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ALLA CASA BIANCA

Il Papa a Obama: libertà religiosa e difesa della famiglia

Grazie per il grande dono della speranza». Così il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama nel suo saluto a papa Francesco alla Casa Bianca. Il Pontefice si è detto lieto, come «figlio di una famiglia di emigranti», e insieme alla difesa della famiglia, ha ricordato l’altra grande preoccupazione: la libertà religiosa. 

Ecclesia 23_09_2015
Papa Francesco e il presidente Barack Obama alla Casa Bianca

  Il 23 settembre 2015 Papa Francesco ha iniziato la sua visita negli Stati Uniti. I primi incontri sono stati con il presidente Obama alla Casa Bianca e con i vescovi americani, mentre nella nottata italiana al Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione di Washington il Papa ha canonizzato il beato Junipero Serra, il francescano apostolo della California nel XVIII secolo. Nella sua prima giornata il Papa ha invitato a difendere la vita, la famiglia e la libertà religiosa che oggi sono in pericolo anche negli Stati Uniti con una fermezza obbligatoria cui a nessuno è lecito sottrarsi ma insieme con uno stile umile, evitando i toni «aspri e bellicosi» e persuadendo con dolcezza e pazienza.

La visita ha avuto un prologo nell’incontro con i giornalisti nel volo fra L’Avana e Washington, dove i giornalisti hanno posto al Papa domande forti sul mancato incontro con i dissidenti cubani ostili al regime di Fidel Castro e sulle difficoltà che potrà incontrare negli Stati Uniti un Pontefice che non fa mistero della sua ostilità al grande capitalismo americano. Sui dissidenti cubani, Francesco ha risposto di avere escluso dalla visita incontri privati, e che la Chiesa di Cuba non li ignora ma si muove con discrezione. Il Papa ha affermato che «la Chiesa di Cuba ha lavorato ad una lista di prigionieri cui concedere l’indulto … L’indulto è stato concesso a 3.500 circa… La cifra me l’ha detta il presidente della Conferenza Episcopale: sì, più di tremila. E ancora ci sono casi allo studio». Al di là dell’incontro con Fidel Castro, dove – ha affermato Francesco – si è parlato soprattutto di ecologia e dei ricordi dell’ex leader cubano sui suoi studi giovanili presso i Gesuiti, il Papa ha affermato, in un viaggio che si voleva peraltro soprattutto religioso e pastorale, di avere fatto intendere chiaramente che cosa non va a Cuba. «Nei discorsi che ho fatto a Cuba, sempre ho fatto accenno alla Dottrina sociale della Chiesa. Le cose che si devono correggere le ho detto chiaramente, non “profumatamente”, “soft”».

Quanto agli Stati Uniti, il Papa ha reagito in modo sorridente alle accuse secondo cui sarebbe socialista o comunista. «Un cardinale amico», ha confidato, «mi ha raccontato che è andata da lui una signora, molto preoccupata: molto cattolica, un po’ rigida, la signora, ma buona, buona, cattolica, e gli ha chiesto se era vero che nella Bibbia si parlava di un anticristo. E lui le ha spiegato. É anche nell’Apocalisse, no? E poi, se era vero che si parlava di un antipapa … «Ma perché mi fa questa domanda?», ha chiesto il cardinale. «Perché io sono sicura che papa Francesco è l’antipapa». «E perché?», chiede quello, «Perché ha questa idea?». «Eh, perché non usa le scarpe rosse!”». Francesco ha affermato di non avere mai detto «una cosa che non sia nella dottrina sociale della Chiesa. Le cose si possono spiegare. Forse una spiegazione ha dato un’impressione di essere un pochettino più “sinistrina”, ma sarebbe un errore di spiegazione. No. La mia dottrina, su tutto questo, sulla Laudato si’, sull’imperialismo economico e tutto questo, è quella della dottrina sociale della Chiesa. E se è necessario che io reciti il “Credo”, sono disposto a farlo!».

Al termine del suo viaggio, il Papa è arrivato nella capitale dell’«imperialismo economico», negli Stati Uniti, dove c’era molto attesa per l’incontro con il presidente Obama. Il Pontefice si è detto lieto, come «figlio di una famiglia di emigranti», di essere ospite in una nazione «che in gran parte fu edificata da famiglie simili». Ma ha subito precisato di essere venuto negli Stati Uniti anzitutto per partecipare all’incontro di Filadelfia, «il cui scopo è quello di celebrare e sostenere le istituzioni del matrimonio e della famiglia, in un momento critico della storia della nostra civiltà». Insieme alla difesa della famiglia, Francesco ha ricordato al presidente Obama l’altra grande preoccupazione dei vescovi americani: la libertà religiosa. I cattolici, ha detto il Papa, «si attendono che gli sforzi per costruire una società giusta e sapientemente ordinata rispettino le loro preoccupazioni più profonde e i loro diritti inerenti alla libertà religiosa. Questa libertà rimane come una delle conquiste più preziose dell’America. E, come i miei fratelli vescovi degli Stati Uniti ci hanno ricordato, tutti sono chiamati alla vigilanza, proprio in quanto buoni cittadini, per preservare e difendere tale libertà da qualsiasi cosa che la possa mettere in pericolo o compromettere».

