In morte della Vanoni, una cantante per tutte le stagioni
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Un excursus "contromano" sulle mille trasfigurazioni dell'Ornella nazionale, dalla tv in bianco e nero al presunto avvicinamento a De Mita, dalle frequentazioni protestanti ai panegirici postumi clericali.
Chiedo scusa se vado, come mio solito, contromano, ma ero rimasto a una Vanoni convertita al protestantesimo. Non sono al corrente di ulteriori variazioni religiose ma devo supporre, in attesa di smentita, di una sua ricattolicizzazione finale, visti i panegirici clericali che le sono stati dedicati. Sì, perché ho smesso da anni di seguirne le avventure.
Ho l'età per ricordare quel sabato televisivo in bianco e nero a canale unico in cui il maestro Gorni Kramer ne lanciò la prima trasfigurazione. Ella, milanese “bene”, era nota per le canzoni di “mala” abbigliata alla Juliette Greco. Infatti apparteneva alla generazione ammaliata dall'esistenzialismo francese, così come i Paoli, De Andrè, Tenco e via sinistreggiando. Kramer deve averle detto che la stretta milanesità, cabaret a parte, non aveva grandi sbocchi, così si presentò avviluppata in un mantello nero e accennò qualche verso di – mi pare – Ma mi, canzone di carcere. Poi di colpo l'orchestra esplose, lei gettò il mantello e, in abito da sera colorato, si produsse in un brano di musica leggera e spumeggiante. Da allora prese l'abitudine di seguire ogni vento.
Ai tempi dei fasti di Modugno si esibì – lei, milanesissima – al Festival di Napoli intonando Tu si' 'na cosa grande in dialetto partenopeo. E dire che nell'inno di Milano, Mia bela Madunina, il maestro D'Anzi aveva introdotto un filo di bonario disprezzo meneghino per i napoletani, gli immigrati di allora. Poi venne la Contestazione, e tutti dietro, tra cui lei. La Zanicchi cantava Un fiume amaro, Al Bano Il ragazzo che sorride, brani di Teodorakis contro i Colonnelli greci. Rammento uno show televisivo in cui l'Ornella nazionale, in vistoso décolleté, si agitava scatenata a ritmo di musica, tanto da far temere che la pettorina le scivolasse giù. Ma non accadde, con gran delusione dei fotografi.
Trascorsa quell'epoca triste e buia, vennero di moda la bossa nova e il samba, e fummo inondati di autori e cantanti brasiliani. Indovinate chi ne interpretava la maggior parte. Passata anche questa, sorse l'era di Craxi, cui seguì l'avvento del femminismo. E le sue dichiarazioni alla stampa, le sue interviste, la scelta delle canzoni erano in stile. Finì anche questa temperie e si sussurrò che si era avvicinata a De Mita. Sì, proprio lui, con gran stupore di tutti. Infine, come anticipato, il suo ingresso in una denominazione protestante, non ricordo quale. Da allora in poi non saprei più dirvi, perché l'età, malgrado il vistoso lifting, le distolse le luci di molti riflettori e la indusse a ripiegare sui talk, come la Zanicchi, come la Berti.
Fu davvero una grande cantante? Boh. Dal punto di vista artistico, come diceva Bergoglio, chi sono io per giudicare? Forse, tuttavia, non è un caso che di lei più che altro si ricordi Senza fine di Paoli, che starebbe bene in una coreografia con bistrot e tabarin mentre un apache schiaffeggia la gigolette con cui sta danzando una java. Bon, requiem e Famedio.
Risparmiateci almeno la "canonizzazione" della Vanoni
Per il prete che ha celebrato il funerale «cantare la Vanoni è fare memoria dell'Eucarestia»; e il solito vescovo Staglianò non teme il ridicolo nel delineare la sua poetica tra trasfigurazioni, resurrezioni e fede. Bastava affidarla al buon Dio come tutti, senza fare sfoggio di narcisistiche e improbabili letture evangeliche.

