Gli Usa non abbandonano Taiwan e danno un giro di vite alla Cina
Nonostante tutti i dubbi iniziale e la gran voglia di tornare all'isolazionismo, anche gli Usa di Trump ribadiscono la determinazione a difendere Taiwan. Maxi pacchetto di aiuti militari e nuove sanzioni contro la Cina sulle aziende belliche.
Non c’è alcun cambiamento di strategia americana nei confronti di Taiwan. Due decisioni del governo Usa, nel corso della settimana, lo hanno dimostrato: Trump intende proteggere l’isola quanto e più dei suoi predecessori, nonostante tutti i dubbi che aveva suscitato con i suoi colloqui con Xi Jinping, alla ricerca di un accordo anche personale.
La settimana scorsa, il 17 dicembre, è stata annunciata una nuova vendita di armi, anche sofisticate, alla Repubblica di Cina (Taiwan), per un valore pari a 11,1 miliardi di dollari. Una decisione che ha fatto tirare un respiro di sollievo al governo di Taipei (che ha ringraziato pubblicamente) e provocato una reazione iraconda del regime di Pechino. Il pacchetto di aiuti militari include decine di lanciatori di Himars e obici di ultima generazione, tutte armi che dovrebbero servire all’artiglieria di Taiwan per frenare un’eventuale invasione dalla Cina continentale. Gli Himars che gli Usa stanno vendendo all’esercito taiwanese sono a lungo raggio e possono anche raggiungere la costa orientale cinese. Non si è fatta attendere la risposta da Pechino, dove il portavoce del Ministero degli Esteri, Guo Jiakun, ha definito l’acquisto di armi da parte della “provincia ribelle” (così Pechino considera Taiwan) come un’assurda spesa, «spremendo le tasche dei cittadini per estrarre il frutto del loro duro lavoro, per comprare armi e trasformare Taiwan in una polveriera».
La vendita di armi americane è stata annunciata dall’amministrazione Trump il giorno prima che un’apposita Commissione bipartisan sulla Cina nella Camera del Congresso pubblicasse giovedì il suo rapporto. Nel documento, prodotto appunto da deputati sia democratici che repubblicani, si avverte che Pechino cerca di sfruttare il dubbio che gli Stati Uniti vogliano ancora sostenere Taiwan. Il sintomo più evidente di questa politica cinese di esplorazione delle intenzioni americane è l’aumento delle provocazioni militari nei confronti dell'isola, soprattutto negli ultimi mesi. Il rapporto raccomanda, ai fini delle deterrenza, una posizione americana “inequivocabile, chiara e comunicata in modo coerente” contro l'ostilità del Partito Comunista Cinese nei confronti dell'isola.
I dubbi sulla determinazione a difendere l’isola non mancavano, in effetti. Tanto per cominciare, Trump aveva inaugurato da poco il suo secondo mandato e già si rivolgeva a Taipei con toni ultimativi: la difesa se la doveva pagare da sola, avrebbe dovuto aumentare esponenzialmente la spesa militare, altrimenti sarebbero finiti gli aiuti Usa. Un atteggiamento simile, insomma, a quello riservato agli alleati della Nato. Mentre il presidente Joe Biden, nel corso del suo mandato, aveva ripetutamente suggerito che gli Stati Uniti sarebbero intervenuti al fianco di Taiwan in caso di attacco dalla Cina continentale, Trump ha solo minimizzato le minacce della Cina, affermando che il leader cinese non avrebbe mai invaso Taiwan finché fosse stato Trump alla Casa Bianca. Questo atteggiamento, unito al rapporto personale fra Trump e Xi, alle loro telefonate dirette, al congelamento di un primo pacchetto di aiuti militari per Taiwan ad agosto, proprio per facilitare il dialogo con Pechino, aveva fatto temere un sostanziale abbandono dell’isola nelle braccia della Repubblica Popolare Cinese. Tutto era possibile e tutto è possibile, con Trump e la sua politica “transazionale” basata sui rapporti personali. Di qui ad aprile, Cina e Usa entreranno in una fase preparatoria e di dialogo in vista del vertice a due previsto per aprile: Xi e Trump si vedranno ancora faccia a faccia e chissà cosa ne risulterà. Nel recente vertice di Busan, in Corea del Sud, Trump aveva evitato di parlare della questione.
Il rapporto del Congresso ritiene che il pericolo di invasione sia imminente, probabilmente entro la fine del decennio. Questa previsione è dovuta alle dichiarazioni dello stesso Xi Jinping, il quale fissa al 2027 la data in cui la Cina continentale avrà la capacità militare necessaria per invadere l’isola “ribelle”.
Nonostante tutti i dubbi, appunto, la nuova Strategia di Sicurezza Nazionale è molto chiara in proposito: «C'è, giustamente, molta attenzione su Taiwan, in parte a causa del dominio di Taiwan nella produzione di semiconduttori, ma soprattutto perché Taiwan fornisce un accesso diretto alla Seconda Catena Insulare e divide il Nord-Est e il Sud-Est asiatico in due teatri distinti. Dato che un terzo del trasporto marittimo globale passa ogni anno attraverso il Mar Cinese Meridionale, ciò ha importanti implicazioni per l'economia statunitense. Pertanto, scoraggiare un conflitto su Taiwan, idealmente preservando la superiorità militare, è una priorità».
Non solo l’amministrazione Trump fornisce armi a Taiwan per permetterle di difendersi meglio, ma intende impedire alla Cina di dotarsi di nuovi armamenti più sofisticati. Proprio all’indomani del pacchetto di aiuti per Taipei, il 18 dicembre Trump ha firmato una legge che conferisce al governo nuovi poteri per controllare e limitare gli investimenti statunitensi nelle aziende tecnologiche cinesi, segnando lo sforzo più significativo mai compiuto per controllare il flusso di capitali americani verso le imprese che sostengono l’apparato militare di Pechino.


