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LA MOSTRA

Il Realismo magico svela il mistero della vita

Un secolo fa nasceva un nuovo “stile italiano”, un originale modo di guardare la realtà per indagarne il mistero. Il Realismo magico, espresso nelle opere di Carrà, Donghi, Casorati, Oppi, Funi e altri artisti, è oggetto di una mostra a Palazzo Reale, a Milano, visitabile fino al 27 febbraio 2022.

Cultura 23_12_2021

Qual era l’obiettivo dei pittori del Realismo magico? Sicuramente opporsi alle tensioni e torsioni dinamiche futuriste, per “rallentare” lo sguardo (e con esso il pennello), assumendo quello spalancato e quasi immobile del bambino, che si abbandona a una spontanea, originaria meraviglia per aprirsi al segreto del mondo. Lo stupore del pittore è proprio la chiave per riscoprire la capacità creativa indispensabile alla nascita di un’arte nuova. I realisti magici italiani, in primis Felice Casorati (1883-1963), non si presentano in esposizioni collettive come un gruppo organizzato, ma hanno piuttosto la tendenza a compiere percorsi individuali, creando reti di relazioni. Ma le loro scelte hanno origine da un retroterra comune, che ritorna alle fonti più limpide della pittura, alla ricerca della grazia della visione e della semplicità del sentire.

“Tutto è ritornato come nelle ere primordiali” scrive Carlo Carrà (1881-1966), quando comincia a meditare sulle lezioni degli antichi maestri, per far emergere il suo desiderio di schiettezza e autenticità. Infatti, i caratteri che connotano con evidenza l’arte del Realismo magico sono proprio “la narrazione chiara, apparentemente semplice e riconoscibile, ma che cela un senso di attesa e di meraviglia, capace di restituire allo spettatore l’impressione di assistere a un’inspiegabile rivelazione”. Così lo smagliante Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia di Ubaldo Oppi (1889-1942), con il suo incredibile turchese del mare, del cielo, dell’abito elegante della donna e del suo sguardo immobile e profondo, è come se volesse parlarci e svelarci il mistero di tanta bellezza. E ancor di più la sua quattrocentesca Giovane sposa ci immerge in un’atmosfera di sospensione e di incanto, soffusa da un senso di malinconia e di solitudine, che però non costituiscono l’ultima parola. Del resto il nitore e l’equilibrio assoluto di Le figlie di Loth di Carlo Carrà o il tempo sospeso delle due dolcissime Maternità di Gino Severini (1883-1966) e di Achille Funi (1890-1972) ci mostrano come l’insegnamento dei pittori italiani del Quattrocento, come Masaccio e Piero della Francesca, abbiano ancora molto da proporre all’arte novecentesca “per quel loro realismo preciso, avvolto in un’atmosfera di stupore lucido”.

Merita dunque un elogio l’ossimoro del termine Realismo magico che infatti, nella sua pacata fedeltà al reale, si dimostra però capace di attraversare l’apparenza, quasi sfondandola, per aprirci a una visione profonda. Un quadro dopo l’altro siamo invitati a percorrere un cammino in un certo senso spirituale, attraverso la meticolosa apparente oggettività delle rappresentazioni di Ubaldo Oppi ne Il chirurgo (figura ascetica pur nel momento della pausa), o ne I tre chirurghi, seri e attenti, ben lontani dal chiacchiericcio e dalla superficialità delle conversazioni dentro e fuori dalle sale operatorie di oggi. Volti assorti più che tristi anche quelli di Raja Cynthia di Felice Casorati, che ci obbligano a sostare, a guardare oltre ciò che vediamo, a domandarci il perché della loro realtà.

A maggior ragione quando i pittori affrontano il tema dell’infanzia, a cui è dedicata una sezione della mostra milanese, in cui prevale un’interpretazione inquietante e volutamente deformante. Ragazzini imbambolati che, pur avendo accanto i loro piccoli trastulli, nella tela Bambini che giocano di Cagnaccio di San Pietro (1897-1946) non si divertono. Ci costringono quindi a porci domande su di loro e ad avere rispetto per quel fondo di mistero e sottile angoscia che traspare, tipico di quell’età, e che certo oggi non potrebbe essere colmato con le merendine o gli schermi di tablet e cellulari. Antonio Donghi (1897-1963) ci mostra invece Ragazzi alla finestra, che sanno guardare oltre, senza paura di attendere, senza annoiarsi: quanto diversi da tanti fanciulli nervosi e scocciati dei nostri tempi! Da notare come percepisce il Carnevale Gino Severini, che trasforma La famiglia del povero Pulcinella in una sacra famiglia. Una sorta di religiosità sottintesa, ben evidente nel quadro La sera (Il rosario) ancora di Cagnaccio di San Pietro.

Anche se prevalgono i ritratti, pure il paesaggio partecipa di questo incanto. Ne è esempio eloquente il piccolo-grande capolavoro di Carlo Carrà Pino sul mare, che non può non catturare sguardo e cuore dello spettatore, immergendolo nel fascino di quell’essenzialità ricca di una segreta immensità. Così anche le splendide “nature morte” (che dire dell’invitante Natura morta con polpette, sempre di Cagnaccio di San Pietro?) ci conducono a scoprire la “vita segreta delle cose”. Non manca il tema erotico, che malgrado l’ammiccante e fuorviante copertina del catalogo, ha in realtà significato affine alle altre opere su cui ci siamo soffermati, con le figure modellate secondo natura in una quieta sospensione. Aveva ben ragione lo scrittore Massimo Bontempelli (1878-1960) quando nel 1927 rivendicava con convinzione il valore dell’immaginazione. “L’immaginazione non è il fiorire dell’arbitrario, e molto meno dell’impreciso. Precisione realistica di contorni, solidità di materia ben poggiata sul suolo, e intorno come un’atmosfera di magia che faccia sentire, traverso un’inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la vita nostra si proietta”.

Ecco la promessa di questa mostra (visitabile a Palazzo Reale, a Milano, fino al 27 febbraio 2022): condurci con pacatezza a uno sguardo profondo sulla realtà, che può sembrare sospesa e quasi immobile, ma sa aprirci sempre all’attesa del mistero. Proprio come il Natale che aspettiamo.