collaboratore, e gli consegnai la Messa. Due giorni dopo gli diedi il Te Deum».

I due lavori di Perosi erano innovativi anche nella loro struttura: «Sono scritti per due cori distinti. Uno composto di soprani, contralti, tenori e bassi e l’altro di tenori primi e secondi, baritoni e bassi». Questa scelta conferiva un'atmosfera unica alle esecuzioni, con un effetto di grandiosità e solennità che colpiva l’uditorio.

E come si era deciso a dirigere? «Altro desiderio del S. Padre; a cui, naturalmente, ubbidisco ciecamente. Figurati che l'altro giorno S. E. Mons. Caccia Dominioni è venuto di persona fino qui da me per portarmi una grande medaglia d'oro, che il Santo Padre si era degnato inviarmi come Suo compiacimento per le nuove composizioni e ad esprimermi il desiderio che io le dirigessi. Ed eccomi qua. Prima di prendere la direzione ho però voluto sentire al pianoforte i due lavori. […] Io compongo sempre in partitura senza pianoforte. Dovendo dirigere ho voluto sentire quello che avevo scritto. Mi sono accorto che alcuni punti presentavano delle difficoltà di esecuzione».

Ma Perosi non si accontentava di comporre e dirigere. Aveva un sogno più grande: voleva vedere la rinascita della Cappella Sistina, «con i suoi cantori fissi, con organico proprio e proprio regolamento. Ecco il mio sogno di arte, che è poi il mio testamento. Potrà realizzarsi? Lo spero vivamente e fermamente».

Il miracolo di Pasqua del 1934 non fu solo la canonizzazione, ma anche la rinascita artistica di Lorenzo Perosi. La sua musica, carica di fervore e devozione, continuerà a ispirare generazioni di fedeli e musicisti, testimoniando la potenza della fede e della creatività umana.

Così, mentre ricordiamo il «padre e maestro dei giovani» (Giovanni Paolo II, Iuvenum Patris, 31 gennaio 1988), non possiamo fare a meno di riconoscere il dono prezioso che Perosi ha offerto al mondo con la sua musica, una testimonianza vibrante della sua fede e del suo talento. Don Bosco e Perosi, benché appartenenti a contesti temporali differenti, si uniscono nel richiamo alla bellezza e alla potenza della spiritualità, continuando a ispirare e a elevare coloro che li incontrano lungo il cammino della vita.