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DIRITTI UMANI

India, dietro gli stupri una società contro la donna

La morte della studentessa violentata in un autobus a New Delhi ha scatenato in India manifestazioni e polemiche. Ma questa stessa società ancora accetta come normale l'uccisione di milioni di neonate per non pagare la dote matrimoniale, per non parlare dei matrimoni combinati.

 

Articoli tematici 08_01_2013
Le proteste in India

“Non dire a tua figlia di non uscire, di a tuo figlio di comportarsi bene”: è quanto si legge su alcuni cartelloni inalberati durante le manifestazioni di protesta organizzate in India dopo lo stupro di gruppo della studentessa aggredita in un autobus a New Delhi lo scorso dicembre e in seguito deceduta per le lesioni riportate.

La frase è molto bella perché pone l’accento sulla responsabilità delle famiglie di educare i figli a un comportamento corretto e responsabile, rispettoso delle libertà e dell’integrità fisica e morale altrui, donne incluse. In tal senso contrasta positivamente con la decisione delle autorità della municipalità di Pondicherry di imporre alle studentesse di indossare d’ora in poi un soprabito ogni volta che escono di casa, per non dire delle esternazioni di un noto guru, Asharam Bapu, secondo il quale la poveretta avrebbe la sua parte di colpa per non aver chiesto pietà ai propri aggressori.

La domanda, però, inevitabile dato che si parla di India, è: quante persone, quante e quali famiglie insegnano ai figli a comportarsi bene? E, prima ancora, che cosa si intende per “comportarsi bene” nei confronti delle donne?
È inevitabile domandarselo perché se in India decine di migliaia di donne sono vittime di stupro ogni anno – e di sicuro i casi sono molti più di quelli denunciati – altre forme di violenza colpiscono decine di milioni di donne, con la differenza fondamentale rispetto allo stupro che, malgrado l’esistenza di leggi che proibiscono, gran parte della gente le considera invece non trasgressioni, non atti di devianza deprecabili, meritevoli di severe punizioni, ma istituzioni utili e azioni condivisibili. Si compiono tutte in ambito famigliare e sono ben note.

L’India, insieme alla Cina, è il paese in cui si uccidono sistematicamente, a milioni, le neonate, la cui nascita è accolta al pari di una disgrazia pensando all’onere di allevarle che culmina con il gravoso esborso della dote matrimoniale, un’istituzione proibita dal 1961, ma tuttora molto radicata e diffusa.
Le famiglie che non intendono dotare molte figlie o non se lo possono permettere – in considerazione anche dell’aumento degli importi richiesti negli ultimi decenni – ricorrono appunto all’infanticidio.

L’alternativa, da quando è possibile individuare il sesso del feto, è l’aborto che è diventato così frequente da indurre nel 1994 le autorità indiane a proibire ai medici di fornire questa informazione ai genitori (divieto peraltro spesso violato comunicando il sesso verbalmente). Va detto che, considerati i metodi usati per uccidere le neonate, l’aborto appare al confronto un atto clemente.
I contadini, ad esempio, sopprimono le neonate seppellendole vive, riempiendone la bocca di riso fino a strozzarle, soffocandole, ponendole davanti a un ventilatore che ruota ad alta velocità. Il primo metodo serve a cancellare ogni traccia della piccola uccisa, gli altri a simulare degli incidenti per evitare l’accusa di omicidio. Secondo un’indagine pubblicata nel gennaio 2006 dalla rivista scientifica Lancet in 20 anni gli aborti selettivi femminili in India sarebbero stati 10 milioni.

Oggi si parla di 50 milioni di femmine abortite e uccise dopo la nascita nell’arco di tre generazioni. L’istituzione della dote comporta altre conseguenze. Le famiglie cercano di accasare almeno alcune figlie a buon mercato, proponendole, ad esempio, a uomini molto anziani o costringendole a diventare terze e quarte mogli, e a maritarsi molto giovani per smettere di pesare sulla famiglia.
In India quasi metà delle donne si sposa prima di compiere 18 anni e non sono rari i matrimoni a 12-13 anni e anche prima. Il matrimonio combinato dalle famiglie, un’istituzione tipica delle società arcaiche, diventa così un’imposizione che consegna a forza delle spose bambine o quasi a uomini adulti spesso visti per la prima volta qualche giorno prima o il giorno stesso del matrimonio.

Le conseguenze dei matrimoni infantili sono note e tutte negative: innanzi tutto gli studi quasi sempre interrotti, le gravidanze precoci rischiose per la salute, uno stato permanente di dipendenza e sottomissione al marito e alla sua famiglia.
Succede inoltre che le famiglie concordino un pagamento rateale della dote da estinguere entro i primi anni di matrimonio. È normale allora che si verifichino ritardi nel versamento delle somme pattuite e può darsi che il pagamento dopo qualche tempo venga interrotto.
Ne derivano tensioni, maltrattamenti e violenze che possono culminare nell’omicidio della moglie, dissimulato da incidente domestico realizzato, ad esempio, cospargendola di liquidi combustibili e dandole fuoco.

Consapevoli di ciò, le autorità indiane hanno disposto che quando una donna muore per cause non naturali entro i primi sette anni dalle nozze si presuma un omicidio a causa della dote e si indaghi in tal senso. Ma ciononostante la maggior parte degli uxoricidi restano impuniti, in certi casi non vengono neanche denunciati.
Non meraviglia dunque che all’istituzione della dote sia correlato inoltre un elevatissimo tasso di suicidi tra giovani donne che temono il matrimonio a queste condizioni: un fenomeno riscontrato soprattutto nell’India meridionale dove i suicidi femminili sono dieci volte superiori alla media nazionale e tre volte più numerosi di quelli dei coetanei maschi.

L’India, va ricordato, è stato anche il paese del sati, l’istituzione che alla morte di un uomo richiedeva alla vedova di suicidarsi bruciando viva sulla pira funeraria del marito. Ma questo supplizio è ormai da tempo risparmiato alle donne indiane. Il sati è stato infatti proibito nel lontano 1829, quando l’India era una colonia britannica, dal governatore William Bentinck.