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SCUOLA

Il "Concorsone" discrimina gli insegnanti delle paritarie

Centinaia di docenti con una lunga e qualificata esperienza nelle scuole paritarie non potranno partecipare al “Concorsone” indetto dal ministero dell’Istruzione perché privi di 36 mesi di servizio nella scuola statale negli ultimi otto anni. Una palese discriminazione, che va contro i principi costituzionali e finirà per far diventare precari diversi insegnanti intanto passati alla statale. Mentre i sindacati latitano, si consuma così un’altra ingiustizia contro la libertà di insegnamento e contro la libertà di scelta educativa.

Attualità 22_03_2019

Lettera di una docente: «Buonasera, mi permetto di scriverle perché sono disperata. Sono una docente di scuola dell’infanzia. Ho lavorato per 17 anni in una scuola paritaria. Avevo un contratto a tempo indeterminato, ho ricoperto anche il ruolo di coordinatrice. A febbraio del 2017 mi chiamano per firmare e accettare il posto nella scuola statale. Mi dicono che avrei dovuto prendere servizio a settembre 2016 ma che facevo parte di un gruppo di insegnanti che non erano state inserite per errore di non so chi. Ero contenta: avrei lavorato ancora un po’ in quella che consideravo la mia scuola. Poi a settembre 2017 avrei iniziato una nuova avventura. Nell’anno scolastico 2017/2018 ho superato l’anno di prova. È inutile che le racconti il resto della storia... Purtroppo lei ne è al corrente. Non ho i tre anni nella scuola pubblica statale per poter accedere al concorso straordinario, il sindacato mi ha abbandonato. Sono stata da un avvocato e purtroppo mi ha detto che non c’è nulla che io possa fare. Solo aspettare il licenziamento. Mi aiuti, la prego. Ho sempre fatto questo lavoro, non voglio perderlo. Sono disperata».

Sono decine i messaggi di questo tenore che compaiono in questi giorni, da parte di maestre e maestri delle scuole paritarie primarie e dell’infanzia, che hanno concluso gli anni di studio entro il 2001/2002. Centinaia di questi docenti, essendo esclusi dal “Concorsone” indetto dal ministero dell’Istruzione in quanto non hanno effettuato tre anni di servizio nella scuola pubblica statale - ma magari ne hanno anche 20 nella scuola pubblica paritaria, che rilascia titoli validi come la statale e non costa nulla ai contribuenti - non risultano più abilitati: andranno quindi licenziati in massa? Pare di sì. L’avvocato dice che non c’è nulla da fare…

Al Concorsone, infatti, possono partecipare soltanto coloro che hanno lavorato nelle scuole statali per almeno 36 mesi negli ultimi otto anni; pertanto sono esclusi i docenti delle scuole paritarie con una conseguente grave discriminazione professionale. Infatti, gli anni svolti presso la scuola pubblica paritaria sono giustamente valutati da sempre - nel rispetto della Costituzione - con punteggio pari a quello del servizio svolto presso la scuola pubblica statale; e anche per quanto riguarda il Concorsone vengono valutati allo stesso modo, ma la grave ingiustizia è che non sono considerati validi per poter sostenere tale procedura concorsuale. Quindi, chi in questi ultimi due anni ha lasciato un contratto a tempo indeterminato presso la scuola pubblica paritaria in cui lavorava da anni, accettando un contratto a tempo indeterminato presso la scuola pubblica statale e confidando in una ragionevole e necessaria soluzione di diritto, si accinge a perdere il posto e ad attendere un eventuale nuovo concorso, ma ordinario. Anni di lavoro spazzati via da una retroattività assurda e palesemente incostituzionale.

Questo Concorsone, che avrebbe l’obiettivo di fermare il precariato, farà in realtà diventare precario chi non lo era mai stato prima! “Il capolavoro dell’ingiustizia è di sembrare giusto senza esserlo”,  pare abbia detto Platone.

