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UNA STORIA VERA

Il film sulle fate con Mel Gibson nel finale

La Icon, casa di produzione di Mel Gibson, è una garanzia. Trasmesso dal canale Cielo nel dicembre scorso, il film “Favole” narra un fatto vero: nel 1917, nello Yorkshire, due ragazzine dissero di avere visto le fate. Gli esperti si divisero mostrando quanto lo spiritismo contendeva alla teosofia le menti e i cuori dei positivisti. Nel finale appare Gibson, che però invano troverete nei titoli.

Cultura 10_06_2021

La Icon, casa di produzione di Mel Gibson, è sempre una garanzia. Così, quando ho visto il marchio (il volto della Madonna detta Wladimirskaja), mi sono affrettato a guardare il film che passo a descrivere. Non è recente (è del 1997) ma lo ha trasmesso il canale Cielo nel dicembre scorso, perciò è facilmente reperibile. Si intitola Favole, anche se è più azzeccato il titolo originale, Fairy Tale (lett. «racconto di fate»), con aggiunto A true story («una storia vera»).

Infatti narra di quel che successe nel 1917 nell’inglese Yorkshire, dove due ragazzine asserirono di avere visto le fate in un luogo silvestre vicino a un ruscello. Fin qui la cosa sarebbe irrilevante se, le due, le suddette fate, non le avessero pure fotografate. La cosa finì sulla stampa e da lì alle orecchie di teosofi & spiritisti britannici. Tra i quali spiccava Arthur Conan Doyle, il creatore del razionalissimo Sherlock Holmes. Doyle, che era per giunta medico e cattolico di battesimo, credeva - anzi, voleva credere - al mondo del soprannaturale, del preternaturale e del paranormale. Come tutti gli scientisti dell’epoca. La contraddizione è solo apparente, perché gli scientisti erano convinti che a quel mondo invisibile si potesse accedere con mezzi, appunto, scientifici, e perciò non ci fosse più bisogno delle religioni (in realtà lo scientismo stesso è una fede).

Lo spiritismo contendeva alla teosofia le menti e i cuori dei positivisti e perfino il beato Bartolo Longo (fondatore del santuario di Pompei) ne fu inizialmente affascinato. Paradossalmente, l’unico nemico giurato dello spiritismo era un mago vero, forse il più grande degli illusionisti: Harry Houdini. Questo, constatato che lo spiritismo attirava soprattutto poveretti che avevano perso di colpo una persona cara, ne fece una crociata personale. Nel film è interpretato da un somigliante Harvey Keitel, mentre a Doyle dà corpo un niente affatto somigliante Peter O’Toole. Il film mostra anche quel che davvero accadde nello Yorkshire, invaso da torme di curiosi armati di reticelle per farfalle (le fate in questione erano alate e non più grandi di una mano). E c’è anche un reduce che, in una seduta della Società Teosofica, racconta di aver visto i famosi «angeli di Mons», che nel 1914 si dice abbiano protetto, stagliati nel cielo, inglesi e francesi contro i tedeschi.

L’episodio è vero: non tanto gli angeli, quanto le testimonianze. Ma nel film serve a incrinare i residui scetticismi. E dire che, saggiamente, nel film una delle due «veggenti», in visita a un ospedale, interpellata da un coetaneo malato che gli chiede di intercedere presso le sue fate, risponde che solo l’angelo custode può aiutarlo, le fate no. Infatti, queste ultime non esistono, le hanno inventate le due ragazzine di fertile fantasia nella terra di Shakespeare. Quest’ultimo a sua volta inventò la Regina delle Fate, Queen Mab, rifacendosi a una vecchia tradizione inglese. Però la nominò dove non doveva, Romeo and Juliet, che è ambientato in Italia, dove tutt’al più c’era il Gatto Mammone.

Nel film, l’unico ad accorgersi del trucco è un giornalista antipatico e spiantato, cosa che salva la narrazione poetica del film stesso. Il giornalista trova le «fate» ritagliate dalle confezioni di biscotti e usate per i fotomontaggi. Le foto scattate dalle due ragazzine, nella storia vera, vennero analizzate da esperti fotografi, i quali si divisero. Nulla di strano: l’«anello mancante» darwiniano (una truffa operata con mezzo cranio di scimmia e una mandibola umana limata e invecchiata ad arte) rimase esposto al «prestigioso» British Museum per quarant’anni prima che qualcuno si accorgesse dell’inghippo. E dire che ci portavano le scolaresche. Quando le due inglesine confessarono, l’unico a restare rocciosamente convinto dell’esistenza delle fate fu Conan Doyle. Il film, comunque, è molto bello e vale la visione. Anche perché, nel finale, in un ruolo cameo c’è proprio lui, Mel Gibson, che però invano cerchereste nei titoli, chissà perché.