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L’INTERVISTA / NORA BUSSIGNY

I nuovi antisemiti, inchiesta sull'ultra-sinistra in Francia

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Per due anni la giornalista francese si è infiltrata nella galassia di attivisti pro-Pal che fanno presa soprattutto sulla Generazione Z, tra manifestazioni di massa e propaganda social. «A microfoni spenti – racconta a La Bussola – l’influenza islamista è lampante».

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Attualità 16_10_2025
LaPresse (AP Photo/Thomas Padilla)

Nora Bussigny, giornalista di Le Point e Franc-Tireur, i due settimanali più tenaci del liberalismo francese, si è infiltrata per due anni nelle pieghe dell’ultragauche. Là, ha incontrato la generazione Z vittima della fascinazione rivoluzionaria, quella che della causa pro-Pal ha fatto un vessillo identitario, imbevuta di retorica decoloniale e diventata cavallo di Troia dell’antisemitismo. Il risultato è un libro rigoroso e disturbante, ormai bestseller, Les nouveaux antisémites. Enquête d’une infiltrée dans les rangs de l’ultragauche (Albin Michel). E che le è già costato l’accusa di tradimento perché è “araba” e una franco-marocchina «non dovrebbe indagare sull’antisemitismo e sull’odio antisionista».

Lei si è infiltrata in organizzazioni legate all’islamismo. Perché ha scelto di muoversi sotto falsa identità, come giornalista, non avrebbe potuto indagare diversamente?
Oggi, in quanto giornalista che scrive per settimanali come Le PointFranc-Tireur o Marianne, vengo considerata una fascista. Pertanto nessuno avrebbe mai accettato una mia intervista. Inoltre, ho potuto constatare che, quando costoro agiscono senza telecamere o microfoni, non si autocensurano e non si nascondono.

Con quale realtà è entrata in contatto?
Anzitutto, mi sono imbattuta in contesti di violenza marcata. Come quando, durante le manifestazioni femministe dell’8 marzo del ’24 in cui mi ero infiltrata, uomini del collettivo Urgence Palestine hanno lanciato dei cocci di bottiglia contro le femministe ebree del collettivo Nous Vivrons che erano andate a manifestare. E l’anno dopo, ero presente quando Urgence Palestine e l’organizzazione Samidoun (riconosciuta come terrorista in numerosi Paesi) hanno nuovamente impedito alle donne ebree e iraniane di sfilare, ed anche quando hanno insultato e spintonato il deputato socialista francese Jérôme Guedj, riconosciuto nella folla, chiamandolo “sporco sionista”.

Quindi una convergenza tra la sinistra e i movimenti islamisti?
A microfoni spenti l’influenza islamista è lampante. Addirittura alcuni di questi militanti ci incoraggiavano a realizzare un “diluvio di Al Aqsa” (nome con cui Hamas ha battezzato l’attacco contro Israele del 7 ottobre 2023, ndr) in Francia o a distribuire bandiere della Repubblica Islamica dell’Iran invitandoci a sostenere il regime e persino a festeggiare la giornata di “Al Qods” (simbolo della resistenza e della causa palestinese, ndr).
In sintesi: violenza e sostegno all’islamismo e al terrorismo.

Cosa intende con  “ultra-sinistra”?
L’ultra-sinistra è un insieme di correnti militanti che comprendono profili di comunisti, femministe decoloniali, ecologisti. Tutti accomunati dal rifiuto delle istituzioni e una volontà di destabilizzazione attraverso boicottaggi, manifestazioni di massa, azioni mirate. Questi attivisti di estrema sinistra hanno capito che per arringare le masse, soprattutto la Generazione Z, è necessario utilizzare un discorso da vittima e portarlo avanti fino alla nausea attraverso i social network.

Per il solo fatto di aver condotto un’inchiesta sull’estrema sinistra, è stata vittima di una campagna diffamatoria online. Cos’è successo? E perché?
Fin dall’uscita del mio libro, ho vissuto un massiccio attacco. Ho subito diverse campagne di odio, minacce. Perché denuncio l’antisemitismo e vengo accostata al governo israeliano, anche se neanche ci sono mai stata in Israele. Per via delle minacce, quando parlo in pubblico, ora sono sotto scorta.

A lungo associato all’estrema destra, oggi l’antisemitismo assume altre forme. Chi sono i “nuovi antisemiti”?
Ho scelto di intitolare il mio libro I nuovi antisemiti perché sebbene l’antisemitismo non sia certo nato ieri, oggi dispone tuttavia di nuovi vettori: i social network. X, TikTok, Instagram, Snapchat etc. non esistevano né durante la guerra, né nella prima e la seconda Intifada.  L’antisemitismo, sia all’estrema destra che all’estrema sinistra, non è mai scomparso; ha cambiato forma, ma il bersaglio resta lo stesso: l’ebreo. I “nuovi antisemiti” sono militanti radicalizzati, in maggioranza studenti. Nel libro mostro i legami tra un’ultra-sinistra “antisionista” e un’ultra-destra antisemita. È il caso, per esempio, di Rima Hassan che, come ho rivelato, ha citato più volte Alain Soral (figura dell’estrema destra condannata per antisemitismo).  

