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NUOVI SCHIERAMENTI

Gli Emirati entrano nel grande gioco mediterraneo

Una base aerea degli Emirati Arabi Uniti a Creta. Lo Stato del Golfo entra nel gioco del Mediterraneo, fresco di accordo con Israele e della pace in Libia. Il suo ruolo è essenzialmente quello di contenere Turchia e Qatar e nel lungo periodo, il jihadismo

Esteri 24_08_2020
F-16E degli Emirati Arabi Uniti

Il 21 agosto Atene ha reso noto che quattro caccia F-16E Block 60 dell’Aeronautica degli Emirati Arabi Uniti si sono rischierati a Creta, nella base aerea militare di Suda Bay, per effettuare esercitazioni congiunte con le forze aeree e navali elleniche.

Quella dei caccia emiratini potrebbe rivelarsi una presenza non temporanea, come quella dei due caccia Mirage 2000 dislocati in Grecia dall’aeronautica francese, rappresentando il supporto militare offerto da Abu Dhabi alla Grecia nel braccio di ferro con l’aggressiva iniziativa militare turca nel Mediterraneo Orientale. Alleati di ferro dell’Egitto e dell’Esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar, gli Emirati Arabi uniti hanno appena concluso un trattato di amicizia con Israele e si pongono così saldamente all’interno del fronte anti-turco nel Mediterraneo Orientale. Schierando aerei da combattimento a Creta, gli Emirati confermano la volontà di assumere un ruolo di potenza di riferimento anche in quello che un tempo noi italiani chiamavamo “Mare Nostrum”.

Del resto la presenza emiratina a due passi dalle coste italiane non è certo una novità. Sei F-16 raggiunsero l’Italia nel 2011 per partecipare ai raid della NATO (Operazione Unified Protector) contro le forze libiche di Muammar Gheddafi. Dal 2016 gli EAU schierano truppe, contractors e velivoli (droni CH-5, aerei da trasporto, elicotteri Blackhawk e aerei antiguerriglia AT-802) nella base di al-Kadim, in Cirenaica in appoggio alle forze dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar mentre da alcuni mesi 6 caccia Mirage 2000 sono dislocati nella base aerea egiziana di Sidi el Barrani, non lontano dal confine libico.

La presenza degli F-16 emiratini a Creta, a mezz’ora di volo dalle coste libiche, si presta a diverse valutazuoni. La decisione di schierare i velivoli a Suda Bay è stata resa nota poche ore dopo il vertice di Tripoli tra il Governo di accordo nazionale (GNA) di Fayez al-Sarraj e i ministri della Difesa di Turchia e Qatar, summit in cui è stata ufficializzata la concessione alla Turchia della base navale di Misurata e della base aerea di al-Watya che verranno utilizzate anche da forze del Qatar che avranno il ruolo di addestramento e consulenza per le forze di Tripoli.

Gli Emirati hanno accolto con favore l'annuncio di un cessate il fuoco in Libia definito "uno sviluppo molto positivo dal ministro degli Esteri, Anwar Gargash ma lo schieramento degli F-16E emiratini appare come una sorta di bilanciamento per la crescente presenza di Doha nel Mediterraneo ma va letta anche come il primo riscontro delle intese raggiunte già a fine luglio nel summit strategico bilaterale tra Atene e Abu Dhabi (UAE-Greece Strategic Cooperation Forum) tenutosi in videoconferenza.

Intese anche militari confermate nella telefonata del 17 agosto tra i ministri degli Esteri Nikos Dendias e Abdullah Bin Zayed Nahyan, dai numerosi contatti in corso da tempo tra gli stati maggiori dei due Stati e dal colloquio del 20 agosto tra i due massimi vertici militari, i generali Konstantinos Floros (nella foto a lato) e Hamad Mohammed Thani Al Rumaithi. Infine, non si può escludere che l’invio dei caccia emiratini a Creta rientri anche in uno sforzo congiunto con la Francia (che ha una base militare negli Emirati e ha inviato 2 caccia e 2 navi militari nel Mediterraneo Orientale in appoggio ad Atene) per costituire un fronte comune anche militare a contrasto della Turchia.

L’afflusso a Suda Bay degli F-16E col personale di volo e tecnico, armi e supporto logistico è previsto venga completato in queste ore ma si tratta di un evento che ha un peso politico ben superiore alla sua relativa importanza militare. L’accordo con Israele rafforza il ruolo di potenza autonoma degli EAU (la ”Piccola Sparta del Golfo”, come vengono soprannominati negli ambienti militari di Washington) affermatasi anche grazie a una classe politica e diplomatica di prim’ordine. Gli Emirati hanno assunto le caratteristiche di una “potenza” araba, ma moderna e laica, considerata la tolleranza e la libertà religiosa praticata nel regno e confermata anche dall’accoglienza riservata a Papa Bergoglio nel febbraio 2019. Abu Dhabi ha varato iniziative improntate all’apertura politico-culturale e all’innovazione tecnologica come il programma spaziale nazionale (che oltre a spingere sulle capacità satellitari ha inviato una sonda in orbita intorno a Marte) e l’attivazione della prima centrale nucleare del mondo arabo, realizzata a Barakah con tecnologia sudcoreana.

Gli EAU sono in prima linea nel contrasto al jihadismo e alla Fratellanza Musulmana sostenuta da Qatar e Turchia, avversari considerati prioritari anche rispetto all’Iran come sembrano indicare i recenti contatti “distensivi” con Teheran. Sul piano militare gli Emirati hanno aperto una rete di basi in Eritrea, Somaliland, Yemen, nella Cirenaica libica e stanno aprendone un’altra nel deserto del Niger settentrionale, non lontano dal confine libico. Una politica di presenza attuata non solo con forze militari ma anche con contractors e mercenari arruolati per lo più in Africa, questi ultimi per operare al fianco di forze amiche come nel caso dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) del generale Khalifa Haftar.

Il crescente ruolo degli EAU nel sostegno all’ex nemico Bashar Assad ha certo una funzione di contrasto alla Turchia e di antagonismo nei confronti dell’Iran, che insieme alla Russia ha sostenuto Damasco durante otto anni di guerra, ma il consolidato asse tra emiratini ed egiziani “benedetto” da Mosca potrebbe aiutare Assad a ricostruire la Siria accompagnandolo al dialogo con lo storico nemico sionista.