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Il Paese dei cedri si prepara ad accogliere il Papa

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Quale Libano troverà Leone XIV? Padre Abdo Raad non nasconde le difficoltà del momento segnato da instabilità e divisioni, auspicando che questa visita «possa favorire il dialogo, la riconciliazione e la pace».

Ecclesia 08_10_2025
LaPresse (AP Photo/Hassan Ammar)

Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede ha annunciato ieri, 7 ottobre, che il Papa, dopo il suo viaggio apostolico in Turchia in occasione dei 1700 anni del Concilio di Nicea, «rispondendo all'invito del Capo di Stato e delle autorità ecclesiastiche del Libano» visiterà il Paese dal 30 novembre al 2 dicembre prossimi.

«Sapevamo da tempo della visita», ci dicono al telefono dal vicariato apostolico di Beirut. «Non potevamo parlarne finché non c'è stata l'ufficialità da parte della Santa Sede, ma la nunziatura era al lavoro da tempo per rendere possibile questo evento. Monsignor Essayan, il vicario apostolico del Libano, è impegnato in prima persona assieme alle autorità civili nell’organizzazione della visita e nell’accoglienza al Santo Padre».

In effetti la notizia non giunge del tutto inaspettata: di una visita del Papa in Libano si era parlato a più riprese durante gli ultimi anni del pontificato di Francesco, senza che però il viaggio si concretizzasse. «I tempi non erano maturi», riferisce alla Nuova Bussola Quotidiana Talal Khrais, giornalista libanese corrispondente della NNA Lebanon presso la Santa Sede. «Ora invece il Libano ha un governo autorevole, un presidente stimato da tutti,  sta vivendo un’importante rifioritura istituzionale. C'è voglia di rinnovamento, di legalità, ed è il momento giusto per accogliere il Santo Padre. I ministri del nuovo governo sono al lavoro, pian piano la diplomazia libanese guadagna terreno e questo scenario è seguito da vicino dalla Santa Sede e in particolare dal Pontefice».

Di altro avviso è padre Abdo Raad, sacerdote libanese di rito greco melchita in forza alla diocesi di Campobasso Boiano: «Il Papa troverà il Libano che conosciamo tutti: un Libano diviso tra confessioni e partiti, una divisione assai profonda che per ora non trova soluzione. Troverà gente povera derubata dai governanti e gente ricchissima che ha derubato i poveri, le tensioni tra Israele e Libano e l’opinione pubblica divisa a questo proposito. Troverà le ferite della guerra, uccisioni e suicidi, mentre i cittadini hanno paura di alzare la voce e reclamare i propri diritti perché rischiano la  vita e sono obbligati a idolatrare chi in realtà li danneggia e li rende schiavi. Troverà qualche segno di ripresa tra tante paure e ansie, ma soprattutto un grande desiderio di pace. Spero che le autorità che accolgono il Papa gli mostreranno queste realtà e non facciano finta che tutto vada bene. Certo, la decisione del Papa di visitare il Libano merita tutta la nostra profonda gratitudine, ci fa sentire il suo amore paterno e una speciale sollecitudine per il Paese e il suo popolo. Mi chiedo però, a cosa  sono servite le visite dei Pontefici finora? Non sarebbe stato meglio che la visita fosse un premio, dopo un cambio di indirizzo da parte delle istituzioni? Invece, coloro che accoglieranno il Papa a novembre saranno gli stessi che hanno dissanguato il popolo con le loro guerre e che l’hanno derubato durante la pace, o meglio tra una guerra e un’altra».

Chiediamo a padre Raad quali aspettative ci sono nel Paese circa questa visita: «Le aspettative sono alte perché i bisogni sono troppi. Molti vedono in questo evento un segno di speranza e di sostegno in un momento particolarmente difficile per il Paese, segnato da crisi economica, instabilità politica e tensioni sociali. La popolazione libanese, composta da diverse comunità religiose, si augura che la visita possa favorire il dialogo, la riconciliazione e la pace tra i gruppi».

Cosa pensano le altre comunità religiose della visita del Papa? Lo chiediamo a Jad, cristiano ortodosso di Tripoli, nel nord del Paese: «Mi auguro che la visita del Papa acceleri il processo di pace in Libano e in Medioriente e mostri la giusta strada  verso l’eguaglianza tra tutti i popoli della regione. Mi auguro poi che il Pontefice possa aiutare i pochi cristiani rimasti in Libano (la maggior parte sono emigrati a causa delle minacce e delle guerre) a vivere la fedeltà al Vangelo in maniera più autentica. Soprattutto, spero che i potenti diano retta alle sue proposte di pace». 

Ali, musulmano sciita, ricorda la visita a Beirut di Giovanni Paolo II nel 1997. «Fu molto bello: gli allievi delle scuole accolsero il Papa lungo l’autostrada che dall’areoporto entra in città con le bandiere libanesi e quelle bianche e gialle del Vaticano. Papa Leone è altrettanto benvenuto: la sua visita è una gran cosa per noi, sarà senz’altro un momento che segnerà la storia del Libano. Aspettiamo da lui che ci trasmetta la forza di andare avanti. Sia benvenuto il nostro Papa – perché è anche il nostro Papa».



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