Come i campus americani, anche le università francesi sono diventate un epicentro dell’antisemitismo e di un’ossessione per la causa palestinese. Come lo spiega?
Quando ho iniziato a indagare sull’ultra-sinistra, ero convinta che la convergenza delle lotte si sarebbe realizzata attorno a un nemico comune, e che si trattasse della figura del poliziotto. È stato così durante le rivolte che hanno incendiato le banlieue dopo la morte del giovane Nahel, per esempio. Ma non ha retto. Invece, la figura dell’ebreo, o meglio del “sionista” e dei suoi complici, cristallizza gli odi. Permette persino di unire militanti LGBT e islamisti, come ho visto durante le mie immersioni. Nel libro racconto, ad esempio, la tesi nota come la “prova per la Palestina”, una teoria diffusa da Houria Bouteldja (attivista franco-algerina che combatte il divieto di velo, il passato colonialista della Francia e l’islamofobia ndr), la quale spiega che si può testare l’affidabilità di una figura politica dal suo impegno per la causa palestinese.

Come possono convergere le rivendicazioni woke, nella loro declinazione LGBT, con quelle degli islamisti?
Nel mio precedente libro, I nuovi inquisitori, racconto come le lotte woke applicano il concetto di intersezionalità, uno strumento sociologico che, adattato alle lotte militanti, diventa un mezzo di gerarchizzazione dei privilegi e delle oppressioni. Una militante “razzializzata”, per esempio, vale più di un bianco LGBT. Quanto all’ebreo, o meglio al “sionista”, è di fatto collocato e persino classificato, come ho potuto constatare, tra i “privilegiati” e quindi escluso dalle lotte. Viene addirittura definito “super-bianco”, ossia “più che bianco”, più “privilegiato” di un bianco.
Il 7 ottobre ho scoperto che la maggior parte dei collettivi femministi e LGBT che avevo frequentato si rallegravano pubblicamente degli attacchi terroristici, sostenendo che finalmente il “colonizzato” si ribellava al “colono”, che l’oppresso attaccava “l’oppressore”. Senza che gli stupri e le altre violenze subite dagli israeliani venissero denunciati. Anzi, gli stupri sono stati negati persino negli ambienti femministi che pure proclamano il motto: “vittima, ti credo”.

Prendendo l’esempio di Wikipedia, lei mostra come gli strumenti della “conoscenza” vengano riutilizzati come mezzi di propaganda. La battaglia culturale si gioca ormai su Internet?
Sì, si gioca su Internet, come ho dimostrato infiltrandomi, ad esempio, in una sessione di manipolazione di pagine Wikipedia da parte di militanti pro-palestinesi, ma non solo. 

Cioè, cosa fanno?
Il nostro formatore ci incoraggiava ad adottare una “falsa neutralità” attraverso le scelte linguistiche o facendo attenzione a modificare anche molte altre pagine senza legami con il conflitto, per rendere più credibile quella realtà.
L’obiettivo è modificare certe menzioni su pagine specifiche, ad esempio eliminando la parola “terrorista” riferita ad Hamas, oppure aggiungendo termini come “islamofobo” su pagine di media, collettivi o personalità francesi.
Alcuni contributori particolarmente efficaci riescono persino ad “addolcire” pagine di predicatori come Mohammed Hassan Oul Daddou, che ha invece incitato al massacro della redazione di Charlie Hebdo ed è legato ad Hamas. Riferimenti rimossi per farlo apparire come un “dotto erudito”.
Nel contesto di questa formazione, abbiamo anche imparato a far credere che certe fonti (come articoli di giornale, per esempio) non siano affidabili perché “di destra”, in modo da rovesciare la narrazione delle pagine legate al conflitto e influenzare i lettori. Tutto questo finisce poi con influenzare direttamente l’intelligenza artificiale che se ne nutre e propone questo tipo di narrazione unica. 

Ci sono movimenti dietro queste strategie?
I social network, e in particolare il movimento Block Out di cui parlo nel libro, radicalizzano figure di creatori di contenuti ma anche artisti, per costringerli a prendere posizione pubblicamente a favore della Palestina e contro Israele.

In che modo?
Il Block Out è un movimento legato a BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per Israele, ndr) e spinge gli utenti dei social a boicottare le celebrità che non si espongono a favore della Palestina, invitando a disiscriversi dai loro profili per ridurne visibilità. Temendo di perdere follower, e contratti di lavoro, molte star hanno iniziato a prendere posizione pubblicamente sul conflitto. Questo fenomeno, chiamato anche “ghigliottina digitale”, ha amplificato l’interesse per la questione palestinese anche tra chi prima ne era indifferente.

Lei scrive di una «sovversione calcolata e deliberata della nostra società e dei nostri valori repubblicani». Vede, sul piano elettorale, in vista delle prossime elezioni in Francia, un rischio di istituzionalizzazione del nuovo antisemitismo?
Sì. In Francia, la Generazione Z, di cui parlo nel mio libro, voterà per la prima volta alle prossime elezioni municipali e presidenziali. Rima Hassan – sulla quale ho indagato molto per il mio libro – è per loro un idolo. Sono convinti che la La France Insoumise sia l’unico partito che farà progredire le loro cause. Ho anche potuto constatare che hanno un progetto politico che mira a una presa di potere attraverso il caos. 



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