E i sindacati dove sono? Normalmente scendono in piazza per salvaguardare i diritti di tutti i lavoratori; ci si aspetta che lo facciano, nello specifico, anche per questi insegnanti discriminati e assegnati alla serie A o B a seconda che insegnino nella scuola statale o in quella paritaria. Scuole che sono entrambe pubbliche, cioè inserite, per legge, nel sistema nazionale di istruzione. Tale discriminazione avviene su una base giuridica inesistente, con la violazione palese del diritto acquisito. Le stesse associazioni di categoria non hanno dato voce a questi invisibili discriminati, forse perché troppo impegnate a trovare mediazioni politiche che hanno il sapore del compromesso e per nulla interessate a sanare sul serio l’ingiustizia di una libertà di insegnamento atterrata, insieme alla libertà di scelta educativa. Se non è libero il genitore di scegliere la buona scuola pubblica paritaria, non lo sarà il professore di insegnarvi. Non solo, molti fra questi perderanno i diritti acquisiti e saranno buttati sulla strada come scarti.

In tema di istruzione la classe politica non dovrebbe far altro se non garantire i diritti che la Costituzione riconosce, ma non è così: è libero solo chi può pagare la scuola due volte, con le tasse e con la retta. Oggi chi è al governo, a qualunque colore politico appartenga, non dice che per il disabile, così come per il docente, non esiste libertà di scelta, di formazione per l’uno e di insegnamento per l’altro, con la conseguente produzione di costi economici e sociali enormi. Ovviamente chi governa, o chi appartiene all’entourage, la libertà di scegliere ce l’ha e i propri figli li sistema nell’eccellenza dell'istruzione pubblica paritaria…

Di questo passo, com’è stato dimostrato in modo scientifico e inequivocabile, fra cinque anni in Italia avremo solo buone scuole pubbliche paritarie con rette dai 6.000 euro in su, foraggiate da chi può permettersele. Le 380 scuole all’anno che chiudono, infatti, sono quelle di periferia, quelle con rette inferiori ai 3.000 euro, quelle che i poveri non possono scegliere, ma vorrebbero poterlo fare, scuole di eccellenza per contenuti culturali e per capacità educativa, con docenti appassionati, attenti, determinati a non abbandonare i ragazzi al loro destino... che è sotto gli occhi di tutti. Scuole gestite con attenzione e serietà, che costano meno della metà delle pubbliche statali e che, in regime di costo standard, farebbero risparmiare allo Stato 7 miliardi di euro all’anno. 

Per essere benevoli si potrebbe pensare che la palese discriminazione dei maestri e delle maestre diplomati ante 2001/2002 sia conseguente alla confusione che alberga nel mondo della scuola italiana. Poiché quest’ultima viene considerata sostanzialmente un ammortizzatore sociale, ciò impedisce di porsi le seguenti imprescindibili domande: quanti sono i docenti abilitati in Italia, e per quali cattedre? In quali città si trovano? Quanti sono i docenti non abilitati, iscritti in terza fascia? Le GaE (graduatorie a esaurimento) sono svuotate? E soprattutto: questa offerta censita incontra effettivamente la domanda?

Rispetto a quest’ultima, sorge infatti il dubbio legittimo che l’offerta sia disallineata, per regione, città e cattedra. Altrimenti, non si saprebbe spiegare l’anomalia tutta italiana di avere docenti in sovrannumero per determinate discipline e città, e le cattedre vuote per altre; non ci si spiegherebbe il continuo cinema sulle modalità di conseguire l’abilitazione; e non si potrebbe capire perché, allo scopo di evitare una maggiore domanda, si chiudano i concorsi e, come nel gioco delle tre carte, si confondano le acque. Tanto, la gente dimentica e si abitua. Chi penserà alle future migliaia di maestri tra i quaranta e i cinquant’anni licenziati dalla scuola? Candidati al reddito di cittadinanza… ma solo se avranno i requisiti.