Dopo questi due precisi moniti, il Papa ha aperto al presidente americano sulla fine dell’embargo contro Cuba, giudicata positivamente dalla Santa Sede che da anni operava per questo risultato, e sul terreno di «un’iniziativa per la riduzione dell’inquinamento dell’aria». Le preoccupazioni ecologiche sono in parte comuni a Papa Francesco e al presidente degli Stati Uniti, ma forse non è la stessa l’analisi delle cause dei disastri ecologici. Per Francesco il problema è un «sistema» che viola insieme i diritti delle famiglie, dell’ambiente e di una grande massa di  «esclusi che grida al cielo e che oggi bussa con forza alle nostre case, città, società». «Riprendendo le sagge parole del Reverendo Martin Luther King», ha affermato il Papa, possiamo dire che siamo stati inadempienti in alcuni impegni, ed ora è giunto il momento di onorarli».

Con i vescovi il Papa ha evocato la storia della Chiesa negli Stati Uniti, «un Paese dove le frontiere sono sempre provvisorie», e ha chiesto con le parole del poeta americano Edgar Lee Masters «ali forti e instancabili, ma anche la saggezza di chi conosce le montagne». Francesco ha definito «tuttora attuale» il corpus di discorsi negli Stati Uniti del beato Paolo VI, di san Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, e ha aggiunto: «Non sono venuto per giudicarvi né per impartirvi lezioni». Ma «con la libertà dell’amore», «come un fratello tra i fratelli» ha offerto alcune riflessioni sulle «strade da percorrere» e lo «spirito con cui agire». I vescovi devono essere «nient’altro che pastori» e custodire la gioia del Vangelo, anzitutto in se stessi dove «il Maligno ruggisce» e cerca d’indurre scoraggiamento. «L’essenza della nostra identità va cercata nell’assiduo pregare», ha detto Francesco ai vescovi, e non basta «una preghiera qualsiasi». Un vescovo che prega sarà capace di predicare non «complesse dottrine», ma «l’annuncio gioioso di Cristo morto e risorto per noi». «Vegliate perché il gregge incontri sempre nel cuore del pastore quella riserva di eternità che con affanno si cerca invano nelle cose del mondo».

Non deve mancare, in un Paese che parla molto di prosperità, «il sereno coraggio di confessare che bisogna procurarsi non il cibo che perisce ma quello che dura per la vita eterna». Per essere persuasivi, occorre però sfuggire alla «tentazione del narcisismo» che «rende il pastore irriconoscibile». Occorre anche che i vescovi abbiano «la lucida percezione della battaglia tra la luce e le tenebre che si combatte in questo mondo», e combattano questa battaglia insieme con «spirito di coraggio e non di timidezza» e con stile evangelico e non mondano.  «Guai a noi se facciamo della croce un vessillo di lotte mondane, dimenticando che la condizione per la vittoria è lasciarsi trafiggere e svuotare se stessi». È una tentazione, ha detto il Papa, reagire a un clima «ostile» con un linguaggio «aspro e bellicoso», che «non si addice alle labbra del pastore», mentre la Chiesa persuade quando pratica il dialogo, non per «strategia» ma per fedeltà all’«invito d’amore» del Signore Gesù. E il primo dialogo dei vescovi deve svolgersi tra loro, per «cementare l’unità il cui contenuto è definito dalla Parola di Dio» e dalla «comunione con la Chiesa di Roma che presiede nella carità».

Dialogo non significa nascondere i problemi: questo, ha affermato con forza Francesco, «non è lecito». «Le vittime innocenti dell'aborto, i bambini che muoiono di fame o sotto le bombe, gli immigrati che annegano alla ricerca di un domani, gli anziani o i malati dei quali si vorrebbe far a meno, le vittime del terrorismo, delle guerre, della violenza e del narcotraffico, l'ambiente devastato da una predatoria relazione dell'uomo con la natura, in tutto ciò è sempre in gioco il dono di Dio, del quale siamo amministratori nobili, ma non padroni».  «Di non minore importanza è l'annuncio del Vangelo della famiglia che, nell'imminente Incontro Mondiale delle Famiglie a Filadelfia, avrò modo di proclamare con forza insieme a voi e a tutta la Chiesa»: si tratta di «aspetti irrinunciabili della missione della Chiesa» da proclamare anche «quando la mentalità del tempo si rende impermeabile e ostile a tale messaggio». «Non è lecito, ha detto il Pontefice, evadere da tali questioni o metterle a tacere», anche se la posizione della Chiesa va presentata con «soavità» e pazienza, ponendo la propria fiducia non tanto nei «proclami» ma nella forza dell’amore.

Il Papa ha concluso richiamando i vescovi alla «paternità», a fronte di tante difficoltà dei sacerdoti americani, esposti anche a «tentazioni», e all’attenzione non solo umanitaria ma pastorale e religiosa ai nuovi immigrati. La nuova immigrazione è in gran parte latina e cattolica: bene accolta, diventerà una risorsa che «arricchirà l’America e la sua Chiesa».