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tradi-fobia

In Carolina del Nord c'è un vescovo che ha paura del latino

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Non solo restrizioni al rito antico: il vescovo di Charlotte prepara linee guida anche sul rito nuovo, dichiarando guerra alle balaustre, alle pianete e alla lingua latina, fonte di possibili "contagi" tradizionali. Un documento per ora rinviato, ma indicativo di una diffusa ideologia clericale.

Ecclesia 30_05_2025

Nella diocesi di Charlotte, Carolina del Nord, si apre un nuovo capitolo della guerra liturgica. Ma questa volta non si tratta soltanto dell’ennesima restrizione alla liturgia tradizionale, appena decretata dal vescovo Michael Martin sulla scia di Traditionis Custodes. La lotta si estende anche alla liturgia post-conciliare, da cui mons. Martin avrebbe in animo di bandire qualsiasi “contaminazione” tradizionale.

Sul fronte del rito antico le misure draconiane sono veicolate dal più soft Completare l’implementazione di Traditionis Custodes, che dà il titolo alla lettera di mons. Martin datata 23 maggio. Saggia scelta linguistica, adottata pure in altre diocesi, alla scuola del cardinale Roche: in fondo, «implementare Traditionis Custodes» fa meno paura di «eliminare il rito antico», anche se l’obiettivo è il medesimo. Insediato un anno fa, il vescovo di Charlotte ha anticipato la scadenza della proroga concessa da Roma al suo predecessore per poter continuare la celebrazione more antiquo nelle chiese parrocchiali (scadenza prevista a ottobre, come riporta The Pillar) e dispone che dall’8 luglio nessuna di esse potrà più ospitarla. Da quella data i luoghi in cui si potrà celebrare secondo il Messale del 1962 passeranno pertanto da quattro a uno solo in tutta la diocesi: «La cappella destinata a questo scopo si trova al 757 di Oakridge Farm Hwy., Mooresville, North Carolina 28115. Il nome della cappella è ancora da definire», si legge nel documento. La cappella senza-nome sembra l’immagine più eloquente del trattamento riservato nella Chiesa ai fedeli del rito antico, che dal 2021 non sanno più a che santo votarsi.

Ma a Charlotte  la tradizione deve sparire anche dalle Messe in rito “nuovo”,  stando alle norme non ancora promulgate ma anticipate in esclusiva da Rorate Caeli. Norme dettagliate da cui trapela un timore quasi maniacale che l’aborrita mentalità tradizionale possa riaffacciarsi anche solo attraverso un paramento o un candelabro. La pubblicazione del documento è stata temporaneamente rinviata dopo che alcuni sacerdoti hanno consigliato di riformulare almeno i punti più estremi e in contrasto con lo stesso Ordinamento Generale del Messale Romano, ma vale la pena rileggere la bozza perché indicativa di una mentalità e di una battaglia ideologica che il vescovo sembra comunque deciso a portare avanti. Il tutto sotto la nobile bandiera dell’unità (confusa però con l’uniformità, come del resto avviene in Traditionis Custodes) che non può essere minata da «preferenze personali». Peccato però che in questo caso si tratti non di un capriccio ma di un rito plurisecolare e che mons. Martin tolleri ben altre «preferenze personali», per non dire bizzarrie. Come la trovata di far indossare la sua mitria episcopale a una ragazza durante la Messa del 29 agosto 2024 presso la Charlotte Catholic High School, forse nell’intento di rendere meno noiosa la sua omelia. «Grazie al Cielo il vescovo di Charlotte si preoccupa della correttezza liturgica», commenta sarcasticamente Rorate Caeli pubblicando la foto su X.

Il primo nemico di mons. Martin è il latino. A preoccuparlo è «un uso frequente e diffuso della lingua latina nelle nostre liturgie parrocchiali» e per scongiurare il pericolo si avventura in un funambolismo ermeneutico per neutralizzare la raccomandazione del Vaticano II di conservare la lingua latina nei riti latini, pur permettendo l’uso delle lingue nazionali. Per il vescovo invece va conservata, sì, ma in soffitta e ne trova addirittura «inquietante» l’uso da parte dei sacerdoti, perché allontanerebbe la gente. E quei fedeli che invece ne vengono attratti? «Una minoranza rumorosa». Viene da chiedersi se il problema principale siano i fedeli che non capiscono il latino o i vescovi che non capiscono i fedeli.

Ma non è la sola fonte di preoccupazione, anzi è la fonte delle preoccupazioni di mons. Martin: «Quando il latino viene usato nelle nostre parrocchie, altri elementi del Messale del 1962 vi si intrecciano sempre», portando con sé altri elementi che per lui risultano inaccettabili, e pertanto da vietare o scoraggiare: le candele e la croce sull’altare (che per lui andrebbero posti solo accanto e di lato) o la preghiera finale a San Michele Arcangelo, così come (ma era facilmente intuibile) l’altare rivolto ad orientem. Chiariamo che nessuno di questi aspetti è vietato da nessuna norma del Novus Ordo Missae ma solo dalla “tradi-fobia” che traspare da questo documento fortunatamente non ancora promulgato.

Per scongiurare qualsiasi possibile “infiltrazione”, ci si avventura a disciplinare anche la foggia dei paramenti: fortemente sconsigliate le «casule con taglio comunemente detto “a violino» (ovvero le pianete, anch’esse mai abolite da nessuno), poiché sarebbero «un chiaro segno che il celebrante  preferisce la vita liturgica (e forse teologica) della Chiesa prima del Concilio Vaticano II». Men che meno – orrore! – si osi recitare le classiche preghiere che un tempo erano prescritte al momento di indossare i paramenti. Sospetto di preconciliarismo, quindi vietato, è pure il campanello con cui si segnala ai fedeli l’inizio della celebrazione. «Un benvenuto verbale da parte del lettore (o di altro ministro idoneo) seguito dall'indicazione dell'inno da cantare e da un invito ad alzarsi è più appropriato e dovrebbe essere normativo in tutte le Messe». Come se nell’attuale prassi liturgica il rito non fosse già sepolto da fin troppe chiacchiere e monizioni...

Ci fermiamo qui perché la quantità e la minuzia dei dettagli fa sorgere il dubbio che quelli attaccati alle forme esteriori non siano i fedeli legati al rito antico, bensì i chierici che lo avversano. Bisogna al tempo stesso riconoscere che anche la loro avversione non è questione di sartoria, bensì di ideologia. E di un trauma non ancora superato da parte di certa gerarchia il cui core business sembra l’odio del (proprio) passato più che l’annuncio di Cristo, temendo di non essere sufficientemente alla moda per essere accettata dal mondo. Una rottura interna al mondo cattolico che, dopo la pacificazione promossa da Benedetto XVI, è riesplosa con il motuproprio Traditionis Custodes, innescando «una nuova guerra contro la Messa tradizionale, che si è rivelata divisiva e piena di amarezza», come ha affermato in una recente intervista l’arcivescovo di San Francisco, mons. Salvatore Cordileone, auspicando che l'elezione di Leone XIV possa riavviare anche su questo fronte un’opera di ricucitura e riconciliazione: «Vuole essere un costruttore di ponti: questo è stato chiarissimo fin da quando ha messo piede per la prima volta sulla loggia della Basilica di San Pietro. Credo che possa porre fine alle guerre liturgiche». Di ponti, a dire il vero, ce n'erano in abbondanza anche prima, ma i soli destinati a chi segue l’antico rito o a chi soffre la carenza di sacro in quello nuovo erano ponti levatoi.



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